Prendendo in mano il microfono dopo una vittoria di routine, Mikhail Youzhny annuncia il ritiro dal tennis giocato. Dirà addio al torneo di casa, a San Pietroburgo. Forse poteva scegliere un momento più solenne, ma dalle sue parole traspariva grande emozione. Lo ricordiamo con un articolo che ne raccontava le origini, l'essenza, lo spirito.

A volte l'emozione gioca brutti scherzi. Forse Mikhail Youzhny non aveva intenzione di annunciare il ritiro oggi, non in questo modo, ma quando gli hanno messo sotto il naso un microfono griffato ESPN si è fatto prendere dall'emozione e ha informato che tra un paio di mesi dirà addio al tennis giocato. Ha spiegato che avrebbe giocato lo Us Open, poi “un altro torneo” sarebbe stato l'ultimo. Gli appassionati hanno capito al volo, l'intervistatore del BB&T Open di Atlanta no. “Fammi capire, ci stai dicendo che questo è il tuo ultimo torneo?” ha chiesto al russo, ex numero 8 ATP. “No no, giocherò tutta la Us Open Series e poi il torneo di casa, a San Pietroburgo, sarà l'ultimo”. La notizia non giunge clamorosa, perché il russo ha compiuto 36 anni lo scorso 25 giugno. Ma fa emozionare, perché si tratta di uno degli ultimi reduci degli anni 90. Per annunciare il ritiro ha scelto un anonimo match di primo turno, ad Atlanta, in cui ha lasciato appena due game alla wild card Emil Reinberg. Tornerà in campo oggi, alle 22 italiane, contro Mischa Zverev. Era lontano dalla sua Russia, in un campo centrale tutt'altro che pieno. Non c'era l'atmosfera giusta, ma Mikhail ha sentito di fare così. Ci saluterà un grande giocatore, dal tennis elegante e con un palmares di tutto rispetto: dieci titoli ATP su 21 finali, due semifinali Slam (entrambe allo Us Open, nel 2006 e nel 2010) e due trionfi in Coppa Davis. Indimenticabile il primo, nel 2002, quando colse il punto decisivo contro Paul Henri Mathieu, sulla terra indoor di Parigi Bercy, prendendosi complimenti e abbracci di Boris Eltsin. Oggi è numero 105 ATP e da qualche anno non vince più grandi partite. Però rimane un giocatore importante, rispettato dai colleghi e amato dal pubblico. Ci sarà tempo per celebrare il suo ritiro, ascoltare le sue parole, le motivazioni… per oggi, ci piace ricordarlo con un articolo scritto cinque anni fa, durante lo Us Open 2013, quando vinse una clamorosa partita contro Lleyton Hewitt. Aveva rimontato da 2-5 nel quinto set. Nelle montagne russe (appunto…) di quella partita c'era tutto Mikhail Youzhny. Un soldato, anzi, un colonnello del tennis.

COLONNELLO YOUZHNY

“Youzhny mi piace da impazzire. Incarna quello che dovrebbe essere l’uomo russo: serio, lavoratore e grande combattente”. Parola di Ekaterina Kempik, cameriera di un hotel di San Pietroburgo, dove Mikhail va a giocare praticamente tutti gli anni. La cameriera dovrà cercarsi un altro partner, poiche Mikhail è sposato da cinque anni con Yulia e hanno messo al mondo due figli, ma la sua frase rappresenta l’essenza di Mikhail Youzhny, l’uomo che gioca a tennis per una missione nata tanti anni fa, quando papà Mikhail, ex colonnello dell’esercito sovietico, capì che non c’era più un nemico da combattere. L’URSS si era appena sgretolata e lui, militare dentro e fuori, doveva trovare qualcosa per cui i suoi due figli avrebbero dovuto lottare. Andrei non ha combinato granchè, ma Mikhail è riuscito a sfondare. E il padre sarebbe fiero di lui, indomito guerriero del rettangolo colorato. Non importa il colore o la superficie: Youzhny gioca bene dappertutto. Non sono tanti i giocatori che possono raccontare di aver raggiunto almeno i quarti in tutte le prove del Grande Slam. Lui si. Ma è a New York che tira fuori il meglio: a Flushing Meadows ha raccolto due semifinali (2006 e 2010) e quest’anno ha conquistato un posto tra i primi otto grazie all’epica vittoria su Lleyton Hewitt, vincitore nel 2001. Ci aveva perso sei volte su sette, ma un vero combattente sa che la guerra non è mai finita. Puoi perdere decine di battaglie. Puoi perderle tutte. Ma se non ti hanno mai presentato la rassegnazione, tu vai avanti. A testa alta e con mille stelle sul petto. Lo ha dimostrato in un assolato pomeriggio, dove