
Si è capito all’Australian Open che quest’anno poteva succedere qualcosa di molto importante, ma solo quando ha messo piede a Melbourne i punti interrogativi erano più delle certezze. Invece, oggi si può a tutti gli effetti parlare di rinascita. “Come ho fatto? Ci ho creduto, fermamente. Ed è stato molto importante che ci abbia creduto anche tutto il mio team. Non sono solo io che li ho trascinati, la gran parte delle volte sono loro a trascinare me. È quello che fa la differenza. Quando dubiti in te stesso ti aiutano, e quando ti senti troppo bene ti riportano con i piedi per terra. Ho un team fantastico. Ho chiesto a tutti, sinceramente, se credevano che potessi vincere ancora dei tornei del Grande Slam, e la risposta è stata sempre la stessa: se fisicamente sei al massimo e ti prepari bene ci puoi riuscire. Ci ho creduto, avevo la loro stessa sensazione, e lo stop dello scorso anno mi è servito per tornare al 100%”. Peccato che la consacrazione sia arrivata in un non-match, ma di quello Federer non ha colpe. “Onestamente non ho capito che problema avesse Marin, stava servendo bene, ha usato anche il serve&volley, quindi non credevo che il problema fossero gli spostamenti. Quando ha chiamato il medico pensavo avesse problemi di pressione, vertigini, o qualcosa di simile. Il fatto di non aver capito che problema avesse mi ha reso la situazione ancora più facile. Magari se avessi notato un infortunio avrei cercato di mettere il dito nella piaga, come con qualche palla corta, invece mi sono concentrato solamente sul mio gioco. Ero già avanti nel punteggio e sono andato avanti per la mia strada. Mi dispiace per l’atmosfera, la gente vuole la battaglia, i cinque set, e oggi non è stato così. Ma ho già avuto dei match simili in passato. Sono felice che sia andata diversamente”.

Con l’ottavo titolo a Wimbledon, Federer è diventato il primo uomo a conquistare per così tante volte il torneo più antico (e famoso) del mondo, aggiungendo un’altra perla a un legame senza fine. “Wimbledon è sempre stato il mio torneo preferito, e lo sarà sempre. I miei miti giocavano su questi campi, ed è ancora grazie a loro che sono diventato un tennista migliore. Fare la storia su questi campi, per me, significa molto. Sono contentissimo di aver vinto di nuovo, è stato un percorso molto lungo e a volte difficile, ma è normale che sia così. Essere di nuovo il campione di Wimbledon per almeno dodici mesi è qualcosa di super speciale, che non vedevo l’ora di assaporare e godermi di nuovo. Essere parte della storia di Wimbledon è incredibile”. E non è detto che sia finita qui, visto che il ragazzo ha ancora una voglia enorme di successi. “Cosa mi spinge ad andare avanti? L’amore per il gioco, il mio team, mia moglie che è totalmente d’accordo sul fatto che continui a giocare, ed è la mia supporter numero uno. Adoro ancora giocare nei campi importanti, non mi pesa l’allenamento, non mi pesano i viaggi. E visto che sto giocando meno ho anche più tempo libero. È come se lavorassi part-time (ride, ndr)”. Tuttavia, nella seconda parte della stagione giocherà regolarmente. Forse non a Montreal, ma a Cincinnati e New York sì, poi a Shanghai e di nuovo in Europa per il finale di stagione. E quel “spero di tornare il prossimo anno” detto nel saluto finale al pubblico, che ovviamente non è passato inosservato, non deve preoccupare. “Il fatto che io torni qui non è una garanzia, specialmente a 36 anni. La prossima edizione è ancora lontana, e non si sa mai cosa può accadere. Dopo ciò che è successo lo scorso anno voglio cogliere l’occasione per ringraziare la gente ogni volta che ne ho la possibilità. Ma l’obiettivo è assolutamente quello di tornare a difendere il mio titolo”. Menomale.
