Sette giorni fa Hubert Hurkacz era numero 11 della Race to Milan, poi ha vinto il Challenger di Brest e grazie al forfait di Shapovalov si è guadagnato l'ultimo posto per le Next Gen ATP Finals. Meno conosciuto delle altre baby star, il gigante polacco ha sempre avuto ben chiaro il suo futuro, ed è fra i top-100 (anche) grazie al Grand Slam Development Fund.Il 19 ottobre del 2014, a 17 anni, Hubert Hurkacz era numero 1.394 della classifica mondiale, grazie ai suoi primi due punti ATP, appena raccolti in Futures in Polonia. Eppure, alla domanda “quando ti vedremo fra i primi 100 del mondo?”, rispondeva senza giri di parole: “nel giro di due o tre anni”. Ce l’ha fatta in quattro, ma poco cambia, perché oggi è uno degli under 21 più forti del mondo e si è guadagnato in extremis un posto per le Next Gen ATP Finals della prossima settimana, grazie al forfait di Denis Shapovalov. Una sorpresa per un pubblico che lo conosce poco, dato che nel circuito maggiore ha raccolto appena tre vittorie, ma anche per lui stesso, visto che a sette giorni dalla “scadenza” della Race (al termine della scorsa settimana) era numero 11, alle spalle di Ugo Humbert e Michael Mmoh. Decisivo il Challenger di Brest: il francese si è ritirato, lo statunitense ha perso al primo turno mentre lui si è preso il secondo titolo in carriera, recuperando in un colpo solo oltre 50 punti a Humbert e scavalcandolo. Una mossa che l’ha messo in pole position per approfittare di eventuali forfait, e dopo un paio di giorni gli è valsa la chiamata per il Padiglione 1 della Fiera di Rho, dove troverà buona parte degli altri grandi del futuro. Secondo i risultati merita di starci, ma la promozione sugli altri è stata tale da offrire ai protagonisti della NextGen una popolarità enorme, superiore rispetto a tanti giocatori che li precedono in classifica. Si sa poco, invece, del 21enne di Breslavia, che promette di restituire un po’ di luce a un paese che si sta abituando all’idea di non vedere mai più in campo Agnieszka Radwanska, faro del tennis polacco negli ultimi anni.POSITIVITÀ E CONTINUITÀ
Hurkacz, che quest’anno si è fatto notare superando un turno sia al Roland Garros sia allo Us Open, ha iniziato a toccare con mano il proprio potenziale esattamente un anno fa, dopo la finale persa al Challenger di Shenzhen. “Quel torneo – ha raccontato – mi ha dato un sacco di fiducia, spingendomi a credere molto di più nel mio tennis. Mi ha aiutato a concentrarmi ancora di più negli allenamenti, e ha fatto da prologo a un ottimo finale di stagione”. Nel giro di quattro settimane è passato dall’anonimo numero 426 a un posto nelle qualificazioni dell’Australian Open, e da allora è sempre andato in crescendo, fino all’attuale 79esima posizione della classifica. All’apparenza è merito soprattutto di diritto e servizio, arma supportata dai 196 centimetri, ma in realtà, a detta sua, la vera ragione della sua esplosione è un lungo lavoro mentale svolto con coach Pawel Stadniczenko, che lo allena da un annetto. “Mi ha aiutato tantissimo – continua –, insegnandomi l’importanza di un atteggiamento positivo. È stato il più grande cambiamento che ha portato nel mio tennis: non ho più così tanti alti e bassi, e questo mi ha permesso di competere e vincere a livelli sempre più importanti. Oggi durante le partite sono più tranquillo e più continuo”. Prima, invece, finiva per autodistruggersi, fra negatività e inutili pressioni. “Ho imparato a non abbattermi, e a usare le sconfitte come lezione. In un anno si perde tantissime volte: è giusto approcciare ogni torneo con l’obiettivo di vincerlo, ma bisogna anche ricordare che la sconfitta non è un dramma. Arriva presto una nuova opportunità”.L’AIUTO DEL GRAND SLAM FUND
Il fatto che sia arrivato molto in fretta è uno dei motivi per i quali Hurkacz non è così noto al grande pubblico, insieme al suo tentativo – sempre più difficile al giorno d’oggi – di evitare i social network. Ha soltanto un profilo Facebook, e si limita a informare i suoi fans dei risultati. Non c’è spazio per la sua vita privata e le sue passioni: automobili (anche in pista da spettatore, quando possibile), la pallacanestro che da piccolo ha praticato, la lettura (“mi rilassa, e leggo anche testi che mi aiutano dal punto di vista mentale sul campo”) e la scienza, alla quale si sarebbe dedicato volentieri se non fosse diventato un tennista. Invece ha scelto la racchetta, e oggi è l’unico polacco fra i primi 200 del mondo. Se ce l’ha fatta deve dire grazie sia alla sua Federazione, che anni fa l’ha inserito in un progetto chiamato “Davis Cup Future Program”, nato per finanziare i viaggi dei migliori prospetti del paese, sia all’ITF. “Hubi”, infatti, è stato uno dei tanti atleti ad aver beneficiato di un contribuito di 25.000 derivato dal Grand Slam Development Fund, che attraverso una percentuale degli introiti dei Major punta a sviluppare il tennis nei paesi con meno risorse. Hanno deciso di aiutarlo, e ora lui punta a ripagare la Federtennis polacca portando nel suo paese quei risultati promessi qualche anno fa da Jerzy Janowicz, prima che una lunga serie di infortuni lo obbligasse a un lungo calvario non ancora terminato. “Sarebbe bello aiutare la crescita del tennis in Polonia, così che in futuro molti giovani possano arrivare a competere a livello ATP. Abbiamo già tanti ragazzini che giocano molto bene: mi auguro che un giorno possano arrivare nel tennis che conta”. La stessa ambizione che ha per se stesso, insieme all’obiettivo di dimostrare che a Milano non sarà affatto un intruso.
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