non ha certo giocato la sua migliore partita, ma è riuscito a spuntarla col punteggio di 6-3 3-6 6-7 6-4 7-5. Il punteggio racconta di un match vinto, poi perso, riacchiappato, perso di nuovo e infine vinto grazie allo sprint finale. Youzhny ha dominato per un set e mezzo, poi è calato e si è fatto riprendere dall’altro guerriero australiano, ultimo baluardo dei nati nel 1981 dopo l’eliminazione di Federer. L’australiano è stato avanti 4-1 nel quarto e poi 5-2 nel quinto. La favola sembrava la sua. Ma non aveva fatto i conti con l’ostinazione dell’Uomo Russo. Quando è andato a servire per il match sul 5-4, Hewitt ha perso un punto clamoroso sul 15-15. Servizio, volèe smorzata, Youzhny ci arriva con la punta della racchetta. Lui l’appoggia di là, convinto di aver fatto il punto. Ma Mikhail si traveste da Batman, Uomo Ragno, Superman…e con un balzo felino si è inventato il punto spacca-partita. 10 minuti dopo, la gente del Louis Armstrong si prendeva il saluto militare, unico momento in cui Mikhail mostra i denti con un sorriso.
“È un grande combattente – dice Alex Metreveli, ex grande giocatore degli anni 70 – non ricordo nemmeno quante partite ha vinto in situazioni difficili. I russi lo rispettano perchè è uno che lavora duro. Il suo spirito combattivo è qualcosa di incredibile”. Il primo esempio risale al 2002, quando vinse il punto decisivo in Coppa Davis nello storico match contro Paul Henri Mathieu. “Capitan Tarpischev mi disse che avrei giocato perchè Kafelnikov non stava bene – ricorda Youzhny – non ci credevo. Non poteva succedere. Poi alla domenica ho visto Kafelnikov con le scarpe da corsa e senza racchette. Allora ho capito”. Di quella spedizione a Parigi, primo successo in Davis per la Russia, faceva parte anche Tatiana Naumko, storica allenatrice di Andrei Chesnokov. Gli disse che avrebbe dovuto essere come un robot. Dritto, rovescio, dritto, rovescio. Niente’altro. Un giusto consiglio. Ma Mikhail sentiva qualcosa di più profondo. Un mese prima, papà Mikhail Sr. era improvvisamente scomparso. Era lui che lo aveva fatto diventare un tennista. Colonnello della Soviet Army, aveva rinunciato alla carriera militare per far giocare a tennis Andrei e Mikhail Sr. Mentre Mathieu lo prendeva a pallate, lui non riusciva a far girare la partita. Ma in panchina c’era anche Andrei. Mandò un SMS a Shamil Tarpischev. “Fagli prendere uno stop per andare in bagno”. Era l’unico modo per poterci parlare. Al rientro in campo, si prese un warning per coaching da persona non autorizzata, ma era un altro giocatore. E vinse. “Milioni di persone mi hanno chiesto cosa gli ho detto – sorride Andrei Youzhny, due anni più grande di lui – ma non ve lo dirò mai. Sono cose di famiglia”. Dopo il successo, si mischiarono sentimenti di tutti i tipi. C’era la gioia per l’impresa, ma la tristezza di non avere il padre accanto a sè. “Non averlo al mio fianco in quel momento fu terribile”. Mikhail ha iniziato a giocare seguendo le orme del fratello maggiore. Giocavano a tennis d’estate, mentre d’inverno si dedicavano al pattinaggio. Poi, un giorno, Boris Sobkin parlò con papà Youzhny e gli disse: “Se vuoi che i tuoi figli diventino professionisti, li devi mandare allo Spartak Club”. Disse di si. Furono anni duri per la famiglia Youzhny. Per raggiungere il club ci voleva oltre un’ora: metropolitana più due autobus. E lo Spartak è molto costoso. Mamma Lubov, un’economista, dovette fare due lavori part-time per aiutare con le spese. Allo Spartak, dietro le recinzioni, Mikhail ammirava Andrei Chesnokov. Ma quando scendeva in campo, mostrava un carattere tutt’altro che semplice. Spaccava le racchette, piangeva spesso. “Nessuno voleva allenare un ragazzo del genere – dice Boris Sobkin – inoltre c’era il problema di dove giocare. Si allenavano un quarto d’ora, poi arrivava un socio e dovevano spostarsi. 20 minuti dopo succedeva la stessa cosa. E avanti così per tutto il giorno. Però non mollava mai. Nei suoi occhi c’era qualcosa di speciale. A volte gli occhi dicono più di quanto possa fare un genitore. Ok, non mi aspettavo che arrivasse tra i primi 10. Ma ero convinto di lui”.
