535 punti. È il divario virtuale tra Dominic Thiem e Kei Nishikori, rispettivamente numero 8 e numero 10 della classifica valevole per le ATP Finals. In mezzo c'è John Isner, ma il giapponese può ancora sperare in un clamoroso sorpasso. Ha già giocato tre Masters, con un paio di piazzamenti in semifinale (2014 e 2016), ma farcela nel 2018 avrebbe un sapore speciale. Esattamente dieci mesi fa, dopo aver saltato l'Australian Open per i postumi di un delicato problema al polso, era ripartito da un torneo Challenger, a Newport Beach. Perse contro Dennis Novikov, non esattamente un fenomeno. Oggi, invece, sogna un piazzamento tra gli otto big, fermo restando che anche la nona posizione potrebbe essere buona, visto il recente infortunio di Juan Martin Del Potro (che ha appena iniziato la riabilitazione: un suo recupero in tempo per Londra è complicatissimo, ma non è ritenuto impossibile). “Non era facile immaginare uno scenario del genere – dice Nishikori – ma negli ultimi due mesi ho giocato davvero bene e ora ho la fiducia necessaria. È bello essere tornato a questo livello”. Lo scorso anno, di questi tempi, stava recuperando dal problema al polso che lo aveva portato a un passo dall'intervento chirurgico. L'ha evitato grazie ai trattamenti suggeriti da uno specialista belga: durante la preparazione invernale ha anche leggermente modificato il movimento del servizio, in modo da sollecitare il meno possibile il polso. “Ho provato a non utilizzarlo molto – racconta Nishikori – ho discusso con i miei allenatori e abbiamo cambiato alcune cose. Adesso è un movimento migliore e credo che le cose stiano andando meglio”. Il recupero è stato piuttosto rapido: già a febbraio (nella settimana in cui il suo Giappone cedeva all'Italia in Coppa Davis) ha vinto un Challenger a Dallas, poi ha subito colto la semifinale al New York Open.
VENERDÌ CONTRO THIEM?
Mese dopo mese, il rendimento è cresciuto: era sceso fino al numero 39 ATP, ma una serie di ottimi risultati lo hanno riportato ai piani alti. Finale a Monte Carlo, quarti a Roma, quarti a Wimbledon (prima volta) e semifinale allo Us Open. Non è riuscito a vincere il torneo di Tokyo, bloccato da Daniil Medvedev in finale. Peccato: 200 punti in più gli avrebbero fatto comodo. “Ma va bene così, perché a inizio anno sono partito piano, era complicato giocare. Non sentivo il ritmo e non avevo fiducia. C'è voluto del tempo per arrivare al 100%, ma credo di avercela fatta”. Prima di esordire (e vincere) contro Frances Tiafoe, gli hanno fatto visitare il Teatro dell'Opera, laddove ogni anno si tiene il famoso concerto di Capodanno. Nonostante sua madre sia un insegnante di pianoforte, non conosce troppo bene quel mondo. “Non avevo mai visto un teatro d'opera: è stato bellissimo, una delle migliori esperienze della mia vita”. Il talento musicale in famiglia si limita alla madre. Per lui, che pure risiede negli Stati Uniti, neanche il canto è un'opzione. “Io e il mio team non cantiamo, però credo che Michael Chang sia molto bravo. Mi è capitato di ascoltarlo”. Tornato serio, ha detto di apprezzare la città di Vienna, dopo che per anni aveva scelto Basilea (cogliendo la finale nel 2011 e nel 2016). “Avevo sempre desiderato visitarla, è divertente cambiare ogni tanto programmazione. Avevo sentito dire che è bellissima, ho visto tante belle cose”. In questi giorni, tuttavia, non potrà pensare troppo alla torta Sacher o a distrazioni varie, perché c'è una (complicata) rincorsa da effettuare. Giovedì troverà il vincente di Khachanov-Novak, con il russo reduce dalla vittoria a Mosca. Un crocevia per il futuro potrebbe essere il quarto di finale contro Dominic Thiem. Dovesse perdere, l'unica speranza londinese sarebbe il nono posto con il forfait di Del Potro. In caso contrario, potrebbe continuare a sperare nella clamorosa rimonta. Un successo a Vienna, ma anche una finale, rimanderebbero ogni verdetto a Parigi Bercy.