Fausto Gardini è nato a Milano l’8 marzo 1930 In Coppa Davis ha disputato 38 incontri, dal 1952 al 1963, con 29 vittorie. Vinse il torneo di Roma nel 1955…

Fausto Gardini (Milano, 8 marzo 1930 – Forte dei Marmi, 17 settembre 2008) da junior ha vinto due titoli italiani di doppio, in coppia con Gianni Clerici, nel 1947 e 1948. Poi è stato, negli anni cinquanta e negli anni sessanta uno dei migliori tennisti italiani. In Coppa Davis ha disputato 38 incontri, dal 1952 al 1963, con 29 vittorie ed è stato poi capitano non giocatore sette volte, tra il 1972 e il 1975. La sua vittoria più importante è stata nel singolare degli Internazionali d’Italia, nel 1955, dove battè in finale Giuseppe Merlo. È stato anche finalista al Torneo d’Amburgo del 1953. Ha conquistato sette volte il titolo italiano di singolare: ininterrottamente dal 1951 al 1955 e poi nel 1961 e 1962.

 

 

di Claudio Calza – foto Archivio Tennis Italiano

 

 

Nel 1938, a Milano, in Corso Sempione, dove ora c’è la sede della Rai, c’era un piccolo circolo di tennis. Qui, un ragazzino esile di 8 anni (era nato infatti a Milano l’8 marzo 1930) si divertiva spesso a fare il raccattapalle per gli amici che giocavano a tennis.

Questo ragazzino si chiamava Fausto Gardini e un giorno, quasi per scherzo, provò a impugnare una racchetta e a tirare qualche colpo. Era casualmente presente Bigi Chitarin, che poi divenne un buon prima categoria; vide in lui i segni premonitori del campione e lo incoraggiò a continuare. In seguito, i fratelli Folli del Circolo Domodossola e addirittura un graduato del Terzo Reich, incontrato a Tirano in Valtellina dove Fausto si era trasferito con la famiglia durante la guerra, lo sgrezzarono un po’. Ma non si può dire che siano stati i suoi maestri.

 

Così Gardini si ritrovò a essere un tennista, ma un tennista molto particolare. Alto e magrissimo (dicevano che sembrava uno scheletro magro, come ricorda Gianni Clerici nel suo “Cinquecento anni di tennis”), con un viso caratterizzato da lineamenti non precisamente apollinei, esprimeva un tennis a dir poco sconcertante. Stringeva la racchetta praticamente con tre dita, tanto che la sua impugnatura venne definita “disastrosa” o, dai più benevoli, “assolutamente personale”.

Aveva un diritto scucchiaiato anche se fortissimo, un rovescio prettamente difensivo e una volée artigianale che, per la verità, usava poco, portato com’era al gioco prevalentemente da fondo campo. In compenso lobbava e smecciava piuttosto bene.

 

La sua apparizione scombussolò completamente l’ambiente compassato e un po’ snob del tennis. Sul campo infatti si muoveva come un giocatore del tutto atipico, che sprizzava grinta e volontà da tutti i pori e che portava il pubblico all’eccitazione, aizzandolo con ampi gesti, ricavandone un tifo infernale a suo favore. I suoi avversari ne erano ovviamente infastiditi, anche perché, non di rado, si guadagnava la complicità dei giudici di linea che, un po’ intimiditi, non osavano “chiamate” a lui sfavorevoli. Una specie di McEnroe ante litteram, insomma.

Si vide anche il sangue (il suo) in un’occasione. Gardini stava giocando la finale delle “Targhe Volpi” al Lido di Venezia nel 1952, contro il ceco-egiziano Jaroslav Drobny. Nel corso del match point a suo favore, si era ritrovato inopinatamente a rete per recuperare una palla corta, una vera specialità del suo avversario; per intercettare il conseguente passante di Drobny, che si era impennato sul nastro, si colpì con la racchetta il sopracciglio che si aprì in una larga ferita. Allora il regolamento non concedeva soste, per cui Gardini volle rimanere in campo, nonostante il sangue sgorgasse copioso. Con grande sportività il suo avversario gli concesse però il tempo per medicarsi prima di riprendere il gioco. La menomazione purtroppo costò all’italiano l’incontro.

