Un Vavassori triste e deluso, si lascia andare in conferenza stampa su considerazioni sul senso della sconfitta e sulla “crudeltà” dello sport

«E cosa devo fare, impiccarmi?». Gli occhi del Vava, nella terrazzona della zona mista qui al Roland Garros, si riempiono di una tristezza un po’ sconcertata. Non rabbia: più desolazione, delusione. Non solo e non tanto per il quarto di finale di ‘Misto’ perso con Sara Errani per un niente, un diritto fuori di pochi centimetri dopo aver avuto anche un matchpoint a favore. Ma anche per l’impressione di trovarsi sotto processo per un ‘rigore’ sbagliato. Poi arrivano anche le lacrime di Andrea Vavassori, un fiume di emozione che lo travolge, tanto che Sara Errani lo abbraccia, lei minuta, ma un concentrato di forza, come per proteggerlo. Come si fa con un amico, con un fratello. Le lacrime che Andrea non riesce a trattenere quando gli chiediamo che cosa gli resterà addosso, di questa Olimpiade, di questo torneo strano per il tennis, magari scomodo, anomalo, difficile da maneggiare. Ma che ti arriva al cuore.
In mezzo, però, Andrea da ragazzo sensibile e intelligente, riesce anche a riproporre la questione esplosa nel nuoto con le parole sprezzanti di Elisa Di Francisca a Benedetta Pilato, ‘felice’ per un quarto posto che per la ex schermitrice rappresenta invece una vergogna, un fallimento imperdonabile.
«Io credo che ormai si sia persa la cultura della sconfitta – dice Andrea – del valore di una persona, di un atleta che fa tanti sacrifici per arrivare alle Olimpiadi, e che se ce la fa vuol dire già che ha dei valori importanti. Penso a quanto è successo con Benedetta Pilato. La Di Francisca non la conosco, per carità non voglio essere io a crocifiggerla, ma per me quello che ha detto la Pilato dovrebbe essere la normalità. Invece ormai funziona così: o vinci la medaglia o sei un fallito».
Andrea fra l’altro è uno che è arrivato tardi nel grande tennis, che si è costruito praticamente da solo, insieme al padre, una carriera importante. «Quando ero piccolo nessuno credeva in me, quindi a certe cose sono abituato a passarci sopra. Però ogni giorno dai social arrivano insulti, minacce, io non voglio neanche aprirlo ora il cellulare, perché so che cosa ci troverò. Purtroppo un tempo i commenti da bar li sentivi, appunto, solo al bar. Ora sono dappertutto…».
«La verità – continua – è che se uno come Ceccon, da cui ci si aspetta che vinca l’oro, lo vince significa è un autentico fenomeno, e bisogna celebrarlo. Ma questo non significa che se non ce la fa debba essere crocifisso. La Pilato ora lavorerà per la prossima Olimpiade, in cui magari vincerà anche lei l’oro. Io ora sono dispiaciuto, ma da domani lavorerò per essere a Los Angeles e vincere una medaglia. E se non ci riuscirò, anche all’Olimpiade dopo. Concentrarsi su un singolo punto è un errore, in doppio basta un nulla, un net sfiorato, un po’ di forza in più o in meno. Ma quest’anno in Australia sono arrivato in finale con Bolelli, e quella finale mi ha cambiato la stagione, senza quel risultato non sarei neppure qui. Eppure potevamo perdere al primo turno, quando l’abbiamo spuntata 10-6 al supertiebreak». Lo sport ha già una sua dose di crudeltà, inevitabile. Non rendiamola ancora più pesante».