Una giornata a Tirrenia in compagnia di staff, giocatori e coach, per capire come sia possibile che in 11 anni di attività, il Centro Tecnico Nazionale della FIT non abbia prodotto nemmeno un top 100.“Tiro il back meglio di Feliciano Lopez! Mi raccomando, scrivilo!”. La giornata al Centro Tecnico di Tirrenia inizia così, con Alessandro Giannessi esaltato per alcune giocate spettacolari. Sta recuperando dopo un’operazione al polso, nella speranza di tornare ai livelli toccati qualche anno fa. Forse non è un caso che la visita parta da lui, il più assiduo frequentatore del Centro di Preparazione Olimpica, cuore pulsante del nostro Settore Tecnico, ormai attivo da 11 anni. Numero 126 ATP nel 2012, Giannessi è il giocatore di più alta classifica prodotto e costruito laddove c’era un pugno di campi all’aperto, mentre adesso ce ne sono undici, in tutte le superfici, di cui otto coperti. Tirrenia è cambiata, pur restando oggetto di critiche, e ancora oggi è il luogo dove si radunano le migliori speranze del nostro tennis. Arrivarci non è semplicissimo: uscendo dal casello autostradale di Pisa, bisogna proseguire su una strada statale che indica sia Tirrenia che Camp Darby, una delle basi americane più grandi nel territorio italiano. Spazi immensi, piccole dogane, uomini armati, persino una radio che si sente in modulazione di frequenza e trasmette in lingua inglese: “Prenda il lungomare, poi arrivato al ristorante Le Terrazze, giri a sinistra” mi consigliano per non rischiare di finire contro il filo spinato di Camp Darby piuttosto che Vione di Vannini, il punto esatto dove sorge il Centro CONI.
L’ingresso è sobrio, senza insegne vistose, in una zona senza abitazioni. Giusto la portineria e una sbarra che regola l’accesso delle auto. Dopo circa 300 metri, attraversata la zona ristorante, foresteria e un campo di calcio dove si allena il Livorno, eccoci nella sezione tennis. Perché a Tirrenia c’è un po’ di tutto, non solo racchette e palline. Ma a noi interessa quello, per capire in che direzione sta andando il Settore Tecnico del tennis italiano. Sui due campi principali si allenano Giannessi e Filippo Baldi, tornato in Italia dopo l’esperienza in Spagna e che ha scelto Tirrenia per costruirsi la corazza giusta. Ad allenarli, Giancarlo Palumbo, 53 anni, il Responsabile Organizzativo del Centro. In realtà è molto di più: supervisiona i raduni, allena i giocatori più forti, organizza gli orari, si confronta con i tecnici, e alloggia in foresteria proprio come i ragazzi. “Lavoro molto ma quando c’è la partita del mio Napoli non ci sono per nessuno” scherza Palumbo, la persona giusta per raccontarci l’evoluzione di Tirrenia, visto che ci lavora sin dall’inizio, prima al fianco di Renzo Furlan, oggi di Eduardo Infantino. “L’evoluzione principale ha riguardato gli impianti. Nel 2004 avevamo quattro campi all’aperto, oggi ne abbiamo undici, di cui otto coperti. Inoltre abbiamo tre palestre, la pista d’atletica e una piscina a 500 metri dal Centro. Senza contare la sala medica e quella massaggi. Penso ci sia tutto ciò che serve per soddisfare le esigenze degli atleti, sia quelli già affermati, sia i giovani tennisti in crescita”.
