La politica entra a gamba tesa nello sport: Adel Borghei, ufficiale di gara iraniano, non può lavorare allo Us Open perché gli Stati Uniti hanno adottato misure molto severe con il suo paese. 
Il giudice di sedia iraniano Adel Borghei

Di Riccardo Bisti – 23 agosto 2013

 
Quando ha aperto la busta, Adel Borghei ha dovuto contenere i salti di gioia. La lettera, su carta intestata USTA, si apriva con il termine “Congratulations”. Avrebbe lavorato allo Us Open. Ok, non è il sogno della vita, ma per chi vive in Iran e ama il tennis, una bella soddisfazione. Come un bambino che pianifica la sua prima gita, ha prenotato il viaggio via internet (non prima di aver ottenuto un visto per gli Stati Uniti). Già che c’era, ha lavorato per diversi tornei, Canadian Open compreso. Il suo lavoro avrebbe dovuto iniziare martedì scorso, con il primo turno delle qualificazioni. Ma l’altro giorno Adel non si trovava sui campi di Flushing Meadows a gridare “out”. Si trovava in Florida, lontano dal Decoturf, in preda a un incubo. Motivo: le sanzioni imposte dagli Stati Uniti contro il suo Iran. Stavolta l’avviso è arrivato per posta elettronica. Era firmato da Rich Kaufman, direttore degli ufficiali di gara dell’ultmo Slam stagionale. Spiegava che l’attuale legge degli Stati Uniti vietava in qualsiasi modo di usufruire dei servizi di un cittadino residente in Iran. Ovviamente c’erano le scuse, il senso di dispiacere e l’augurio di ospitarlo a New York nelle prossime edizioni. Una storia del genere non poteva passare inosservata al New York Times, che ha subito contattato Borghei, 32 anni, un mucchio di passione e una tonnellata di delusione. “Qui non dovrebbe esserci politica. Io non voglio parlare di politica, ma la stanno mischiando con lo sport” ha detto in un’intervista telefonica.
 
Borghei ha un notevole background: ha arbitrato o diretto tornei in oltre 30 paesi. Per intenderci, è stato tra i giudici di linea durante la finale dell’Australian Open e ha presenziato a sette edizioni di Wimbledon. Ha conseguito il “bronze badge” come giudice di sedia e e il “silver badge” come referee. Considerando che il “gold badge” è il top per entrambi i ruoli, si tratta di un’ufficiale di gara conosciuto e rispettato. A quanto pare, il problema è un cavillo burocratico riguardante il visto. Chi risiede in Iran non può lavorare negli Stati Uniti, a meno che non ottenga un esplicito permesso. L’Open degli Stati Uniti, per esempio, avrebbe la facoltà di ingaggiare un ufficiale di gara iraniano, ma solo per certe tipologie di visto. Lo ha detto un portavoce del dipartimento del tesoro, specificando che l’esenzione potrebbe arrivare per persone con “straordinarie abilità” oppure atleti, artisti e intrattenitori. Borghei è in possesso di un semplice visto turistico. Ottenere l’autorizzazione comporterebbe una serie di passaggi burocratici. Cose complicate, che potrebbero risolversi grazie al buon senso. Allo stesso tempo, il Paese che ha visto crollare le Torri Gemelle non vuole fare sconti a nessuno. Farhad Alavi, esperto di legge e rapporti internazionali degli Stati Uniti, sostiene che la decisione dello Us Open si è basata su una rigida interpretazione delle leggi. “Queste normative hanno creato un mucchio di problemi a persone totalmente estranee alla vita politica. E Borghei è tra queste”. A suo dire, potrebbe appellarsi all’ufficio di controllo per gli straniere e chiedere un processo accelerato, in modo da poter sbarcare a New York in tempo per il main draw.
 
Come tanti ufficiali di gara, Borghei è stato un tennista prima di salire sul seggiolone. La prima certificazione risale al 2000 e ha ben presto intrapreso una carriera internazionale. Nel solo 2013, l’abbiamo vistao arbitrare in Australia, Giappone, Corea del Sud, Olanda, Polonia e Canada. Un paio di settimane fa era a Montreal per la Rogers Cup. Proprio mentre si trovava lì ha ricevuto la mail in cui veniva informato che non avrebbe lavorato a New York. Ha provato a rivolgersi al Comitato Olimpico Iraniano, ha chiesto il supporto degli avvocati, ha domandato spiegazioni ai funzionari americani, ma ha ottenuto soltanto risposte vaghe. Ha trovato ospitalità presso un amico in Florida, ma ha comunque speso alcune migliaia di dollari da quando ha dovuto cambiare programmi. Ma non ha pretese economiche: semplicemente vuole lavorare. Si giocherà ogni carta possibile, resterà negli States fino all’ultima traccia di speranza. “Se fossi interessato al denaro, non sarei qui. Vorrei solo partecipare al torneo e vivere il mio sogno. I soldi e la politica non contano: qui si tratta di tennis”. Non è la prima volta che gli ufficiali di gara dello Us Open finiscono al centro delle cronache: lo scorso anno, Lois Goodman fu addirittura arrestata prima di scendere in campo perché accusata di omicidio. Oggi, dopo la piena assoluzione (persino i PM avevano chiesto l’assoluzione), ha addirittura fatto causa alla polizia. Questa è un’altra storia. Adel ha il diritto di lavorare a Flushing Meadows. Se glielo negheranno, sarà una brutta pagina di sport. Ma non era proprio lo sport quel meraviglioso mondo capace di abbattere le barriere, a suon di spot e storie strappalacrime?