N.1 del mondo nel 1956, in quell’anno l’australiano Lew Hoad andò vicino a completare il Grande Slam ma il suo sogno venne troncato dall’amico…

 

di Claudio Calza, foto Archivio Storico de “Il Tennis Italiano”

 

Al suo apparire sulla scena internazionale, nel 1952, Lew Hoad era stato subito paragonato a un gatto, pacifico all’apparenza, un po’ annoiato, ma capace di balzare sornione sulla palla per assestare il colpo vincente. Così era in effetti Lewis Alan Hoad, nato in Australia il 23 novembre il 1934.

 

Fin da bambino – un bambino biondo come il grano e il faccino angelico – si appassionò al tennis che apprese inizialmente da solo di fronte a un muro del cortile di casa, per la disperazione dei vicini. Aveva 12 anni quando, nel 1946, si riprese a giocare la Coppa Davis, interrotta per cinque anni a causa della seconda guerra mondiale. Dopo la disputa del Challenge Round, che aveva visto gli Stati Uniti battere a Melbourne l’Australia detentrice del trofeo, venne disputata un’esibizione tra i protagonisti dell’incontro, gli americani Jack Kramer e Tom Brown e gli australiani John Bromwich e Adrian Karl Quist. Nell’occasione fu deciso di presentare le due migliori speranze australiane; uno era proprio Hoad e l’altro un certo Ken Rosewall, di 21 giorni più “vecchio” di Lew. Lo storico match si giocò in un circolo di Rockdale, vicino a Sydney, di proprietà dei genitori di Ken. Il risultato fu un impietoso doppio 6-0 a favore di Rosewall, ma l’avvenimento costituì il primo incontro ufficiale di questi due irripetibili campioni che passarono alla storia del tennis come i “gemelli”.

 

E non solo per un fatto anagrafico, ma perché, insieme, formarono un doppio fantastico che vinse tutto quello che c’era da vincere. I due erano affiatatissimi per quanto assai diversi in campo: compassato, quasi matematico Ken (si dice che mai gli sia uscita la maglietta dai pantaloncini), irruento, spesso irriflessivo, a volte litigioso Hoad.

 

La svolta decisiva nella carriera di Hoad fu l’incontro con Harry Hopman, detto Hop. Questo grande coach australiano, dall’intuito infallibile, quando vide Lew, si rese conto della forza impressionante che poteva scaturire da quel ragazzo. Lo sottopose alla sua “cura” e ne fece quel giocatore che per alcuni anni – troppo pochi, purtroppo – il mondo intero ammirò.

Rapido e solido come un torello, Hoad nascondeva nella sua mano possente l’intera impugnatura della racchetta, dalla quale traeva colpi che sembravano pugni da Ko.

I suoi limiti erano l’irruenza e, spesso, la scarsa concentrazione che lo portata ad assumere in campo l’atteggiamento di chi è indifferente all’esito dell’incontro. Fuori dal campo, il suo comportamento non era esattamente un esempio da seguire per un atleta: amava la vita e gli piaceva godersela, la “distrazioni” alle quali cedeva volentieri non erano sempre un toccasana per la sua forma spesso ballerina.

 

Fu nel 1952 che Hoad fece la sua prima apparizione al Roland Garros. In singolare perse al primo turno, ma questo diciottenne non passò inosservato anche perché in doppio, col suo “gemello” Ken Rosewall, anch’egli fuori dal tabellone del singolare al primo incontro, arrivarono in semifinale, dove vennero sconfitti, giocando però splendidamente, dai più esperti connazionali Frank Sedgman e Ken McGregor.

 

Nel 1953 entrò a far parte della squadra di Davis con Rex Hartwig e, naturalmente, con Rosewall, con il quale condusse praticamente una vita parallela. Il suo esordio non poteva essere dei migliori: nel Challenge Round batté sia Vic Seixas che Tony Trabert, dando un fondamentale contributo alla vittoria per 3-2 dell’Australia sugli Usa. Questo successo consentì al suo Paese di mantenere l’insalatiera che gli apparteneva dal 1950.

 

Hoad giocò quattro edizioni di Davis (1953-1956) e ne vinse tre, disputando complessivamente 21 incontri, perdendone soltanto 3. Nello stesso anno vinse il doppio ai Campionati australiani (9-11 6-4 10-8 6-4 a Candy/Rose), agli Internazionali di Roma (6-2 6-4 6-2 a Drobny/Patty), al Roland Garros (6-2 6-1 6-1 a Rose/Wilderspin) e a Wimbledon (Hartwig/Rose battuti 6-4 7-5 4-6 7-5). Sempre, naturalmente, con Rosewall al fianco. In singolare raggiunse la finale agli Internazionali di Roma, dove Jaroslav Drobny gli inflisse una severissima lezione (6-2 6-1 6-2). A Wimbledon si fermò ai quarti.

 

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di Claudio Calza, foto Archivio Storico de “Il Tennis Italiano”

 

Il 1954 non fu, per Hoad un grande anno. In Coppa Davis, l’Australia perse la finale 3-2 contro gli Usa e, nell’occasione, si verificarono due delle sole tre sconfitte subite da Lew: lo batterono Trabert in singolare e la coppia Seixas/Trabert in doppio. Perse poi, sempre in doppio, le finali al Roland Garros e nei Campionati Usa.