Prima osservazione. Pare che Tirrenia abbia cambiato priorità: prima puntava a costruire i tennisti, oggi è un efficace centro di servizi per professionisti già affermati, pur senza rinunciare alla “mission” iniziale. Qual è la vera natura del Centro? “Direi 50 e 50 – continua Palumbo –: l’idea è costruire giocatori, ma non vogliamo più prenderli a 14-15 anni. Vogliamo farli crescere nelle loro realtà, magari nei centri periferici inaugurati quest’anno. Dopodiché i migliori potranno venire qui intorno ai 17-18 anni, età più consona per frequentare un Centro di alto rendimento. Allo stesso tempo siamo in grado di soddisfare le esigenze di giocatori di livello come Simone Bolelli, Camila Giorgi e Paolo Lorenzi. Senza dimenticare Francesca Schiavone, che ha ottenuto i migliori risultati quando ha frequentato il Centro a tempo pieno. I loro risultati sono lo spot migliore per il nostro lavoro”. Palumbo è persona cortese, affabile. Magari non pronuncia direttamente la parola “errori” riflettendo sulle scelte del passato, ma non si nasconde. Ad esempio, la novità 2015 del Settore Tecnico è un forte decentramento: Tirrenia è solo la punta di un iceberg che parte con i Centri di Aggregazione Provinciale (CAP), prosegue con i Centri Periferici di Allenamento (CPA) e arriva ai Centri Tecnici Perifici (CTP). Quando il ragazzo è formato, grandicello e competitivo, potrà mettere piede a Tirrenia.
Proviamo però a entrare a gamba tesa: perché questo decentramento appare un’ammissione di errori passati? “Prima seminavamo un campo, facevamo crescere il grano, ma poi lasciavamo andare i ragazzi. Ci siamo accorti che un atleta non può essere formato e maturo a 18 anni, ci vuole più tempo. Ma è un progetto che parte da lontano, sin dal 2001 con il progetto PIA, in cui si seguivano i ragazzi sin dai 7-8-9 anni. Adesso, con l’arrivo di Michelangelo Dell’Edera a capo dell’Istituto Superiore di Formazione, vogliamo che i ragazzi siano seguiti con più professionalità. Gli insegnanti devono essere più preparati e saper coprire i buchi che si erano creati in passato: prima si seguivano i ragazzi dai 9 ai 14 anni, quindi si creava un vuoto tra i 15 e i 16, infine una voragine dopo i 18”. In altre parole: i ragazzi devono crescere in periferia e solo successivamente può subentrare il Settore Tecnico, la cui missione è creare ottimi professionisti. Tutto giusto, ma ci si domanda come mai siano arrivati solo adesso a questa conclusione. Palumbo ci gira un po’ intorno. “Si può provare a riparare agli errori. In realtà, l’idea di creare il gruppo over c’era già ai tempi di Cesenatico (centro FIT negli anni 90, ndr) e poi è stata portata avanti da Barazzutti e Zugarelli nel biennio di Roma, all’Acqua Acetosa. Dal 2000 al 2004 il Centro è stato chiuso e per qualche anno l’Italia è stato l’unico grande paese senza Centro Tecnico. Abbiamo ripreso nel 2004 ma ci vuole tempo per entrare a pieno regime. Nel 2014 la FIT ha pensato di investire di più sugli over 18: prima li aiutava con contributi economici e wild card, ma non c’era il supporto tecnico di oggi. Nel 2015 è stato fatto un grosso passo in avanti, destinando molte risorse tecniche agli over 18. I giocatori che sono nel limbo dei futures e challenger hanno bisogno d’aiuto”. In passato, diversi tecnici hanno caldeggiato il decentramento messo in atto oggi. E Palumbo, pur non ammettendolo esplicitamente, lo lascia intendere: “Il decentramento è utile perché non tutti possono adattarsi a un sistema rigido, come è per definizione una struttura federale. E’ normale che sia così: si usano soldi pubblici e vanno spesi con attenzione. Inoltre bisogna giustificare gli errori: quelli dei privati passano inosservati, in federazione invece, sono amplificati. Ma noi auspichiamo unione e condivisione: Michelangelo Dell’Edera ha messo insieme Riccardo Piatti, Massimo Sartori e Umberto Rianna, ottimi coach che avevano auspicato il decentramento e adesso fanno parte, a vario titolo, di alcuni progetti federali”.
