Il tennista tedesco multato dal tribunale, ma farà ricorso prima di pagare
Il polverone intorno ad Alexander Zverev non si placa. Il tennista tedesco, impegnato in questo finale di stagione nella corsa alle ATP Finals, ha ricevuto l’ennesima accusa di abusi. Se prima il soggetto maltrattato era Olga Sharypova, stavolta a ribellarsi è l’ex compagna Brenda Patea. La relazione tra i due è durata un anno e dall’unione è nata una figlia, Mayla. Il Tribunale Distrettuale di Tiergarten ha emesso un’ordinanza di pagamento di 450.000 euro per un abuso fisico che Zverev avrebbe comminato ai danni della sua ex partner nel maggio 2020 con tanto di lesioni personali.
Se Zverev avesse accettato la condanna, avrebbe evitato ogni processo pubblico “cavandosela” con 90 rate giornaliere da 5000 euro e venendo iscritto al registro della buona condotta. Facendo ricorso, le due parti saranno nuovamente ascoltate e andrà in scena un nuovo processo. Lo scorso luglio durante il torneo di Amburgo, il tedesco aveva ribadito la sua innocenza: “Respingo completamente le accuse. I miei avvocati si stanno occupando della questione, non dirò altro in merito”.
Gli avvocati che seguono Zverev, Christian Schertz e Anna Sophie Heuchemer, hanno citato i commenti del medico legale Michael Tsokos per avvalorare la loro difesa: ““Dal punto di vista medico legale, la descrizione dei fatti della Sig.ra Patea risulta incomprensibile, contraddittoria e, in vari punti, incompatibile con la dottrina medico legale e con i 25 anni di pratica medico legale del sottoscritto. Ho analizzato i fatti su cui si basa il provvedimento penale dal punto di vista forense. A causa dei rilievi oggettivi, ci sono notevoli incongruenze che non sono comprensibili dal punto di vista forense. Per dirla in altro modo: è praticamente impossibile che i fatti si siano verificati come affermato dal denunciante”. Una situazione intricata nella quale sicuramente non viene messa in buona luce l’immagine di Zverev, già inquinata dopo i fatti relativi agli abusi nei confronti di Sharypova che avevano spinto anche l’ATP a un’indagine, salvo poi rivelarsi vana.