I match agli Us Open finora ci hanno mostrato un Matteo Berrettini meno «martellante», attento non solo alla potenza ma anche a tutelare un fisico troppe volte colpito da gravi infortuni. Nella seconda settimana degli Us Open le prospettive sono più che interessanti
Letterario o zoologico che sia, il termine metamorfosi allude alla trasformazione di un essere o un oggetto in un altro di natura diversa. Una definizione che ben calza al mutamento tecnico e agonistico in atto da tempo nel tennis di Berrettini.
Il Matteo prima maniera faceva della forza il suo modus operandi ed entrava in campo con i globuli rossi armati di bazooka. Così equipaggiato, metteva in atto colpi esplosivi ai limiti della balistica che per qualche tempo hanno finito per impallinare anche avversari assai più blasonati. Di quì i grandi risultati e la sensazione di poter presto vincere uno Slam dopo averlo più volte sfiorato a Melbourne, New York e Londra. Un traguardo solo rimandato, che nel frattempo ha lasciato spazio ad altri successi, tutti importanti e colti su ogni superficie. Secondo un’astrusa legge di compensazione, insieme alle grandi affermazioni sono arrivati anche maledetti infortuni che hanno costretto il nostro eroe a lunghi periodi di stasi serviti se non altro a riflettere su un gioco che insieme ai risultati procurava qualche malanno di troppo.
Non ho certezza di quanto scrivo, ma stando così le cose, a bocce ferme Vincenzo Santopadre avrà captato la necessità di cambiare qualcosa nel registro tattico di quel ragazzone che, a dispetto della sua stazza da gigante buono, mostrava tuttavia segni di fragilità. Di comune accordo avranno identificato un tennis più morigerato esaltando il controllo e ricorrendo solo a tratti all’uso della potenza.
Sempre buttandomi a indovinare, penso che alla luce di questa nuova veste, il tennis di Berrettini sia passato attraverso un periodo di decantazione fatto di alti e bassi, per riapparire ai giorni nostri mutato in un gioco di manovra ricco di variazioni e potente quando serve. Fino al giocatore visto ieri sull’Arthur Ashe opposto a un Andy Murray in cerca di riscatto. Un bel match dominato dal romano senza buttare bombe a mano ma stando continuamente una spanna sopra lo scozzese, avversario pericoloso che in quanto a tattica la sa lunga più di tutti.
Ed ecco il nostro portabandiera entrare a vele spiegate nella seconda settimana del torneo e la narrazione sul suo percorso racconta di un tabellone niente male che si profila di qui in avanti. Ma siccome sono scaramantico e penso che parlarne porti jella mi taccio e aspetto gli eventi. Dico solo che questa vittoria è una flebo di fiducia per lui e il suo sapiente coach, una riconferma sulla bontà degli aggiustamenti adottati. Aggiungo che in tema di metamorfosi possiamo raccontare la storia di una crisalide silente che dopo lunga gestazione da alla luce una splendida farfalla dotata di ali colorate capaci di volare lontano.