A Tirrenia si respira un’aria positiva, allegra, quasi familiare. A pranzo e cena si radunano tutti, tecnici e ragazzi, nel self-service del Centro. C’è la sensazione di avere a che fare con brave persone, gente che lavora sodo. Chi immagina una realtà intrisa di politica, si sbaglia. Ognuno fa il suo compito con passione e c’è grande attenzione ai rapporti umani, che si tratti del medico Alessandro Pierucci (punto di riferimento quando Pierfrancesco Parra è in trasferta), dei preparatori atletici o della segretaria Erika Paci. E Tathiana Garbin, la giocatrice dal passato più importante coinvolta nel progetto Tirrenia, si è inserita alla perfezione. “Credo che la FIT abbia avuto una buona idea nel coinvolgere gli ex giocatori nei piani tecnici – dice Tax, ex n. 22 WTA –: il Presidente Binaghi stava valutando l’idea ancor prima che mi ritirassi. Gli ex giocatori hanno un know-how importante da trasmettere ai giovani. Io ho iniziato dando una mano a Francesca Schiavone quando si allenava qui nel 2011, quando ha raggiunto la finale a Parigi, poi ho continuato lavorando con le under 14, le under 16, le under 18 e adesso le over”. Anche la Garbin pensa che il progetto over 18 sia cruciale. Segue Martina Trevisan e Alice Matteucci, ma è disponibile con chiunque abbia bisogno. “Da ragazzina ho lavorato al Centro Tecnico di Latina, con coach Massimo Di Domenico. All’epoca era molto diverso: si sceglievano alcune ragazze e si puntava su di loro. Oggi la FIT lavora in modo capillare, ad ampio raggio, dalle piccole fino al settore over. Le ragazze non vengono più abbandonate dopo che hanno compiuto i 18 anni: sono cambiate le prospettive”.
Serpeggia ottimismo sincero, anche se il Centro è soggetto ad una critica forte che difficilmente può essere smentita: possibile che in 11 anni non sia uscito dal Centro Tecnico di Tirrenia un solo top 100? Palumbo si aspettava la domanda e prima di rispondere si arma di foglio e matita. Anno per anno, scrive i nomi dei ragazzi più forti. Si parte dal 1989 (Trevisan e Fabbiano) e si arriva al 1997 (Pellegrino e Ocleppo). “Soltanto due annate sono andate male, il 1991 di Speronello e il 1993 – dice Palumbo –: per il resto possiamo ancora farcela. E tra qualche anno non si dirà più che Tirrenia non ha prodotto buoni professionisti. Ma credetemi: conosco i Centri Tecnici di molti paesi e sappiamo benissimo quanti giocatori escono dalle strutture federali. La percentuale è bassa, molto bassa, un po’ dappertutto. E per arrivare tra i top 100 ci sono tantissime componenti: ci sono federazioni che spendono sei volte tanto rispetto a noi ma non ottengono nulla, come la Gran Bretagna. In Francia hanno un sistema che funziona perché va avanti da 40 anni, ma anche perché sa riconoscere i risultati dei giocatori non provenienti dai centri federali. Quindi non capisco perché non si debbano riconoscere a Tirrenia gli ottimi risultati di Giorgi, Bolelli e Schiavone. Camila è passata da 150 WTA a 30, Bolelli è rinato, la Schiavone ha dato il meglio quando era qui. Sento tante lamentele sulle gestioni tecniche passate e presenti, ma è così un po’ dappertutto, anche nelle altre discipline. Ovviamente noi faremo il possibile per migliorare: abbiamo Eduardo Infantino, una garanzia assoluta. Ci vuole un po’ di pazienza, ma sono ottimista. E se i giocatori arrivano da un circolo o da un’accademia privata, va bene lo stesso, l’importante è che avvenga in Italia. A volte bisogna riconoscere che il sistema non aiuta: Gaudenzi andò in Austria, Pennetta ed Errani in Spagna: hanno cercato allenatori stranieri quando ne abbiamo di ottimi in Italia, e ci sono allenatori italiani che hanno ottenuto ottimi risultati con giocatori stranieri. Se ci mettessimo tutti insieme sarebbe meglio, ma a volte ci sono fattori chimici che non si associano. Io