Se non ci fosse Kei Nishikori, Yuichi Sugita sarebbe il miglior tennista giapponese dell'Era Open. A 28 anni sta giocando come mai prima e negli ultimi mesi ha fatto miracoli: quarti a Barcellona, primo titolo ATP, ingresso fra i top-50 e ottavi (bissati) a Cincinnati. Col connazionale più illustre fuori fino al 2018, può finalmente ricevere le attenzioni che merita.Quando era ancora un giovane in cerca di gloria, emigrato a 14 anni all’Accademia di Nick Bollettieri a Bradenton, Kei Nishikori l’aveva chiamato “Project 45”. L’obiettivo del progetto era semplice: gettare le basi per arrivare almeno al numero 45 del mondo, l’asticella da superare per scavalcare il best ranking di Shuzo Matsuoka e diventare il miglior tennista giapponese dell'Era Open. Il 27enne di Shimane non sapeva ancora che avrebbe fatto molto meglio, arrivando fino al numero 4 e vincendo la bellezza di undici titoli ATP, fino a diventare lo sportivo più amato dai connazionali. La distanza chilometrica e culturale dal Giappone non permette agli europei di rendersene troppo conto, ma nel suo paese d’origine Nishikori è una vera e propria istituzione, tanto che il suo staff è costretto a prenotare vari aerei ogni volta che Kei torna in nella madrepatria, per depistare la massa di curiosi pronta ad attenderlo all’aeroporto. I suoi risultati hanno fatto esplodere l’interesse per il tennis, tanto che a ogni grande torneo ci sono sempre una ventina di giornalisti e fotografi giapponesi, ma l’attenzione è quasi tutta catalizzata di Nishikori. Una situazione di cui si è accorto Yuichi Sugita, che a 28 anni ha trovato la quadra del suo tennis e sta colorando il suo 2017 a suon di risultati, tanto che – udite udite – se non ci fosse stato Nishikori oggi sarebbe celebrato come il miglior tennista giapponese di tutti i tempi, perché anche lui è riuscito nell'ambito sorpasso a Matsuoka.
QUATTRO MESI D’ORO
Dopo Nishikori, altri erano andati vicini al record: Tatsuma Ito è stato numero 60, mente Go Soeda sotto la guida di Davide Sanguinetti è arrivato alla 47esima posizione, mancando l’aggancio per appena dodici punti ATP. Ma l’unico a farcela è stato lui, grazie a una stagione d’oro iniziata da numero 112 ATP, e diventata via via sempre più importante. La classifica del tennista di Sendai è un po’ “gonfiata” da tre titoli a livello Challenger (Yokohama, Shenzhen e Surbiton), ma negli ultimi quattro mesi Sugita ha dimostrato di poter fare grandi cose a livello ATP, e su tutte le superfici. La scintilla è scattata con i quarti di finale sulla terra di Barcellona, dove col suo tennis ping-pong fatto di colpi piatti e anticipo, che gli permette di sopperire a un fisico da 175 centimetri per 70 chilogrammi, ha battuto Robredo, Gasquet e Carreno-Busta. Ma la vera impresa l’ha centrata ad Antalya, nell’ultima settimana di erba prima di Wimbledon. Non aveva mai raggiunto una semifinale ATP, e in un colpo solo si è preso quella, la prima finale e la prima vittoria, diventando il terzo giapponese di sempre a conquistare un titolo ATP, ovviamente dopo Nishikori e Matsuoka. Proprio grazie al successo nel nuovo torneo turco è riuscito a scavalcare il best ranking del secondo, e non si è fermato. A Wimbledon ha vinto il primo match in un torneo del Grande Slam e ricevuto i complimenti del suo modello Roger Federer, mentre a Cincinnati è riuscito a bissare gli ottavi del 2016, suo miglior risultato in un Masters 1000.
RIFLETTORI SU DI LUI AL MOMENTO GIUSTO
Dodici mesi fa, da qualificato, batté “Sascha” Zverev e Nicolas Mahut prima di strappare un set a Milos Raonic, mentre stavolta ha sgambettato all’esordio il numero uno statunitense Jack Sock, poi ha rimontato un set al portoghese Joao Sousa e può guardare con fiducia al duello contro Karen Khachanov. “Prima avevo troppi alti e bassi – ha spiegato Sugita dopo il titolo ad Antalya – e il tennis non lo permette. Per fare bene bisogna vincere numerosi incontri. Ho dovuto giocare tanti tornei per guadagnare punti e salire in classifica, ma ora posso concentrarmi anche sulla qualità. Mi sono allenato a dovere, e ora sento di poter essere competitivo per vari match consecutivi anche nel circuito maggiore. Un grande cambiamento nel mio approccio mentale al tennis”. La padronanza dell’inglese è quella che è, ma diventa un buon motivo per parlare il meno possibile, e concentrarsi a fari spenti sugli allenamenti sotto la guida del cubano Braen Aneiros, di appena 5 anni più grande di lui. La scheda di Sugita sul sito ATP riporta un interessante “si allena occasionalmente in Italia”, ma la bibbia di Google non viene in soccorso dei curiosi. Ciò che non è un mistero, invece, sono gli obiettivi, espressi senza scaramanzia. “Giunto a questo punto – ha spiegato – il prossimo traguardo da raggiungere sono le teste di serie dei tornei del Grande Slam. Voglio provarci con tutte le mie forze”. Con Nishikori fuori dai giochi fino al 2018, può finalmente avere l’attenzione che merita. Proprio nel momento ideale.