Questa 135esima edizione dei Championships celebrerà i 100 anni del Centre Court. Ecco una rievocazione di una delle finali più celebri, quella del 2019 fra Federer e Djokovic

Sulla finale del 2019 avevamo riposto tutti qualche lontana speranziella. Non ultima, quella dell’eterna giovinezza, derivata da una possibile ‘Nona’ di Roger Federer, magari colta alla veneranda età di trentotto primavere. Oltre la rete, stagliata a chiare lettere, la temibile sagoma di Novak Djokovic si aggirava sorniona tra le righe del Centre Court pronto a fare da guastafeste.

In una calda domenica di metà luglio, il match aveva mollato gli ormeggi con una serie di schermaglie mozzafiato, che fin da subito avevano tenuto sulle spine miriadi di spettatori davanti e dietro lo schermo. Per non smentirsi, Federer aveva ceduto a un tennis rocambolesco e una tira l’altra, aveva messo in atto cose ad altissima difficoltà, opposte a risposte tattiche del serbo difficilmente azzardate, o fuori misura. Come spesso accade in questi casi, non tutto era andato liscio e colpo su colpo l’elvetico aveva finito col cedere il set al tie break chiudendo con un controbalzo di rovescio finito fuori di un niente sulla diagonale stretta.

La seconda frazione, invece, se n’era andata a senso unico e con un doppio fallo finale il serbo cedeva allo svizzero un 6-1 senza macchia che pareggiava il conto e rimetteva tutto in discussione.

Procedendo a zig zag, il terzo si offriva a Federer per via di un set point sul 5-4 ma tra i due non era stato amore e alla fine non se n’era fatto nulla. In cambio, qualche game più tardi, lo svizzero avrebbe spedito un diritto passante in mezzo alla rete consegnandosi al serbo con un 7-6 ricco di grandi spunti e qualche immancabile rammarico. Un leggero brusio aveva preso a serpeggiare sulle gradinate e quando nel quarto, l’adrenalina era tornata a farsi sentire, un Federer con l’ormone in circolo aveva dominato il set archiviandolo per 6-4 con uno splendido schiaffo al volo di diritto rimarcato da un «oooohhhhh…» prolungato dei tanti assiepati sugli spalti.

Due set per parte, dunque, e tutto da rifare! Vista la posta in palio, la frazione decisiva metteva le ali match e lo spettacolo dispensava sprazzi di gioco tanto alti da evocare analogie con un’altra ‘Nona’, quella di Beethoven. Un punto di svolta in cui la fantasia aveva preso a volare, rapita dai giochi di prestigio di quei due in campo che palla su palla sembravano cullarsi sui quattro movimenti della celebre composizione. Da ‘Allegro’ a ‘Vivace, da ‘Adagio’ a ‘Maestoso, tutto sembrava fondersi nel prorompente crescendo di quella sinfonia che scandiva con note altisonanti una delle più belle partite mai viste giocare sui prati londinesi.

Ai quattro ‘movimenti’ ideati dal genio germanico, la sorte ne aveva aggiunto un quinto sull’8-7 per lo svizzero. Suonando il servizio, il campionissimo imponeva due ace issandosi fino al 40/15 per annusare il gusto di due matchpoint. Ne dissipava uno con un dritto inside out ampiamente fuori, e sacrificava il successivo per via di un passante diagonale di diritto messo a segno dall’ irriducibile Djokovic. Con ormoni armati di bazooka, il serbo l’aveva tirata per le lunghe trainando Federer verso un otto pari tutto da giocare. Erano seguiti game scoppiettanti che avevano messo i due ai ferri corti portandone allo scoperto pregi e difetti. Fino allo squillo finale quando, dopo cinque ore di tennis da far tremare i polsi, il confronto premiava il pensiero razionale del serbo elevandolo a vincitore per 13-12 al quinto.

Sportivamente, il pubblico attonito celebrava il vincitore, ma tra i tanti applausi a scena aperta si poteva captare anche il crash inconfondibile dei vetri andati in pezzi. Infranti! ….Così come la lontana ‘speranziella’, gelosamente coltivata, della giovinezza a oltranza.