spero che Piatti non si limiti a Raonic, spero che Sartori costruisca un altro Seppi, che Pistolesi cresca un altro Bolelli. E ovviamente spero che Tirrenia, con Infantino e i suoi collaboratori, produca sempre più giocatori”. Per il settore femminile, la risposta arriva da Tax Garbin. “E’ un dato di fatto, per carità. Ma stiamo lavorando e sono sicura che presto avremo risultati. Prima c’erano pochi tecnici ed era difficile avere un rapporto di un maestro ogni due allievi, che è la formula migliore. Adesso lo possiamo fare, ma insisto sulla presenza degli ex giocatori. Figure come Silvia Farina e Mosè Navarra sono fondamentali per i giovani. Insomma, possiamo seguire più giocatrici e sarà più facile aiutarle. Seguiamo anche chi lavora per conto suo, non solo economicamente ma inserendoli in gruppi. Faccio un esempio: la Caregaro si è unita per un po’ di tempo al nostro gruppo, mi sono scambiata opinioni con il suo allenatore e ha ottenuto buoni risultati. Inoltre ci stiamo dedicando con grande attenzione ad un aspetto fondamentale ma un po’ trascurato: la programmazione”.
Tuttavia c’è un dato che preoccupa: analizzando le classifiche ATP e WTA, si scopre che tra i migliori 100 under 21 non c’è una sola italiana. Tra i maschi, il migliore è Gianluigi Quinzi, 50esimo. “Ci metto la faccia nel mio lavoro – continua la Garbin –: di under 21 davvero competitive ne abbiamo poche. Però l’Italia è nella media, anche se abbiamo fatto uno studio e ci siamo resi conto che una ragazza nuova non entra tra le top 100 da qualche anno. L’ultima è stata Camila Giorgi e la Burnett ci è andata vicino quando la seguivo io, battendo giocatrici forti come Muguruza, Puig e Cornet. Poi è andata in Spagna, si è infortunata, e l’obiettivo adesso è più lontano. In questo momento seguo Martina Trevisan e Alice Matteucci, oltre a Jasmine Paolini insieme a Daniele Ceraudo. Sono le nostre maggiori promesse, ma non dimenticherei Camilla Rosatello, Deborah Chiesa e Valeria Prosperi che ogni tanto viene ad allenarsi a Tirrenia. Tra le più giovani, Tatiana Pieri, capace di raggiungere una finale ITF ad appena 14 anni”. Le difficoltà degli italiani a livello junior, tuttavia, accendono un campanello d’allarme. Non è che la qualità dell’insegnamento di base sia peggiorata? Palumbo è ben cosciente del problema. “Michelangelo Dell’Edera sta facendo un grosso lavoro e vuole che gli insegnanti tornino a fare i maestri di tennis. Oggi, purtroppo, troppi maestri fanno gli imprenditori. Prima i circoli seguivano direttamente i ragazzi e i maestri potevano limitarsi al loro lavoro. Adesso hanno preso in gestione le scuole tennis, fanno gli amministratori di se stessi e spesso non sono in campo. Noi stiamo lavorando duro affinché riprendano a lavorare sul campo. L’Istituto Superiore di Formazione vuole ridare etica e dignità al ruolo di maestro. Non è facile, perché molti insegnanti sono padri di famiglia e hanno bisogno di uno stipendio. Il problema è che lo stipendio non si ottiene con l’agonistica, che anzi è un costo. Il business si fa con le lezioni private e i corsi collettivi e per questo bisogna mettere buone professionalità nei centri tecnici: i circoli non ce la fanno. In questo modo, daremo ai maestri la possibilità di fare i maestri. Ma dico un’altra cosa: tanti insegnanti vorrebbero lavorare bene, ma i genitori ne mortificano il lavoro perché pensano solo ai risultati. Non deve essere questo il metro di valutazione, specie con i bambini. Non credo che sia peggiorata la qualità dell’insegnamento, semmai è peggiorato il sistema: per ragioni economiche, i maestri sono stati costretti a fare certe scelte. Oggi bisogna distinguere tra imprenditori e maestri veri e propri. Credo che la FIT possa riconoscere qualcosa a quest’ultima categoria, e lo sta già facendo”.
