Il Venezuela nega il visto d’ingresso alla giovane israeliana Valeria Patiuk e al suo coach. Doveva giocare la “Copa Gatorade”. Il precedente di Shahar Peer non ha insegnato nulla?
Valeria Patiuk è n. 89 ITF, nonchè n. 769 WTA
 
Di Riccardo Bisti – 5 gennaio 2013

  
Sembrava acqua passata. Nel 2009, l’israeliana Shahar Peer non potè giocare il torneo di Dubai perchè di nazionalità israeliana. Gli Emirati Arabi Uniti le negarono il visto d'ingresso. Successe di tutto: Andy Roddick diede forfait e Venus Williams promise che non sarebbe tornata a Dubai se la discriminazione fosse proseguita. La comunità del tennis si strinse attorno a Shahar, che già un paio di mesi prima dovette sopportare i cori di scherno di un gruppo di pacifisti neozelandesi. La WTA comprese la portata dell’evento: le restituì punti e dollari, multò il torneo e lo intimò ad accettare l’iscrizione dell’israeliana per le edizioni successive. Detto fatto. La partecipazione della Peer a Dubai 2010 fu uno degli eventi dell’anno. Un’israeliana negli Emirati. Ne parlarono dappertutto. Aveva cinque guardie del corpo, che diventavano 20 durante i match. Le avevano preparato uno spogliatoio privato e la facevano alloggiare in un bunker all’interno dell’Aviation Club. Con lei solo qualche DVD e papà Dov. Orgogliosa delle sue origini, ex soldatessa dell’esercito, si spinse in semifinale. La fecero giocare sempre sul Campo 1, attorniato da metal detector. Fu battuta da Venus Williams. Alan Mills, referee del torneo, non avrebbe saputo come fare se fosse giunta in finale. L’ordine era di non farla giocare sul campo centrale. Troppo rischioso, soprattutto dopo che pochi giorni prima alcuni agenti del Mossad, travestiti da appassionati di tennis, avevano fatto fuori Mahmoud al-Mabhouh, uno dei comandanti di Hamas. Finì bene, tanto che Shahar ha ripetuto l’esperienza nel 2011 (quarti) e nel 2012 (secondo turno). “Mi hanno trattato benissimo, ho fatto amicizia con le guardie del corpo. Crediamo tutti nella pace, ma purtroppo non dipende da noi”.
 
Doveva essere uno spartiacque nella storia dello sport, ma non solo. Laddove la diplomazia non può nulla, lo sport può fare da apripista. L’opinione pubblica fece la sua parte. Ma era un grande torneo, e la Peer è un’ottima tennista. Quella che spera di diventare Valeria Patiuk, 16enne israeliana numero 89 nel ranking ITF. La sua storia non finirà nelle prime pagine, eppure è ancora più triste. Perchè ne farà le spese una ragazzina con gli occhi dell’ingenuità. I fatti: Valeria si trova in Costa Rica, dove ha giocato il Grade 1 “Copa del Cafè”. Accreditata della settima testa di serie, è giunta nei quarti dove ha ceduto in tre set alla russa Veronika Kudermetova. La prossima settimana vorrebbe andare a Caracas, in Venezuela, per giocare la “Copa Gatorade”, torneo altrettanto importante. Ma il governo venezuelano non le ha concesso il visto d’ingresso. Motivo? Venezuela e Israele non hanno rapporti diplomatici. E Valeria non potrà giocare un torneo in cui era regolarmente iscritta, e sarebbe stata testa di serie numero 3. Da tre mesi, sta vivendo una piccola odissea. Insieme a coach Assaf Yamin si sono scambiati decine di mail con organizzatori e diplomatici nel tentativo di risolvere il problema. Nei giorni scorsi, si sono recati presso l’Ambasciata venezuelana in Costa Rica, dove hanno presentato una lettera ufficiale della federtennis del Venezuela. Niente da fare, nessuna risposta. “E' triste non poter giocare un torneo per ragioni politiche – ha detto la Patiuk – lo sport è in grado di mettere insieme gli atleti senza distinzioni di genere, razza e religione. Sono profondamente delusa di non poter giocare a causa della mia cittadinanza”.
 
Valeria e il suo allenatore hanno provato a ottenere il visto quando si trovavano ancora in Israele (la Patiuk si allena presso il Centro Tecnico di Ramat Hasharon), ma non è stato possibile perchè Venezuela e Israele non trattengono relazioni diplomatiche. “Allora ci hanno consigliato di farlo tramite un paese terzo – dice coach Yamin – siamo arrivati all’Ambasciata venezuelana in Costa Rica con tutti i documenti che ci avevano chiesto: certificati della polizia, verifiche dei conti bancari, lettere delle federazioni tennistiche di Israele e Venezuela, dell’ITF e del direttore del torneo”. Visto che il tempo stringeva, hanno chiesto alla federtennis venezuelana di contattare l’ambasciata per velocizzare le pratiche. “Ci hanno fatto la cortesia, ma quando siamo arrivati ci aspettavano con risposte ridicole e non si sono nemmeno presi la briga di esaminare i documenti. All’improvviso ci hanno detto che potevamo chiedere un visto in Israele, anche se nel nostro paese non hanno rappresentanza diplomatica”. La delusione di Yamin è papabile: “So per certo di israeliani che sono potuti entrare in Venezuela tramite un paese neutrale, ma visto che siamo una rappresentanza sportiva è diventato tutto più difficile. Purtroppo l’ITF non ha messo sufficiente pressione su di loro. Se sanzioni un torneo internazionale, il paese ospitante deve fare in modo che chiunque possa competere senza problemi”. Un po’ come fece la WTA, quando mise spalle al muro gli organizzatori di Dubai. Morale? Niente Copa Gatorade per Valeria. Non sarà il torneo della vita, ma ciò che conta è il principio. L'umanità ha fatto un passo indietro. Sembrava che il caso Peer-Dubai avesse aperto le frontiere oltre le più odiose barriere. Invece lo Stato del Venezuela ha negato un sogno a una ragazzina di 16 anni, il cui unico scopo era giocare a tennis. E’ vergognoso che una cosa del genere accada nel 2013. Le giocatrici ammesse al main draw della Copa Gatorade devono presentarsi e firmare entro le 18 di domenica 6 gennaio. Mancano 48 ore, chissà se succederà un miracolo in extremis, oppure se la grancassa mediatica (piccola: solo un articolo in ebraico, tradotto per il resto del mondo dal sito www.israeltennisresults.com) è partita troppo tardi. Comunque vada, la speranza è che serva da insegnamento ai diretti interessati (il Venezuela, la stessa ITF) e a chiunque potrà trovarsi in situazioni del genere in futuro. Perchè errare è umano, ma perseverare è diabolico. E se lo diceva Sant’Agostino…