 

Nel 1947, a 17 anni, diventò campione nazionale juniores (ripetendosi l’anno successivo) e di terza categoria. Nel 1949 fu campione di seconda categoria e finalmente, nel 1951, iniziò una serie di cinque titoli assoluti consecutivi. L’ultimo di questi, nel 1955, fu completato dalla vittoria ai Campionati Internazionali d’Italia, titolo che ottenne praticamente per ko contro Beppe Merlo, costretto alla resa per crampi sul punteggio di 6-6 nel quarto set. E in questa occasione, Fausto dimenticò il riguardo usatogli tre anni prima da Drobny e chiese insistentemente la vittoria a tavolino non appena Merlo accennò ad avere i primi problemi, arrivando addirittura ad abbassare la rete del campo. Ancora una volta, la “trance” agonistica aveva avuto la superiorità.  

Nel 1952 Gardini entrò di prepotenza nella squadra di Davis, dove fu a lungo insostituibile singolarista. Solo nel 1954 fu assente per uno “scandalo” che lo vide protagonista. Proprio insieme a Merlo, ebbe l’ardire di chiedere un compenso per giocare in Coppa Davis. Sapeva che a Cucelli e Del Bello la Federazione dava un “sottobanco” di un milione di lire e pretendeva la par condicio.

 

Anziché i quattrini, cosa che oggi sarebbe normale, ebbe dalla Fit la squalifica per un anno. Pur essendo stato, potenzialmente, tra i primi dieci del mondo sulla terra rossa, Gardini ottenne le sue migliori performance in campo internazionale quasi esclusivamente in Coppa Davis. Nei tornei del Grande Slam non è andato mai oltre i quarti di finale raggiunti al Roland Garros, mentre a Wimbledon vanta solo una vittoria prestigiosa, quella su Mulloy. Tra i giocatori da lui battuti figurano comunque campioni quali Brichant, Bergelin, Mottram, Nielsen.

Nel 1956 si sposò, si mise a lavorare nell’azienda del suocero – un pastificio a Vercelli che lo costringeva a fare il pendolare – e lasciò il tennis. Ma dopo cinque anni, nel 1961, ritornò sulla sua decisione e agli amati court a riprendersi il titolo italiano e il posto in Davis. Rivinse i campionati l’anno dopo, raggiungendo così i sette scudetti (primato finora solo eguagliato), poi smise definitivamente di giocare per dedicarsi alla nuova professione di pubblicitario. Per tre anni (dal 1973 al ’75) Gardini fu anche capitano della squadra di Coppa Davis, incarico che lasciò quando intuì che i giocatori, Panatta in particolare, erano messi in soggezione dalla sua personalità. Diede quindi le dimissioni e abbandonò l’ambiente. Così l’uomo che è stato una furia scatenata sui campi, divenne un tranquillo e amabilissimo signore che ha continuato a frequentare ancora il TC Milano, ma solo per giocare a bridge.

 

Il 17 settembre dello scorso anno un infarto lo ha stroncato mentre si trovava nella sua casa di Forte dei Marmi.

 

Un anno dopo il suo ritiro, aveva pubblicato il volume “Fausto Gardini vi insegna il tennis in 13 lezioni” (Biblioteca sportiva De Vecchi – Milano 1965), premurandosi comunque di precisare che si era sforzato di mantenersi il più possibile aderente all’ortodossia, “anche nei casi in cui la mia tecnica di gioco tende a discostarsi dal lato teorico”. Doveroso. Il volume contiene anche un’altra affermazione importante: “Se un maestro vi dice che il suo è l’unico modo giusto di giocare, cambiate maestro”.