Virginia era nata il 10 luglio 1945 a Bournemouth, nell’Hampshire, sulle coste della Manica. Vinse l’edizione del centenario dei Championships…

 

di Claudio Calza

 

“God save the Queen”. La regina Elisabetta II, quel mede di luglio 1977 aveva proprio bisogno di un’ancora di salvezza, di un evento eccezionale per dare un’impronta speciale a questa edizione del centenario del torneo di Wimbledon, orfano ormai da troppo tempo di un vincitore britannico. Ci pensò allora l’inglese Virginia Wade a gettarliela, quest’ancora.

 

Virginia era nata il 10 luglio 1945 a Bournemouth, nell’Hampshire, sulle coste della Manica. Laureatasi in matematica all’università del Sussex, si trasferì e divenne tennista in Australia, dove il padre era arcidiacono di Durban. La sua struttura asciutta, agile e forte le consentì di esprimere un tennis aggressivo, moderno, grazie anche alla straordinaria naturalezza ed eleganza con cui eseguiva i colpi, dai fondamentali da fondo campo, alle volée.

 

All’inizio della carriera, il suo sistema nervoso un po’ fragile le impedì di raggiungere i risultati che il suo reale valore tennistico le avrebbe consentito. Era come se la sua educazione, rigida e puritana, in qualche modo la impacciasse.

 

Il primo risultato importante arrivò a 23 anni, agli Open degli Stati Uniti. In finale, la Wade batté Billie Jean King che aveva due anni di più e che doveva diventare una leggenda del tennis mondiale. Seguirono le vittorie ai Campionati Internazionale d’Italia nel 1971 (6-4 6-4 alla tedesca Helga Masthoff) e agli Open d’Australia l’anno successivo (un altro doppio 6-4 all’australiana Evonne Goolagong).

 

La sua disinvoltura nei pressi della rete e la sicurezza dei suoi colpi al volo la resero particolarmente competitiva nel doppio. In questa specialità, che giocò spesso con Margaret Court (ma fu anche a fianco della Masthoff, della Morozova e della Ruzici) vantò successi in Australia e a Parigi (1973), negli Open degli Stati Uniti (1973 e 1975) e per ben quattro volte a Roma ( 1968, 1971, 1973 e 11983).

 

Ma torniamo a Wimbledon, in quel luglio 1977. In quell’anno mirabilis in cui si celebrava, oltre al centenario del più prestigioso torneo del mondo, anche il Giubileo della regina Elisabetta, Virginia Wade costruì il suo capolavoro. Alla sua sedicesima partecipazione, vinse la competizione dopo nove anni dopo il successo di un’altra inglese, Ann Jones, nel 1968.

 

Da due anni, Virginia si era stabilita in America, da dove era tornata più sicura di sé, più disinvolta. In semifinale trionfò su Chris Evert, alla quale rendeva quasi dieci anni e che era all’inizio della sua straordinaria carriera. Il pubblico, incredulo ed entusiasta, ammirava la sua “Ginny” che, con estrema sicurezza, frastornava la bella americana. In finale, contro la possente ma lenta olandese Betty Stove, perse il primo set, vittima di un po’ di nervosismo, poi, sbloccatasi psicologicamente, dilagò nei restanti due set (4-6 6-3 6-1 lo score finale).

 

E mentre la Wade alzava al cielo il piatto d’argento per la gioia dei fotografi, la gente cantava in coro: “For she’s a jolly good fellow”.

 

Lasciato i tennis agonistico, iniziò l’attività di commentatrice televisiva, quindi nel 1987 diede vita a una serie di stage estivi presso il prestigioso Gleneagles Hotel in Scozia, aperto ai tennisti di tutte le età e di tutti i livelli. Dopo tanti anni di impegni stressanti e di agonismo ad alta tensione, Virginia ha scelto quindi di vivere il tennis e di insegnarlo in modo da farne uscire l’aspetto squisitamente ludico e divertente.

 


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di Claudio Calza

 

 

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Pancho Gonzales

 

Lucia Valerio

 

Jaroslav Drobny

 

Fred Perry

 

Nicola Pietrangeli

 

Fausto Gardini

 

Suzanne Lenglen

 

Rod Laver

 

Jack Kramer

 

Lew Hoad 

 


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