(*) Doveva essere un articolo sulla nostra perpetua ricerca dei giocatori perduti. Sull'illusione che si possa, in qualche modo, tornare a un altro tennis, fatto di variazioni, di angoli diversi, addirittura di gioco a rete. Molte delle nostre giornate da spettatori a tempo pieno trascorrono così: navighiamo in rete alla ricerca di streaming improbabili che rimandino remote immagini di un Future su un campetto dell'America profonda o nella giungla guatemalteca per seguire il nostro destino di malati tennistici, ma soprattutto perché cerchiamo qualcosa. Una epifanìa, uno spiraglio di bellezza, un gesto davvero bianco. Abbiamo bisogno di illuderci che ne vale la pena, che non perdiamo tempo invano. Tutto questo tempo perso a guardare tennis, sottratto ad affetti, lavoro, esposto alla commiserazione di chi non capisce. Ci deve essere una ragione, che non sia la visione di due colpitori di palla che giocano a specchio, ognuno l'ologramma dell'altro. E tante volte ci siamo risposti che ormai è andata: le corde, le racchette, il fisico, le superfici uguali tra loro, non permettono più null'altro che questa roba. Qualche anno fa c'era stata una esaltazione collettiva per Alexandr Dolgopolov. Sembrava un animale strano, posseduto da un ritmo che era soltanto suo. Vinceva abbastanza, perdeva di più. Ma cosa importa. Era un diverso, finalmente. Poi ha deciso che era il momento di fare sul serio, di mettere ordine nel suo gioco. Un mantra ripetuto in maniera ossessiva negli ultimi vent'anni da qualunque allenatore e una disgrazia per questo sport. Dolgopolov non ha più vinto. Ma quel che è peggio ha smesso di divertire, è diventato uno come tanti, come tutti.
L'inverno è il periodo peggiore. L'astinenza da tennis si somma alla convinzione che la tendenza è Ferrer-Raonic. E così, con il direttore di questa rivista, ci siamo messi a fare un elenco dei diversi, di quelli che miracolosamente non hanno fatto ordine e sfidano i bombardamenti odierni con il loro gioco fuori moda, fuori dal tempo. Dovendo restare nei primi cento, ci eravamo fermati a 4-5 nomi, non un buon viatico per affrontare una nuova stagione di tennis. Poi è cominciato l'Australian Open e all'improvviso tutto è cambiato.
Ci eravamo dimenticati di come si può giocare a tennis… #Mishazverev
— marco imarisio (@marcoimarisio) 22 gennaio 2017
All'improvviso, Mischa Zverev. Certo, lo sappiamo che questa edizione verrà ricordata per il ritorno di Roger, ma la partita che lo Zverev sbagliato – ma siamo proprio sicuri che sia lui l'errore? – ha giocato contro Andy Murray è stata qualcosa in più di una semplice epifanìa. È stata una conferma: abbiamo ragione noi. Si può, ancora. Nonostante le Luxilon, nonostante i quadricipiti da culturisti, si può ancora giocare a tennis, basta essere dei veri giocatori. Come Mischa, che ha semplicemente messo il numero uno del mondo davanti a una serie di problemi dei quali non conosceva la soluzione, perché non li ha mai dovuti studiare. Quel rovescio tagliato e molle, non il back usato da tutti che ormai è un semplice interludio per riprendere fiato tra i bombardamenti. Quel dritto senza peso. E soprattutto, quel gioco verticale, sempre in avanzamento: mi riprendi lo smash? E io torno a rete, a mettere la palla in zone del campo a te sconosciute, a toglierti dalla tua zona di confort per farti avventurare in terre vicine ma ignote.
Questo era il tennis, questo può essere ancora. E attenzione, non è questione di rovescio a una mano, colpo diventato simbolo di tutto quel che stiamo perdendo. Alcuni anni fa, a Roland Garros, chiesero a Luca Bottazzi, che ne capisce e molto, perché Federer avesse fatto tanta fatica a battere uno sconosciuto ragazzino belga, tale David Goffin: «Perchè non è abituato a incontrare dei giocatori di tennis» fu la risposta. Colpire, colpiscono tutti. E sono tutti grossi, con polmoni inesauribili. Ma essere un giocatore di tennis è un'altra cosa. Goffin fa impazzire gli avversari, mandandoli ai matti con le sue geometrie. Grigor Dimitrov… stiamo zitti che forse è tornato. Nel nostro elenco dei diversi ci eravamo perfino dimenticati di inserire Mischa Zverev. Il tennis è ancora una cosa meravigliosa.
(*) Articolo pubblicato su Il Tennis Italiano di febbraio, in edicola in questi giorni
MARCO IMARISIO
Purtroppo, mentre scriveva questo articolo, Marco si trovava in Centro Italia, per raccontare i terribili accadimenti di quelle zone colpite da terremoto, frane, slavine. Perché lui è uno dei maggiori inviati del Corriere della Sera: era a Baghdad quando hanno arrestato Saddam Hussein, ha passato settimane all'Isola del Giglio a seguire la vicenda della Costa Concordia e di Francesco Schettino e così via. È uno dei più grandi conoscitori dei fatti del tragico G8 di Genova, ma è anche un fanatico di tennis. Lo testimonia un sms inviato al direttore durante una conferenza stampa di un noto politico: «Help! Persa password Eurosport Player, mi puoi aiutare? È urgente!»
Marco Imarisio racconta:
ANY GIVEN MONDAY (marzo 2011)
MY WIMBLEDON (giugno 2011)