A pochi giorni da New York, le riflessioni sull’ultimo major 2010. E non ci sarebbe da stupirsi se a vincere non sarà uno dei “soliti noti”…

di Fabio Colangelo – foto Ray Giubilo

 

A tre giorni dall’inizio dell’ultimo slam stagionale è sempre più aperta la “caccia al favorito”. Come sempre, alla vigilia di un major le incognite sono tante e in questo frangente ancor di più. Tutto quello che è successo nei primi 8 mesi di tornei influisce in modo determinante sulla condizione psico-fisica dei giocatori al via. I favoriti della vigilia sono come sempre i “fab-four”, anche se nessuno di loro pare essere nelle migliori condizioni.

 

Rafa Nadal dopo aver replicato (come nel 2008) la doppietta Roland Garros-Wimbledon, si è presentato ai Masters 1000 nordamericani più “riposato” rispetto alle passate stagioni, quando arrivava a questi appuntamenti logorato dai troppi match giocati. Nonostante in questa stagione abbia operato delle scelte più oculate per salvaguardare le ginocchia e la condizione, lo spagnolo ha confermato di patire le condizioni di gioco di questi tornei. Nadal ha vinto tantissimo anche sul cemento, ma per farlo ha sempre dovuto essere al 101%. Mentre su terra ed erba ha perfettamente idea di quello che deve fare, sul cemento, talvolta, non sembra avere le idee cosi chiare. Il suo straordinario modo di difendersi su questi campi non paga come sul rosso, e quando capisce che deve essere lui a imporre il gioco, non pare sicuro e convinto come sulle altre superfici. Tutto questo, unito al fatto che la maggior parte dei giocatori (vedi Murray e Baghdatis che lo hanno battuto) si esprime al meglio su questi campi, spiega come Rafa non sia mai stato “invincibile” su queste superfici.

 

Dopo i pessimi (per lui!) risultati degli ultimi 7 mesi, Roger Federer sembrava in lento ma inesorabile declino. E invece lo svizzero dopo aver subito “l’umiliazione” di essere uscito dai primi 2 del ranking dopo quasi 7 anni, si è rimboccato le maniche, è tornato a chiedere aiuto a un coach “vero” e dopo la finale di Toronto persa con Murray, ha riassaporato il gusto del successo a Cincinnati. Ma è tornato veramente? Analizzado bene le due settimane dell’elvetico, si può affermare che è decisamente migliorato rispetto agli ultimi mesi, ma è sembrato ancora lontano parente del Federer ingiocabile di Melbourne o delle stagioni d’oro. A Cincinnati ha vinto dovendo giocare solo tre partite per via dei ritiri di cui ha beneficiato nei primi due turni. Nei “quarti” ha superato un Davydenko che dopo lo stop sta faticando molto a ritrovare la condizione dello scorso inverno. In semi ha avuto la meglio su un Baghdatis stanco e un po’ appagato dalla sua prima vittoria ai danni di Nadal, mentre in finale ha dovuto sudare più del dovuto per avere la meglio su un ottimo Mardy Fish. Più significativa forse la finale a Toronto, che è maturata grazie alle vittorie al fotofinish su Berdych (col quale aveva perso gli ultimi due precedenti) e su Djokovic. Match importantissimi per il morale, ma nei quali è stato a un passo dalla sconfitta per via dei troppi alti e bassi che ha avuto nel corso della partita. Alla luce di questi risultati e della sua voglia di rivincita il numero due del mondo è da molti considerato il favorito per New York, ma dovrà ridurre notevolmente i passaggi a vuoto di cui è stato protagonista in questi ultimi tornei per poter puntare al successo finale.

 

Numero tre del ranking è il serbo Novak Djokovic, che nonostante in questa stagione sia stato a lungo anche numero due, sembra il più in crisi del quartetto. Come avevamo già detto la seconda posizione era frutto più delle “disgrazie” altrui (Nadal e Federer) che dei suoi risultati. In questa stagione ha conquistato solo il torneo di Dubai, e nonostante perda difficilmente prima dei quarti o delle semifinali nei grandi appuntamenti, non dà mai l’idea di aver compiuto quel piccolo passo che gli manca per puntare ad altri titoli di prestigio. Anche lui si è accorto che il suo tennis non è progredito nelle ultime due stagioni. Le scelte che ha operato all’interno del suo staff (Todd Martin) e nel suo gioco (il cambio del servizio) ne sono la dimostrazione, ma il serbo sembra non riuscire ad aggiungere niente di nuovo e di imprevedibile per i suoi avversari. Al momento una sua vittoria a New York potrebbe considerarsi una grossa sorpresa a dispetto della sua posizione in classifica.

 

Chi sembava ancora più in crisi di Federer e Djokovic era Andy Murray. Lo scozzese dopo lo splendido Australian Open non era più riuscito a esprimere il suo gioco dimostrandosi spesso poco sicuro e troppo attendista in campo. Murray si presentava ai Masters 1000 americani con la concreta possibilità di perdere la quarta posizione del ranking e senza il suo allenatore delle ultime stagioni Miles McLagan. La scelta sembra avergli riportato la serenità che mancava, visto che a Toronto si è rivisto il vero Murray, soprattutto nella perfetta semifinale vinta contro Nadal. Aggressivo e motivato come non lo si vedeva da mesi ha salvato il suo posto tra i “fab-four”. A Cincinnati ha pagato gli sforzi della settimana precedente, rischiando prima la sconfitta con l’incompiuto Gulbis per poi perdere contro Fish. L’eccessiva stanchezza palesata a Cincinnati in un torneo al meglio dei tre set è la vera incognita riguardante Murray in previsione degli Us Open.

 

Considerate le condizioni non ottimali dei primi quattro della classe, non ci sarebbe da stupirsi se a vincere non dovesse essere uno dei “soliti noti”. Anche qui però il quadro non è chiarissimo, visto che Berdych e Soderling dopo l’ottima primavera sembrano in calo, Davydenko lontano dalla miglior condizione, Cilic “desaparecido” da mesi mentre Roddick si è allenato troppo poco per poter reggere uno Slam intero.

Tanta incertezza quindi alla vigilia dell’ultimo Slam stagionale che potrebbe risultare pieno di sorprese e, per questo, molto divertente.

 


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