Sconfitto da Svitolina e Munar, la leggendaria ‘sister’ e il pivot americano potrebbero aver giocato l’ultima partita della loro carriera a Wimbledon

LONDRA – Venus e John, con le loro sconfitte se ne va un pezzo di storia di Wimbledon. Quando una diciassettenne Venus Williams debuttava su questi prati – perdendo in tre set dalla polacca Grzybowska – era il 1997, l’anno della morte di Lady Diana e di Gianni Versace, dell’uscita al cinema di Titanic, del primo volume della saga di Harry Potter, del morso di Tyson all’orecchio di Holyfield, dello sbarco in Italia del vincitore del Pallone d’Oro, Ronaldo il Fenomeno, della nascita di Google. Ventisei anni dopo, la statunitense – scesa al numero 558 del ranking – è ancora in campo, anche se gioca sempre meno. Nuovo allenatore (Hugo Armando) ma la stessa voglia di vincere, di lottare, di allontanare il giorno dell’addio. Il fisico però è sempre più acciaccato, con la rovinosa scivolata del quarto gioco («un dolore fortissimo, ma non ho mai pensato di abbandonare il campo», ha detto) che non ha potuto che peggiorare la salute del suo ginocchio destro, cronicamente malandato. A Wimbledon (per lei è stata la 24ª partecipazione, record assoluto nell’era Open) Venus ha vissuto i suoi giorni migliori, trionfando cinque volte (più quattro finali perse) e giocando 109 partite. Contro Elina Svitolina – che sta cercando di ritrovare il suo tennis migliore, dopo la gravidanza e la crisi legata alla guerra in Ucraina – il pubblico del Centrale era schierato tutto dalla sua parte ma la campionessa californiana, visibilmente menomata e in difficoltà negli spostamenti, ha potuto offrire ai tifosi poco più di una dignitosa difesa. La rivedremo nel 2024, quando gli anni saranno diventati 44? «I piani per il futuro? Non li racconto certo a voi», aveva detto prima della partita di primo turno.
Non ha vinto quanto Venus Williams, ma anche John Isner ha contribuito a costruire la leggenda di Wimbledon, grazie al match più lungo della storia del tennis, quella sfida del 2010 sul campo 18 contro il francese Mahut, durata tre giorni e conclusa con l’incredibile punteggio di 70-68 al quinto set. Nel 2018, poi, il ragazzone americano (208 centimetri di altezza) aveva raggiunto qui le semifinali perdendo dal sudafricano Anderson “solo” per 26-24 al quinto set, partita che fu la spinta decisiva per l’introduzione del tie break nel set finale anche a Wimbledon. Quest’anno il trentottenne Isner – ora 103 del mondo, e solo 4 partite vinte nel 2023 – ha perso in quattro anonimi set con lo spagnolo Munar, un pedalatore senza grandissime qualità – e con un carattere non troppo simpatico – che in carriera aveva vinto finora solo un match a Wimbledon. Il maiorchino – classe 1997 – ha strappato ben cinque volte il servizio a Isner, a cui non sono bastati 17 ace. «Gli anni si sentono tutti, ma questi campi rappresentano per me qualcosa di particolare, di magico», aveva detto John prima dell’inizio del torneo. Chissà se troverà ancora la forza di riprovarci.