L’impressione è che bisognerà lavorare soprattutto sui colpi di inizio gioco. Nelle nostre scuole tennis, il servizio non è insegnato con la dovuta attenzione. La canonica ora di tennis è così composta: 50 minuti di allenamento furibondo nei colpi da fondocampo, in tutte le varianti possibili, poi cinque minuti di gioco di volo e cinque di servizio. “Niente di nuovo – interviene Palumbo –, già dai tempi di Cesenatico avevamo l’idea di dedicare il 30% del lavoro a servizio e risposta. Forse l’input non è stato preso troppo sul serio. Siamo consapevoli che servizio e risposta sono colpi che meritano grande attenzione. Tuttavia, spesso non ci è mancata la tecnica, quanto piuttosto la struttura fisica. Di recente sono stato al challenger di Quimper e mi è sembrato di essere ad uno stage di basket, con un sacco di giocatori sopra il metro e 95. I nostri non sono così alti, l’unico che avrebbe potuto servire meglio è Starace”. Tuttavia, anche in questo caso, Palumbo torna all’importanza del ruolo degli insegnanti. Negli Stati Uniti, o nella celebrata Repubblica Ceca, i maestri di tennis fanno solo quello. “Da noi il maestro fa il custode, poi fa lezione ai bambini, quindi segue il settore agonistico, il minitennis, il corso adulti… Non trova il tempo di programmare e si affida a concetti assimilati nel tempo. E allora può capitare che utilizzi il tempo dedicato al servizio per riposare. Dobbiamo migliorare, ma in modo non traumatico: non possiamo mica far battere 150 servizi alla volta. Bisogna migliorare la mentalità dei maestri, ma anche dei ragazzini. A proposito, guarda la scena qui davanti”. A pochi metri da noi, su due campi in Play-It si sta svolgendo un raduno under 11 femminile, con 16 ragazzine provenienti più o meno da tutta Italia. “Prese singolarmente hanno discreti servizi – dice Palumbo – però in partita hanno paura di rischiare e si limitano ad una rimessa in gioco”. A supervisionare il lavoro c’è il tecnico calabrese Paolo Girella, che ci spiega il senso di questi raduni: “I migliori ragazzi, segnalati dai tecnici di macroarea vengono periodicamente a Tirrenia, in modo che i loro progressi possano essere monitorati. Il nostro compito è di parlare con i loro maestri e dare le linee guida per un lavoro corretto. Il nuovo orientamento è quello di evitare la selezione, in cui si seguirebbero soltanto i migliori quattro, abbandonando tutti gli altri. Per fare questo dedichiamo maggiore attenzione alla periferia”. Secondo Girella, quello italiano è un sistema vincente. “Ce lo invidiano all’estero, credetemi. In Spagna avranno difficoltà a confermarsi dopo Nadal, mentre la Francia spende cinque volte tanto rispetto a noi, ha 27 centri tecnici e 50 tecnici pagati dallo Stato. Tuttavia, non fa chissà quali risultati”. Oddio, una svariata serie di top 10 e attualmente tre top 20 non sono risultati paragonabili a quelli ottenuti dall’Italia (due top 20 negli ultimi 15 anni), ma Girella è giovane, attento, motivato, seppur consapevole delle difficoltà di svecchiamento del sistema. “I programmi ci sono (il FIT Junior Program, ndr), adesso dobbiamo svecchiare i metodi di insegnamento. Su questo punto stiamo operando, ma con un po’ di fatica”. Alla domanda sugli scarsi risultati di Tirrenia, almeno sull’alto livello, è d’accordo con Palumbo e con Infantino. “Oggi è un’altra cosa e sono certo che a breve si vedranno i risultati. Nel frattempo, i ragazzini sotto i 12 anni svolgono programmi innovativi”.