Tre anni dopo, Youzhny ha avuto il primo assaggio di cosa significasse diventare un eroe nazionale grazie al tennis. Nel settembre 1995, assistette all’impresa di Chesnokov contro Michael Stich. Annullò 9 matchpoint, vinse 14-12 al quinto e spinse la Russia in finale. “C’erano tante persone che volevano avvicinarsi ad Andrei – ricorda Youzhny, allora 13enne – entrai nello spogliatoio ed era circondato. Non mi sono potuto avvicinare, ma mi sono accorto che aveva lasciato le scarpe per terra. Le ho prese e me le sono portate a casa. Sono ancora lì”. Al di là del ricordo dall’immenso valore simbolico, Youzhny non ha mai avuto un idolo vero e proprio. Il suo unico faro è stato Boris Sobkin. Oggi, dopo 20 anni di collaborazione, basta uno sguardo. Sobkin era un professore di matematica in una prestigiosa Università Sovietica, ma giocava sufficientemente bene da fare lo sparring a Chesnokov. In questi anni ha sempre studiato. Impara, impara, impara. E trasmette ogni apprendimento a Youzhny, che a 31 anni è un tennista sempre migliore. Senza dimenticare la cultura: il 15 novembre 2011 si è laureato in filosofia presso l'Università di Mosca. Youzhny è un giocatore solido sul piano mentale. Sa adattarsi a qualsiasi tipo di condizione. Può cambiare velocità e direzione della palla con grande abilità. Non è un caso che abbia vinto il suo primo titolo sulla terra (Stoccarda 2002) e sia il quarto ad aver vinto più partite sull’erba. E pazienza se ogni tanto perde la tramontana, come quando si prese a racchettate a Miami, ferendosi la fronte, o come quando ha devastato la sua racchetta all'ultimo Roland Garros. Secondo Sergiy Stakhovsky, uno dei suoi migliori amici nel tour, il segreto di tutto questo è proprio Sobkin. “Hanno una relazione molto interessante. Leggono molto entrambi. Quando ho iniziato a frequentarli, sono rimasto sorpreso dalla qualità delle loro conversazioni. Scherzano tra loro, ma a un livello altissimo. Ci si domanda da quale pianeta vengano”. Avrà bisogno di molta, moltissima qualità nel match contro Novak Djokovic. Lo ha battuto tre volte, ma sempre indoor. L’unica sfida in uno Slam, a Wimbledon 2006, andò al serbo in quattro set. Secondo molti osservatori, Youzhny ha il miglior rovescio in slice del circuito. Una rasoiata dal movimento inusuale, difficile da tirare su. Ma contro Djokovic non basterà. Se vorrà firmare l’impresa, lui è Boris Sobkin dovranno inventarsi qualcosa di nuovo. Nel ricordo di papà Youzhny, l’uomo che vedeva il tennis come una missione. Un uomo duro, che però ride beato da lassù ogni volta che il figlio vince e lo ricorda con il suo curioso saluto militare. Lo ha già fatto 430 volte. Ma la prossima sarà sempre la più bella.

(Articolo realizzato il 3 settembre 2013)