La tunisina e la ceca non hanno giocato la migliore delle finali, ma hanno entrambe una storia intrigante da raccontare alle spalle
Strana coppia, quella fra la tunisina Ons Jabeur e la ceca Marketa Vondrousova, che si è presentata sul Centre Court di Wimbledon per la finale femminile.
Alla fine ha vinto Vondrousova, alla fine di una partita che francamente non ha reso giustizia a decenni di battaglie per la parità dei sessi da parte delle “regine” del tennis femminile, Billie Jean King e Martina Navratilova, che sedevano in prima fila nel Royal Box, una da una parte e l’altra dall’altra della radiosa Kate, principessa di Galles e patronessa dell’All England Club. Il match non è stato infatti una gran pubblicità per il tennis femminile, a tratti più sagra degli errori che altro, soprattutto da parte di Jabeur, anche se per lo meno si è visto qualche scambio in più rispetto al tennis “boom-boom” degli uomini. Martina, nove volte campionessa sui campi di Church Road, e Billie Jean, a sua volta vittoriosa sei volte, non lo diranno neanche sotto tortura, ma il sospetto è che dai tempi loro il livello sia scaduto non poco. L’albo d’oro degli ultimi anni, da quando è finito il dominio della sorelle Williams e delle loro rivali, presenta una sequenza di nomi abbastanza improbabile.
Forse nessuno più improbabile di Vondrousova. La giocatrice ceca, 24 anni, che pure è già apparsa in una fine del Grand Slam a Parigi nel 2019, è la prima campionessa nella storia di Wimbledon che non sia entrata nel torneo con l’etichetta di testa di serie. Al primo turno si è presentata con una classifica di n.42. Mancina, il che sull’erba è sempre un vantaggio, in quanto i colpi possono portare l’avversario fuori dal campo, dedita allo slice, dopo aver ricevuto il “piatto Venus Rosewater” dalla principessa di Galles ha ricordato che l’anno scorso di questi tempi portava il gesso dopo un’operazione al polso e a Wimbledon era venuta come turista. Nei primi turni aveva superato diverse teste di serie di non eccelso livello, per poi battere ai quarti l’americana Jessica Pegula e in semifinale l’ucraina Elina Svitolina, diventata nel frattempo la beniamina del pubblico, solidale con il suo Paese invaso dai russi, ma arrivata al penultimi appuntamento svuotata di energie fisiche e nervose. Fino alla finale, la ceca si era fatta notare, con grande eco sui tabloid inglesi, soprattutto per la ragnatela di tatuaggi. Dopo la vittoria, ha rivelato di aver fatto, in caso di successo finale, una scommessa con il suo allenatore, che, poveretto, dovrà tatuarsi pure lui. Marketa avrà di che festeggiare con il marito, con il quale celebrano il primo anniversario di matrimonio e che fino alla finale era stato lasciato a casa a far la guardia al gatto.
Nelle vite parallele delle due finaliste, Ons Jabeur è stata anche lei sottoposta a un’operazione, in questo caso al ginocchio, subito dopo l’Australian Open di quest’anno, e anche lei ha un’esperienza di finali di Grand Slam perse, purtroppo per lei più recidiva della sua avversaria: era già uscita sconfitta infatti proprio qui a Wimbledon l’anno scorso dalla kazaka Elena Rybakina, della quale si è poi vendicata nei Championships di quest’anno ai quarti di finale, e nella finale dello US Open, dove perse con Iga Swiatek. Il suo cammino a Wimbledon è stato più prestigioso di quello di Vondrousova, avendo eliminato l’ex bi-campionessa Petra Kvitova e, dopo la Rybakina, la numero 2 del mondo Aryna Sabalenka. All’ultimo ostacolo, però, come l’anno scorso, ha perso il filo del gioco e della tensione nervosa. Magari non le ha portato bene esser proclamata dal “Financial Times”, il giorno stesso della finale, la “persona della settimana”. Alla fine dell’incontro, solo un lungo pianto a dirotto per lei che nel suo Paese, per simpatia e comunicativa, è stata soprannominata il “ministro della Felicità”. Più volte aveva detto di voler vincere non solo per se stessa e la Tunisia, ma per tutta l’Africa: sarebbe stata infatti la prima giocatrice africana, e di origine araba, a vincere un Grand Slam. Dopo la sconfitta, non le è rimasto che promettere di tornare e vincere. Chissà che, come Jana Novotna, che pianse a lungo sulla spalla della duchessa di Kent, e venne sconfitta due volte in finale prima di ricevere finalmente, nel 1998, il piatto della campionessa, la Jabeur non possa fare lo stesso un giorno con la principessa di Galles.