Il disastro dell’Adria Tour si è completato con l’annuncio della positività al Covid-19. Nole ha perso un’altra occasione per farsi apprezzare da leader sbagliando praticamente tutto durante e dopo il lockdown
No, Nole: il virus non è ancora scomparso. E sì, è una “realtà con cui dobbiamo imparare a convivere”, probabilmente la frase più significativa del comunicato ufficiale diramato per comunicare la positività al covid-19, peraltro con colpevole ritardo dopo il silenzio assordante di oltre 24 ore dal caso di Dimitrov. Perché, francamente, i ‘pure heart’ e ‘sincere intentions’ riferiti allo scopo dell’Adria Tour suonano come una contraddizione. L’ennesima di una quarantena da cancellare per Djokovic. Il 17 volte campione Slam, sia chiaro, non ha infranto alcuna legge. In Serbia e nella sua Belgrado era assolutamente permesso organizzare un evento con pubblico, l’infuocato derby di calcio tra Stella Rossa e Partizan con 20.000 spettatori giocato qualche giorno prima d’altronde non lasciava alcun dubbio. Sebbene il governo serbo abbia caldamente invitato alle regole del distanziamento sociale, il buon senso dei cittadini non si è visto nella prima tappa del mini-circuito d’esibizione. Metro di distanza e mascherine inesistenti, un marcato controsenso per una manifestazione che mira alla raccolta fondi per l’emergenza coronavirus trasformatasi in un potenziale focolaio. Uno scopo filantropico, sottolineato dallo stesso Nole e del quale non sarebbe giusto dubitare alla luce del suo impegno sociale con la propria Fondazione, che ha cozzato terribilmente con i video della serata in discoteca, con gli abbracci, con la superficialità con la quale è stata gestita la situazione. E da chi è abituato a non sottovalutare alcun avversario è un qualcosa che non ci saremmo mai aspettato. Nole non è stato ‘cattivo’ nell’unico campo che al momento conta, quello della salute. Perché il coronavirus non si può affrontare con lavagne tattiche, con allenamenti specifici o diete: nessuno è favorito, il ranking non conta.
E’ un rivale sconosciuto, sul quale è impossibile fare previsioni e abbassare la guardia è una decisione sconsiderata. Se voleva essere un messaggio all’Atp per ammorbidire le restrizioni in vista della ripresa del Tour, poi, non può che considerarsi un clamoroso autogol. I vertici, dopo aver preso atto dei casi di positività, hanno ribadito con una nota la propria volontà di insistere con le misure del protocollo di sicurezza stilato, ‘scaricando’ il numero 1 al mondo e rivendicando la bontà delle proprie scelte. Un altro duro gancio al mento di Nole, ora più che mai in bilico anche nel ruolo di presidente dell’Atp Player Council: mentre dall’America si rincorrono le prime voce di “licenziamento” del serbo, le aspre critiche nei suoi confronti da parte dei colleghi (non lesinate già da prima dell’accertamento dei casi di positività) pongono l’accento sul mancato buon esempio dato da Djokovic. Da ‘politico’, da numero 1 al mondo, da personaggio globale: l’onere di essere sulla cresta dell’onda riguarda anche il dover essere costantemente sotto i riflettori, veder passare al setaccio ogni gesto, ogni tweet, ogni uscita pubblica. E lo sportivo, che nell’immaginario collettivo incarna i valori più puri della società, non può a maggior ragione sottrarsi a questo compito. In un mondo in cui le notizie rimbalzano con più velocità di una prima di servizio, Nole è più volte scivolato durante il lockdown: dall'”invasione” in campo medico con la presa di posizione a favore dei no-vax alle deliranti dirette Instagram in cui affermava con una certa convinzione di credere in emozioni positive capaci di cambiare la struttura molecolare dell’acqua.
Attaccare un difensore eccezionale come Djokovic non è mai stato così facile come negli ultimi mesi. Passino le continue – e non richieste – frecciate di papà Srdjan nei confronti di Federer (che di certo non aiutano alla perenne ricerca di consenso tra i fan), ma Nole ha sbagliato praticamente tutto dopo il trionfo agli Australian Open. Se a Melbourne, sul campo, ha dimostrato ancora una volta di essere il migliore, come leader ha perso l’ennesima buona occasione per scalare le gerarchie. E a 33 anni può essere ormai troppo tardi per recuperare il terreno perduto.