La notizia della positività del numero uno del mondo e le giustificazioni a sostegno dei suoi comportamenti. Ecco perché Novak Djokovic non ci ha convinto

Alla fine è successo. Non doveva succedere, ma è successo. Di più: non poteva succedere. Ma è tristemente successo.

Proprio così, non poteva succedere. Invece… Organizzando l’Adria Tour, fin dall’inizio, si è avuta la fortissima impressione che si volesse far passare il messaggio che ormai il peggio fosse alle spalle e che fosse giunto il momento di ripartire. Ma, fin dal primissimo momento, si è anche avuta la spiacevole sensazione di un altro messaggio, decisamente meno edificante e, come si è visto, decisamente più pericoloso. E cioè che questo virus non sia stato preso sul serio, riconoscendogli la pericolosità che invece meritava.

Inutile girarci troppo attorno, il nome che oggi è sulla bocca di tutti è quello di Novak Djokovic. Non solo per essere il campione più famoso ad essere risultato positivo al Coronavirus, ma anche per aver contribuito in prima persona all’organizzazione del Tour, per le sue precedenti dichiarazioni sul tema del vaccino e in quanto presidente dell’Atp Player Council.

Soprattutto in quest’ultima veste aveva ed ha grandissime responsabilità nei confronti dei giocatori e, di riflesso, di tutto il movimento. Immaginiamo ad esempio la gioia dei prossimi eventi in programma, tipo Us Open e Roland Garros, che sentitamente ringraziano.

Ecco, organizzare un torneo itinerante aperto al pubblico, con celebrazioni, party, feste in discoteche, tutti abbracciati, tutti assieme appassionatamente… Ecco, tutto questo non ci è parso molto responsabile.

Di sbagliare capita a tutti, di perseverare – checché se ne dica – anche.

Così, visto che siamo tra amici e ci piace parlare chiaro, vi diremo che non ci sono piaciute per niente neanche le dichiarazioni di Djokovic in cui comunicava al mondo la sua positività. Dice che non aveva intenzione, che gli dispiace tanto, che lo scopo era filantropico, che tutto è stato fatto con cuore puro. Una cosa sola è mancata in queste dichiarazioni e ci dispiace tanto, anche perché ci sono andati di mezzo anche coach e mogli, soltanto indirettamente coinvolte.

C’era una famosa pubblicità degli anni ’70 che terminava con quello che poi sarebbe nel tempo diventato un tormentone: “Basta la parola”.

Ecco, anche a noi basterebbe una parola. Proprio quella parola che Djokovic non ha ancora pronunciato: scusate.