Va sempre così. Disperarci per quello che non avremo o ringraziare per quello che è stato? E’ il dilemma che molti appassionati vivranno fino a domenica, quando si tireranno i primi colpi al Roland Garros 2016. Il primo Slam del 21esimo secolo senza Roger Federer. Lo svizzero si è recato a Parigi e ha fatto il possibile, ma ha capito che giocare avrebbe alimentato i rischi in vista di un’estate colma di impegni: Stoccarda, Halle, Wimbledon, Toronto, Rio de Janeiro, Cincinnati, Us Open. Per chi compirà 35 anni durante le Olimpiadi e ha una schiena di cristallo, il Roland Garros era quasi un fastidio. Sul piano strettamente razionale, obviously. Vivaddio, lo sport non è fatto solo di numeri e trofei. E’ fatto soprattutto di emozioni, la molla che spinge migliaia di persone a farsi mezzo mondo per rincorrere una pallina gialla, e milioni ad abbonarsi alla TV a pagamento. Per questo, l’assenza di Federer dal Roland Garros è un colpo che ha bisogno di essere assimilato ed elaborato. Dopo 65 Slam consecutivi, il tennista più amato di tutti i tempi salterà uno Slam. C’è molto di simbolico, in questa storia. Ad esempio il fatto che abbia giocato tutti i Major del 21esimo secolo. Ne ha vinti 17, è uscito vittorioso più di 300 volte e ha alimentato una leggenda già visibile oggi, figurarsi dopo il ritiro. In queste ore, su Twitter sta impazzendo l’hashtag #WhenFedererLastMissedASlam. Centinaia di persone, che presto diventeranno migliaia, raccontano cosa stava succedendo l’ultima volta in cui Federer ha saltato uno Slam. Tutti fanno riferimento all’agosto-settembre 1999, quando si giocò lo Us Open. E’ vero a metà, poiché Roger andò eccome a New York. Numero 106 ATP, tuttavia, fu costretto a giocare le qualificazioni. E’ più corretto dire che lo Us Open 1999 è stato l’ultimo torneo in cui Federer non ha partecipato al tabellone principale. Ma l’impressione resta. Anche perché è passata un’eternità e il mondo del tennis ha vissuto 3-4 epoche. Ci sono tante suggestioni, ripensando a quel periodo. In primis, ci è piaciuto osservare il tabellone.
CHI SI RICORDA DI EDWIN KEMPES?
Dei 128 giocatori in gara, soltanto quattro sono ancora in attività. Ma con asterischi grandi così. Tommy Haas si è recentemente sottoposto al nono intervento chirurgico e non vuole arrendersi, pur essendo fermo da un anno. Però, nella scheda sul sito ATP, non è ancora comparsa la famigerata scritta “Inactive”. Ci sono poi due doppisti. Uno è Max Mirnyi, che in quel torneo entro come lucky loser e giunse al secondo turno, perso da Yevgeny Kafelnikov. Udite udite, c’era anche Bob Bryan. Pochi sanno il gemello mancino non era male neanche in singolare. In quegli anni ci provava , si portò fino a ridosso dei top-100 e la USTA lo aiutò con una wild card. Perse in quattro set dal gigante svedese Magnus Larsson. Infine – ma questa è roba per nerd tennistici – c’era Takao Suzuki. Il simpatico e spettacolare giapponese, allenato da Claudio Pistolesi, superò le qualificazioni prima di perdere da Johan Van Lottum Oggi ha 40 anni, fa il coach ma non disdegna qualche partita qua e là. Il suo serve and volley è ancora ficcante e lo ha spinto al numero 800 ATP, ranking mai raggiunto da tanti aspiranti professionisti. Oltre a loro quattro, una marea di nomi che hanno appena la racchetta al chiodo. Forti e meno forti. Il torneo fu vinto da Andre Agassi in finale su Todd Martin. Impiegò cinque set, ma l’esito finale non fu mai in discussione. Todd giocò al 300% per intascare