 

Nel 1955, il trio Harwig-Hoad-Rosewall si prese una spietata rivincita sugli Stati Uniti a Forest Hills rifilando un sonoro cappotto al duo Seixas-Trabert e riportando in Australia la Coppa Davis. Nei campionati nazionali arrivò in finale sia in singolare, dove il gemellino Rosewall lo batté in tre set, sia in doppio con lo stesso Ken. Dall’altra parte della rete c’erano i soliti fantastici Vic Seixas e Tony Trabert che vinsero in cinque indimenticabili set.

A Wimbledon, i quarti di finale continuarono ad essere fatali a Hoad. Nell’occasione, a Londra, conobbe però Jennifer Staley, una discreta tennista. Se ne innamorò follemente e decise seduta stante di sposarla, facendo molto arrabbiare Hop, che evidentemente metteva Venere sullo stesso piano di Bacco e Tabacco tra gli elementi disturbatori del perfetto tennista.

 

Arrivò così il 1956, l’anno in cui il ciclone Hoad era sul punto di conquistare il Grande Slam, impresa riuscita, fino a quel momento solo all’americano Don Budge nel 1938. Una specie di miraggio al quale tutti i tennisti ancora oggi tendono. Ci andò molto vicino Hoad. In una sorta di trance agonistica, giocò le finali esplodendo colpi di una violenza mai vista. Sembrava – dissero – un boscaiolo che abbatteva gli alberi con l’ascia.

 

Annientò proprio Rosewall sui prati di casa, Davidson sulla terra rossa del Roland Garros e, a Wimbledon, sempre il gemello Ken che, in semifinale, aveva rimontato miracolosamente, fino a vincere, l’ormai trentatreenne Seixas il quale conduceva 5-0 nel quinto set. In finale, Hoad lo ripagò della stessa moneta; in vantaggio 2 set a 1 e sotto 1-4 nel quarto, Lew iniziò un bombardamento di ace, volée e diritti vincenti che lo portarono a chiudere 6-4.

 

Quando, nei Campionati degli Stati Uniti, si trovò di fronte per la terza volta l’amico Ken, pensò di avercela fatta. Il Grande Slam era ormai a portata di mano. Ma Hoad non aveva fatto i conti con la forma straordinaria di Rosewall che sfoderava un rovescio preciso come un orologio e una risposta che trasformava i servizi dirompenti dell’avversario in altrettanti boomerang. Ma soprattutto non aveva considerato la necessità che aveva Ken di fare bella figura nei confronti di Jack Kramer, che lo teneva d’occhio per ingaggiarlo nella sua troupe di professionisti. Rosewall vinse quella finale, mandando in frantumi il sogno dell’amico e, al termine dell’impresa, ricevette da Kramer l’offerta di un contratto di entità tale da non lasciare spazio a tentennamenti.

 

Pur dovendo assorbire questa cocente delusione, Hoad ottenne, in quell’anno, la vittoria in doppio nei Campionati australiani, a Wimbledon (a spese di Pietrangeli/Sirola), nel Campionati Usa e agli Internazionali d’Italia, qui però in coppia con Jaroslkav Drobny. A Roma vinse anche il singolare, battendo Davidson e non dimenticò di dare il suo contributo alla riconquista della Coppa Davis (tanto per cambiare fu un altro 5-0 sugli Stati Uniti).

 

Il 1957 fu l’ultimo anno da dilettante di Hoad. Gli organizzatori americani gli avevano promesso un contratto da favola se avesse vinto a Wimbledon. Niente di più facile: Lew programmò per bene la sua preparazione fisica e psichica e scalò il tabellone con estrema facilità. Lasciò al finalista, Ashley Cooper, la miseria di 5 game e andò a inchinarsi alla Regina d’Inghilterra alla sua prima apparizione, dopo l’incoronazione, nel palco reale dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club.

 

L’indomani partì per gli Stati Uniti con in tasca un contratto da professionista di 125 mila dollari, il più consistente mai percepito da un tennista. La sua attività da “pro”, contraddistinta da memorabili sfide con Pancho Gonzales, non durò molto a lungo. Una serie di infortuni alla schiena e ai piedi lo indusse infatti a lasciare l’agonismo. Si ritirò in Spagna, dove aprì una scuola di tennis, assieme alla moglie Jennifer, a Fuengirola.

 

Lew Hoad ci ha lasciato il 3 luglio 1994. Aveva 60 anni e, da tempo, era malato di leucemia. La sua morte è avvenuta il giorno successivo la finale di Wimbledon, vinta di Pete Sampras su Goran Ivanisevic. Ironia del destino, durante il torneo, Ken Rosewall, ancora in una invidiabile forma fisica, si era esibito sul Central Court, nel doppio over 45, in coppia con Fred Stolle. Aveva solo qualche pennellata bianca in più sui capelli scuri, pettinati con la solita impeccabile scriminatura a sinistra, rispetto a 38 anni prima quando, su quello stesso campo, in coppia col gemello e amico Hoad, vinceva per l’ultima volta il titolo più prestigioso.

 

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Ecco gli altri campioni raccontati:

 

Pancho Gonzales

 

Lucia Valerio

 

Jaroslav Drobny

 

Fred Perry

 

Nicola Pietrangeli

 

Fausto Gardini

 

Suzanne Lenglen

 

Rod Laver

 

Jack Kramer

 


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