Molti la amano, qualcuno la detesta e i francesi la considerano buona per le vacche. Già ma loro sono terraioli di antica data. Null’altro che dicerie di basso taglio. Realtà vuole, invece, che l’erba incarni in se l’animo della dama capricciosa, quella sensibile all’audacia di cavalieri armati di racchetta che amano prendere il tennis di petto risolvendo tutto per le spicce. Una storia antica, quella che aleggia sui miliardi di fili vegetali del mondo anglosassone e che a Wimbledon coincide con quella dei capi giardinieri succedutesi lungo tutto l’arco delle sue 136 edizioni. Una narrazione che rasenta la leggenda, perché se per le comuni erbacce può bastare una zappa e qualche goccia di pioggia, per il Loietto Perenne, in forza a sud est di Londra, si richiede ben altro. Soprattutto oggi che regna incontrastato senza quel 30% di Festuca che fino al 2001 dava man forte nella miscelatura ideale. È con la graminacea ultimo grido che oggi si stringe l’abbraccio amoroso dei venti giardinieri in forza agli Championships, a suggello di un rapporto che risale a quando Berta filava e vanta conoscenze tali da rasentare la scienza in tema di tappeti verdi.
Il salto di qualità pare ricondursi a Reginald George Stapledon, botanico di fama, tanto insigne da meritare il titolo di Sir. Fu lui, nel primo ‘900, a spingersi verso misture inesplorate che aprivano nuove strade ai parchi della Gran Bretagna e ai prati rigati di Roehampton, Queen’s e Wimbledon. Non c’è stato Capo Giardiniere dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club che non ne abbia parlato con malcelata soggezione. Ognuno con le sue verità. Quella più colorita si rifà a Robert Twynam, in forza al prestigioso club per oltre quarant’anni, immortalato in Tennis, stupendo libro di John McPhee. Pare che il suo interesse per il tennis non andasse oltre i sei millimetri della rasatura e che fino a quell’altezza fosse un conoscitore come pochi altri. Quando nel ‘75 passò il testimone, era in grado di assortire i giocatori in gruppi di riferimento, non tanto per lo stile di gioco quanto per i danni arrecati ai suoi amati prati. Per lui i tennisti non sfuggivano a tre tipologie! Gli “Strusci”, tipacci preoccupanti che nella prima fase del servizio spostavano il piede posteriore verso quello anteriore per riunirli appena prima dell’impatto. «Quel gesto ripetuto innumerevoli volte», diceva, «lascia un solco a mezza luna talmente netto da sembrare inciso a fuoco!». Non mancava di elencare portatori sani del famigerato viziaccio: Jean Borotra e Jaroslav Drobny in testa.
C’erano poi i “Pattini”, quelli che arrivando sulla palla scivolavao per una buona metrata. «… Per carità, sono dei pericoli pubblici», affermava aggrottando la fronte, e per ripicca finiva col tessere lodi sperticate a Rosewall, Emerson e Kramer, impeccabili, a suo dire, solo perché di rado si lasciavano andare a quel peccato mortale. Infine le “Zappe”, quelli che in momenti d’ira «usano la racchetta come un’ascia!». Li avrebbe crocifissi tutti! I danni, in quel caso, erano tanto profondi da richiedere una sutura con nuova erba e una certa passione per il mestieraccio. Insomma, quarant’anni di esperienza riassunti in una triplice verità, che, assieme a rulli e rastrelli, il buon Twynam assegnò al suo successore nel momento del trapasso. Altri artigiani del verde ne seguirono le orme, nessuno rimasto vivo nell’immaginario collettivo come quell’uomo che pregava per una pioggia giusta: non oltre le due ore!
Nel 2001 la svolta epocale: fuori la Festuca e dentro il solo Loietto a rasatura otto millimetri contro i sei precedenti. L’innovazione avrebbe dato la stura a un gioco più lento e di manovra di cui l’erba sembrava orfana. «Sensazione errata», dice Neil Stubley, altro capoccia dell’All England: «Il nuovo taglio non ha rallentato un bel niente! I campi godono della stessa velocità, ma sono semplicemente più compatti rispetto al passato e restituiscono alla palla maggiore energia producendo rimbalzi più alti, favorevoli allo scambio». Segreti, ancora segreti! Come quello del taglio a sei millimetri, considerato l’habitat naturale dell’attacco cristallino, domato, bensì, cinque volte da Borg, una da Agassi e due da Hewitt, campioni di grandi vedute ma non certo puristi dell’attacco a tutti i costi. Vittorie meno attese rispetto a quelle di Nadal e Djokovic maturate sugli otto millimetri di nuova filosofia erbivora.
Tutta questa filippica per dire che l’erba ad andatura veloce è ormai storia vecchia, che anche sul verde gli scambi sono oggi di casa e che l’erba riserva verità rivelate miste a segreti ancora da dipanare. Quelli di Stubley circa la velocità immutata oppure quelli del vecchio Twynam, che ancora oggi avrebbe dato degli Strusci a Wawrinka e Berdych, del Pattino a Nadal e avrebbe inserito tra le eccellenze solo Roger Federer. Naturalmente avrebbe condannato gli iracondi nel girone delle Zappe!