il tie-break del secondo e del terzo set, ma non ne aveva più. Steffi Graf si era ritirata da qualche settimana e le telecamere impiccione della CBS notarono la sua presenza sull’Arthur Ashe durante i match di Agassi. Era appena nata una storia d’amore che ha prodotto figli, denaro e anche beneficenza. Su quel campo ancora verde chiaro (la rivoluzione blu era ancora lontana), il canale di riferimento si chiamava Tele+ Grgio. Negli anni del passaggio dal satellite analogico al digitale, i dirigenti della prima pay-tv italiana pensarono di eliminare i canali monotematici e fare un mischione generalista. L’esperimento, durato un paio d’anni, è fallito miseramente. E Federer? Appena raggiunta l’età della patente, si presentò negli Stati Uniti con un paio di settimane d’anticipo. Perse al primo turno di Washington, poi addirittura nelle qualificazioni del defunto torneo ATP di Long Island. Allo Us Open batté l’olandese Edwin Kempes salvo poi perdere da un altro svizzero, Ivo Heuberger. All’epoca Roger era un futuro numero 1 (per gli svizzeri), giustiziere dell’Italia in Davis (per noi) e una delle tante promesse da tenere sotto controllo (per il resto del mondo). Nessuno immaginava che sarebbe diventato una leggenda.
IMITARE SAMPRAS?
16 anni dopo, Roger non sarà nel main draw di uno Slam. Capita proprio a Parigi, dove nel 1999 raccolse la prima presenza. Un torneo che sembrava maledetto, scoglio principale per un doveroso Career Slam. L’ostacolo Nadal sembrava insormontabile, poi nel 2009 c’è stato l’allineamento degli astri. Lo spagnolo perdeva negli ottavi da Robin Soderling. Lo svedese si spingeva in finale e l’avversario era proprio Federer. Un Federer che non poteva perdere. E infatti non ha perso. Aveva rischiato negli ottavi contro Tommy Haas (a proposito di campioni di longevità), ma un dritto sulla riga quando era sotto di due set diede il là alla rimonta. Il Roland Garros ha dedicato un bel filmato ai cinque migliori match di Federer e Bois de Boulogne. Li hanno racchiusi tutti nel triennio 2008-2011: al primo posto non c’è la finale del 2009, ma l’incredibile vittoria su Novak Djokovic nel 2011. Il serbo doveva ancora perdere una partita, ma trovò un Roger come ai vecchi tempi, come se il tempo fosse tornato indietro di 7-8 anni. Storie da declinare al passato, storie incastonate in 65 Slam consecutivi. Il bello è che ce ne saranno altri, e pazienza se il record si ferma qui (anche se resta tale: Feliciano Lopez, diretto inseguitore, è a quota 56). Il brutto è che inizia a salire la nostalgia. L’avvicinarsi di un addio e la consapevolezza di un tempo che non tornerà più. Tuttavia, per tornare all’incipit dell’articolo, va bene così. Quando Federer avrà giocato la sua ultima partita dovremo ringraziarlo per quello che ci ha dato e non piangere il suo ritiro. La storia ci ha insegnato che il tennis risorge dalle sue ceneri. Quanti campioni sembravano insostituibili? Quante volte pensavamo che sarebbe finito tutto? “Il gioco è più importante dei suoi interpreti” ha detto Roger, con la sua proverbiale saggezza. Ma c’è ancora qualche capitolo da scrivere, e una suggestione che emoziona. Allo Us Open 1999, l’allora numero 1 Pete Sampras (idolo di Federer) diede forfait alla vigilia per un problema alla schiena. Il declino era ormai iniziato, ma la storia gli avrebbe concesso non uno, ma addirittura due colpi di coda. Ogni tifoso di Roger Federer, oggi, si accontenterebbe di un ultimo grande successo.
One More Time.