
Mamma Murray ne ha parlato durante una discussione all'Edinburgh International Book Festival, rispondendo in realtà a una domanda sul discorso opposto, ovvero la possibilità di vedere anche le donne giocare al meglio dei cinque. “Se dovessi scegliere preferirei vedere gli uomini giocare 2 su 3”, ha spiegato, aprendo un nuovo orizzonte. Nei discorsi sulla parità di montepremi si è sempre evidenziato che, per chiudere definitivamente ogni dibattito, le donne dovrebbero giocare con la stessa formula degli uomini, ma non è quasi mai stato preso in considerazione il discorso opposto. “Per prima cosa – ha aggiunto Judy – per far giocare 3 su 5 anche il torneo femminile servirebbero sia più tempo sia più campi, ma non credo sia l’ideale. I cinque set sono spesso garanzia di spettacolo, ma possono tenere in campo i giocatori per quattro, cinque ore. Gli incontri diventano molto molto dispendiosi fisicamente, ed è per questo che la gran parte dei big non gioca mai doppio e doppio misto. Il singolare porta via troppe energie”. L’idea sembra un po’ esagerata, ma anche perché va a mettere in discussione il sistema Slam, una delle poche cose che nel tennis attuale mette tutti d’accordo. Certo, a Melbourne fa un caldo terribile, a Parigi manca il tetto sul Centrale, quest’anno a Wimbledon i campi erano in condizioni peggiori del solito e a New York c’è sempre troppo trambusto, ma la parte sportiva (ed economica) soddisfa tutti. Eppure, è indubbio che siano i tornei più dispendiosi dal punto di vista fisico e mentale, e la ragione non è solo il prestigio, ma anche l’obbligo di giocare sempre al meglio dei cinque set. Fa parte del regolamento, del fascino degli Slam ed è anche l’unica – o quasi – differenza con tutti gli altri tornei del mondo, ma nell’arco di un’intera stagione, per chi arrivare spesso in fondo, la fatica extra può pesare eccome.

Qualcuno si appellerà al fatto che non solo la formula degli Slam è sempre rimasta la stessa, ma addirittura un tempo i tornei al meglio dei cinque set erano molti di più, quindi perché introdurre una modifica sulla scia di qualche infortunio in più del solito? Tuttavia, anche la visione degli Slam da parte dei giocatori è profondamente cambiata. Un tempo l’Australian Open era la gamba zoppa dei Major, tanto che alcuni big preferivano addirittura evitare la trasferta dall’altra parte del mondo, mentre a Wimbledon gli scambi (e la fatica) erano un quarto di quelli attuali e il Roland Garros non faceva affatto impazzire numerose star, come Sampras, Edberg, McEnroe, Becker e Connors. Lo giocavano, ma con la mente già proiettata all’erba. Oggi, invece, l’Australian Open è diventato lo Slam preferito di un sacco di giocatori, e tutti forzano la preparazione per presentarsi già al 100% nella terza settimana dell’anno; a Wimbledon si lotta tranquillamente punto su punto come altrove e l’allergia a Parigi è stata superata da tutti. Risultato: gli Slam sono veramente quattro, per chiunque. E tutti dispendiosi in ugual modo. Un fatto che contribuisce alle idee di cambiamento. Per ora sono solo opinioni, ma in un tennis sempre più governato dalle tv, che spingono per velocizzare il gioco, non sarebbe una sorpresa se prima o poi venissero prese in considerazione. Come non lo sarebbe trovare a capeggiare la proposta proprio lo Us Open, che dei quattro Major è il più pressato dei diritti televisivi, “schiavo” del maxi contratto da 825 milioni di dollari (per 11 anni) con ESPN. Quello di New York è da sempre il torneo innovatore: è stato il primo a introdurre il tie-break, poi la sessione serale, poi l’occhio di falco, e non è nemmeno nuovo ai due set su tre nel maschile, già utilizzati negli Anni ’70. Fu così nei primi tre-quattro turni, per quattro edizioni in tutto: nel triennio di terra verde a Forest Hills, dal 1975 al 1977, e anche nella prima edizione giocata a Flushing Meadows (1978). Poi, dal 1979, decisero di tornare al best of five già dal primo round. Quarant’anni dopo, il mondo del tennis inizia a chiedersi se non ci avessero visto lungo…