Alcaraz conferma il numero 1 battendo Djokovic e aprendo una nuova epoca del tennis: per la prima volta da vent’anni Wimbledon non è di uno dei Fab Four. E anche i suoi coetanei devono inchinarsi alla sua superiorità

E’ l’alba di una nuova era per il tennis mondiale. L’era di Carlos Alcaraz.

Il ventenne spagnolo, vincitore di un’epica battaglia in cinque set e poco meno di cinque ore di gioco contro Novak Djokovic nella finale di Wimbledon, si è confermato il numero 1 del mondo, ma soprattutto ha raggiunto il suo vero obiettivo: per dimostrare di essere il più forte di tutti, aveva detto all’inizio del torneo londinese, devo battere Nole. Contro il serbo aveva dovuto abbassare bandiera al Roland Garros causa crampi, un segno di inferiorità nervosa, prima che tennistica, un segno che qualcuno aveva già etichettato come immaturità. Sul Centre Court del torneo più prestigioso del mondo, ha invece ribaltato la situazione, con la sua capacità di cercare colpi coraggiosi anche sui punti decisivi, come ha fatto fino all’ultimo game.

E quando, dopo aver ricevuto il trofeo dell’All England Club, ha affermato: “Sono cresciuto vedendo giocare Nole in tv. Probabilmente già vinceva i suoi primi tornei quando io sono nato” era un modo per gridare, nel suo modo genuino, in un inglese tentennante: il futuro è mio. Il suo avversario, 36 anni, un dato anagrafico che certo non gioca a suo favore, lo ha in qualche modo dovuto riconoscere: “Pensavo che Carlos potesse essere una minaccia sulla terra battuta, o sul cemento (Alcaraz ha già vinto uno Slam allo US Open dell’anno scorso, che Djokovic non ha potuto giocare per i suoi problemi no-vax ndr). Non mi aspettavo che lo diventasse così presto anche sull’erba. Da quest’anno lo è”. Di fatto, il ragazzo di Murcia ha giocato solo quattro tornei su questa superficie ormai un po’ démodé, ma gli ultimi due li ha vinti, Queen’s e Wimbledon, una doppietta che è riuscita quasi solo ai grandissimi, da McEnroe a Connors, da Becker a Sampras, da Hewitt a Nadal, a Murray. Quest’anno sull’erba il suo record è un clamoroso 12 a 0.

Ma Alcaraz, che è sotto le cure attente di un altro numero 1 del mondo, Juan Carlos Ferrero, sta bruciando le tappe su tutti i fronti: non sarà stato il tennista più giovane a vincere Wimbledon (Becker lo ha fatto a 17 anni e Borg con quache giorno in meno dello spagnolo), ma già, a 19 anni e 4 mesi, era stato il più giovane numero 1 da quando esistono i ranking e con il successo di Wimbledon dimostra tutta l’intenzione di voler restare al top. Si scontrava infatti nella finale con l’unico in grado di minacciarlo, Djokovic appunto, e lo ha respinto con perdite.

La sua capacità di divertirsi stando in campo, la sua spontaneità, sono accattivanti. E’ riuscito a fare un battuta perfino sul re di Spagna, Felipe, schierato in prima fila nel Royal Box accanto ai principi di Galles, William e Kate (quest’ultima, come patronessa del Club, ha fatto gli onori di casa e proceduto alle premiazioni) e a due dei loro bambini. “Ho giocato di fronte a Felipe due finali e ho vinto entrambe le volte – ha affermato, superando con un sorriso la gaffe di chiamare per nome il monarca – spero che venga ancora a vedermi”.

Alcaraz ha tutti i colpi: il servizio (in finale ha fatto ace anche con la seconda), la potenza da fondo campo, il gioco a rete da entrambi i lati, la smorzata (della quale ha abusato contro Nole, quasi sempre pronto a raggiungere le palle corte di Carlitos), il lob, una mobilità impressionante. Nell’ultimo gioco della finale di Wimbledon ha, in successione, messo un drop shot in rete, superato Djoko con un pallonetto, fatto il punto con una volée di rovescio in tuffo, subìto un contropiede di dritto di Nole, e chiuso quando il suo avversario ha prima risposto fuori a un suo servizio a più di 200 chilometri l’ora e poi ha messo una palla in rete. Una maniera straordinaria per portare a casa il suo primo Wimbledon, con il risultato finale di 1-6, 7-6 (6), 6-1, 3-6, 6-4.

Il match ha avuto un andamento curioso: Djokovic è partito a spron battuto, aggiudicandosi il primo set in 34 minuti. Curiosamente, come Jannik Sinner prima di lui nella semifinale contro il serbo, il murciano ha sprecato una palla per il break già al primo gioco, occasioni che contro Nole difficilmente si ripretono. Nel secondo set è partito forte, strappando subito il servizio all’avversario, per doverlo restituire però già nel gioco successivo. Al tie-break ha annullato un set point e sparato un tracciante lungo linea di rovescio alla sua prima occasione. Terzo set di nuovo in vantaggio per Alcaraz, ma il game decisivo sarà l’interminabile quinto, dove alla fine ha avuto la meglio addirittura al settimo punto di break: un set finito 6-1 durato un’ora! Al quarto set rimonta di Djokovic, che come sempre esce dallo spogliatoio rivitalizzato. All’inizio del quinto, i due, come pugili a centro ring, se le danno di santa ragione. Però al terzo game Carlitos scappia via con un altro passante di rovescio, per non farsi più riprendere. Djokovic, che dà sempre l’impressione di poter resuscitare dai morti, non avrà più una vera occasione.

Mentre Nole vede svanire il sogno del 24esimo Slam, quello del Grand Slam in un anno di calendario dopo le vittorie in Australia e al Roland Garros, e quello dell’ottavo Wimbledon che lo avrebbe appaiato a sua maestà Roger Federer, Carlitos, che diventa il terzo spagnolo a vincere Wimbledon (dopo Manolo Santana e Rafael Nadal, due volte), dovrà ancora confrontarsi con il serbo per qualche tempo, ma poi, una volta tramontata definitivamente la lunghissima stagione dei Big 3 (che, con l’aggiunta di Murray, hanno vinto ininterrottamente dal 2003 a oggi, i suoi rivali saranno quelli della sua generazione o leggermente più vecchi. Il suo percorso a Wimbledon mostra che per ora è una spanna sopra a tutti: ha battuto Berrettini agli ottavi, Rune ai quarti, Medvedev in semifinale. L’altro nome spesso citato in questo consesso, quello di Sinner, è oggi sicuramente un passo indietro rispetto ad Alcaraz.