Nel concreto, il decentramento si esprime con la nascita dei CTP (Centri Tecnici Periferici), quattro mini-accademie sparse sul territorio dove i ragazzi vivono da piccoli professionisti prima di raggiungere l’età “da Tirrenia”. L’idea dei CTP nasce dall’esigenza di trovare luoghi di riferimento dove i ragazzi possano ricevere assistenza a 360 gradi senza allontanarsi troppo da casa. I criteri con cui sono stati scelti Palazzolo, Vicenza, Foligno e Bari? “Volevamo creare delle piccole Tirrenia, offrendo gli stessi ingredienti: assistenza totale, campi in tutte le superfici, foresteria, scuola che erogasse servizi all’interno della struttura, un centro medico interno o molto vicino e… evitare le grandi città – spiega Palumbo -. I piccoli centri sono più gestibili, mentre le grandi città sono più dispersive e fanno lievitare i costi. A Milano un succo di frutta può costare 4 euro, a Palazzolo 1. Detto questo, non ci dispiacerebbe crearne uno a Roma, magari all’Acqua Acetosa, dove ci sono già le strutture e magari e crearne uno in Sicilia perché è una regione con tanti giocatori”. L’intento della FIT è chiaro: in 3-4 anni, vorrebbero arrivare a otto centri periferici a supporto di Tirrenia, catalizzatore dell’attività di alto livello. “A quel punto, potremmo dire che la FIT avrà completato gli interventi necessari” conclude Palumbo.
Nel frattempo, nella pista di atletica adiacente ai campi indoor, le ragazze iniziano una sessione di preparazione atletica sotto la guida di Roberto Petrignani e la supervisione di Tathiana Garbin. Lavoro intensivo per Martina Trevisan e Alice Matteucci: “La nostra giornata è particolarmente dura – dice la Trevisan, tornata a giocare dopo un periodo molto difficile –: cominciamo alle 8 e lavoriamo fino a ora di pranzo, con sessioni di atletica e poi tennis, o viceversa. Dopo pranzo c’è un po’ di riposo, poi di nuovo tennis e atletica. Qui si lavora tanto e bene. Obiettivi? Ho qualcosa in mente, ma preferisco non dirlo”. La Matteucci è convinta che “non sia il luogo a fare la differenza, ma le persone. E qui a Tirrenia ci sono quelle giuste. Bisogna lavorare soprattutto sulla mentalità e se le cose andranno per il verso giusto, mi piacerebbe chiudere il 2015 intorno alla 300esima posizione”. Insieme alla Garbin, c’è il preparatore atletico Roberto Petrignani, a Tirrenia dal 2011 dopo una lunga esperienza nel mondo del calcio, che è particolarmente soddisfatto: “Abbiamo effettuato dei confronti con i pari età di altri federazioni come Spagna, Francia e Germania, e i valori dei nostri giovani sono buonissimi, oserei dire eccezionali. Da quando lavoro a Tirrenia non mi è mai capitato di trovare un fisico totalmente da ricostruire; al massimo, ho trovato fisici ‘normali’. I primi a rendersi conto della bontà del nostro lavoro sono i genitori: quando i ragazzi tornano a casa li trovano più tonici, scattanti, preparati. I cambiamenti si vedono persino a occhio nudo. Il migliore? Tutti bene, ma Camila Giorgi è impressionante: in certi valori avvicina quelli degli uomini”. Poco prima, sacca in spalla portata a mo’ di zaino, era passata Jasmine Paolini, reduce da una dura sessione in palestra, in cui ha mostrato tutta la sua timidezza (“Preferirei non farmi fotografare”). Poco dopo, insieme a Federico Gaio e Filippo Baldi è tornato in campo Alessandro Giannessi. Lo spezzino è il giocatore che ha passato più tempo a Tirrenia e secondo i critici più accaniti, il suo rovescio così poco incisivo simboleggia il fallimento tecnico della struttura. Quando lo diciamo a Palumbo, la sua espressione si fa seria. “Ci abbiamo lavorato tanto, sia io che Renzo Furlan, nel tentativo di fargli trovare il tempo giusto, ma spesso si è rifugiato nel back, suo movimento naturale. Io credo che con un papà così alto si potesse ipotizzare la sua crescita fisica, e che forse la sua impostazione potesse essere a una mano. E’ stata anche una questione di scarsa lungimiranza dei suoi primi maestri. Lavorarci sui 20-21 anni ha reso tutto più complicato. L’indecisione su cosa fare lo ha portato ad aver un rovescio mediocre, soprattutto in risposta, limite che non gli ha permesso di fare il salto di qualità. Ma è stato numero 126, speriamo che torni su. Tuttavia, ci sono giocatori che hanno fatto una signora carriera con un mezzo rovescio: mi viene in mente Daniel Brands, che ha battuto Federer pur giocando solo il back. Credo che Alessandro possa assolutamente giocare ad alti livelli. Ma vi sorprenderò: secondo me, le sue lacune riguardano altri aspetti del suo tennis più che il rovescio. Più in là vi dirò quali”. Mentre cala il sole su Tirrenia, ecco arrivare l’uomo su cui poggia buona parte del progetto: Eduardo Infantino, Direttore Tecnico del Centro. Ha viaggiato nella notte dall’Argentina a Roma, poi ha proseguito in treno. La vocazione da coach l’ha portato direttamente sui campi di Tirrenia, dove Giannessi, Gaio, Baldi e Palumbo stanno ultimando la loro lunga giornata. Il tecnico argentino confabula con Palumbo, poi prende da parte Giannessi, un cesto di palle e gli fa tirare una cinquantina di servizi in un campo in penombra. “Vi dico una cosa – dice con l’occhio furbo – io mi aspetto Giannessi intorno al numero 70-80 ATP in due-tre anni. Se non ce la fa, gli spacco la faccia”. E’ ormai buio. Le luci si spengono e il tennis italiano va a riposare, in attesa di un’altra giornata di lavoro.
Tirrenia ci è piaciuta: è vero, non è esattamente un luogo da cartolina, ma aveva ragione Corrado Barazzutti quando diceva che un Centro Tecnico “non deve mica essere un villaggio vacanze”. Gli stabilimenti balneari di Marina di Pisa sono lontani un chilometro abbondante, la distanza simbolica tra le tentazioni e la culla di un sogno. Per arrivare lassù, nel tennis che conta, la foresteria del Centro di Preparazione Olimpica è il posto giusto per sognare. Chi si lamenta, secondo noi, cerca solo scuse. E non vale più l’alibi delle strutture e delle persone. Da Infantino alla Garbin, passando per Rianna e Palumbo, ci sono tutte le premesse. Infantino non si è nascosto: ha ammesso certi errori e promesso che tra due o tre anni vedremo i primi, ottimi risultati.
Questa volta foglio e matita li prendiamo noi, pronti a verificare se nel medio periodo da Tirrenia uscirà qualche nuovo top 100, qualche nuova (concreta) speranza di trovare i nuovi Fognini, Seppi, Errani e Pennetta. La fiducia è accordata, ma adesso non ci sono più scuse.
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di | 10-Apr-15 | Storie, Tutti gli articoli