dal nostro inviato a New York Gabriele Riva – foto Ray GiubiloTutti promossi a pieni voti gli italiani di scena martedì a New York, cinque su cinque

dal nostro inviato a New York Gabriele Riva – foto Ray Giubilo

Tutti promossi a pieni voti gli italiani di scena martedì a New York, cinque su cinque. Hanno vinto tutti quelli impegnati in un martedì in cui le stelle e strisce si sono tinte di bianco, rosso e verde. Andreas Seppi, unico azzurro del gruppo ad essere accreditato di una testa di serie, la 31esima, ha superato il coreano Hyung-Taik Lee. Sempre avanti nel primo e nel secondo parziale, l’atleta di coach Max Sartori si è portato sempre in testa di un break per proteggerlo e aggiudicarsi i rispettivi parziali. Contro un avversario dal gioco pulito e dal rovescio pressoché piatto, Andy ha fatto vedere di saper tirare forte quando serve e di saper chiudere con autorità non appena la palla avversaria lo consentisse. Dopo il vantaggio di due set a zero, Seppi si è preso un set di pausa prima di ritornare avanti di un break nella quarta partita. Vantaggio sprecato. Altra chance, e altro break di vantaggio. Pure quello sprecato. E allora, con due occasioni così non sfruttate, la situazione si è complicata non poco. Quinto set, non proprio prevedibile a inizio match. Qualche solita incertezza di troppo sul servizio, troppi break subiti, tanti doppi falli e una sicurezza che, specialmente sulla seconda di servizio ancora non arriva.

A iniziare la striscia vincente, prima dell’altoatesino, due donne: Roberta Vinci e Flavia Pennetta. La siciliana ha superato in due set agili e semplici la francesina Stephanie Cohen Aloro con il punteggio di 6-1 6-4. L’ha seguita a ruota la brindisina Flavia Pennetta, distratta e troppo fallosa in un primo parziale da mani nei capelli contro un’altra Stefanie, la svizzera Vogele. Flavia si è saputa rimettere nei giusti binari ed è risalita dal 2-6 iniziale per vincere 6-2 6-2 i set conclusivi e portare a casa il match. Una vittoria importante perché dà fiducia visto che, come si dice nello sport, è importante vincere anche, se non soprattutto, quando non si gioca bene. E la Pennetta di oggi non ha giocato bene, ha sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare con il diritto e a tratti anche di più. Bella solo nella mise la Flavia odierna, magliettina bianca, gonna marrone, calzini in tinta e borsone Wilson sempre marrone profilato oro. Gran classe.

Tornando al tennis giocato delle azzurre, ottimo successo anche per Tathiana Garbin, che sul campo n.15, ha superato l’estone Maret Ani. Solida “Tathy”, concreta e precisa in un primo set ben giocato da lei e completamente steccato dall’avversaria. Nel secondo le cose sono cambiate, l’estone (che in campo si sprona e si lamenta in italiano) ha ritrovato colpi e profondità. E’ stata più dura dunque ma neanche troppo, il 7-6 finale è frutto, come spesso accade nel tennis, di poche palle fondamentali, i cosiddetti punti importanti. “E quelli li ho giocati tutti meglio io, molto più di lei”. Sta bene la mestrina, fisicamente e mentalmente e adesso si appresta a sfidare, al secondo turno degli Open Usa, Agnes Szavay. Da ottobre si trasferirà in pianta stabile a Palermo, dove già si allena con Francesco Palpacelli. “Sto bene e sono felice, ho tanta energia e tanta voglia. Ora però… vado a magnà”, ha chiuso il suo incontro con i giornalisti, con il solito sorriso e la frizzante simpatia. Tathiana è la sesta azzurra su sette ad aver vinto il proprio incontro di primo turno. Unica eccezione Karin Knapp, le altre tutte avanti: Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Roberta Vinci, Maria Elena Camerin e Sara Errani. Così come i due ometti impegnati oggi, già detto di Andreas Seppi e (a parte) di Flavio Cipolla. Unici rammarici quelli per Simone Bolelli, e in attesa di Potito Starace, impegnato mercoledì con Radek Stepanek. Insomma, la spedizione azzurra a New York sta vincendo e, a tratti convincendo pure.

Ana Ivanovic ha aperto il programma di oggi sul Centrale. Lo ha fatto contro la russa Vera Dushevina e la testa di serie numero 1 del torneo ha avuto il suo bel da fare per superare l’avversaria, tanto che è dovuta ricorrere al terzo set. Vince anche Serena Williams, che invece il programma sull’Arthur Ashe lo ha chiuso superando Kateryna Bondarenko, la meno temibile delle sorelle ucraine.


Sul numero correntemente in edicola de Il Tennis Italiano trovate le storie americane di 40 di Us Open a firma del grande Rino Tommasi. Qui, giorno dopo giorno, in questa prima settimana newyorchese… altri racconti, altri aneddoti e altre curiosità dalla Grande Mela

 

dal nostro inviato a New York Gabriele Riva – foto Ray Giubilo

New York Story se ce n’è una. Anzi, questa qui sfiora quasi la favola. Flavio Cipolla, numero 142 delle classifiche mondiali, era praticamente già su un aereo dopo aver perso nel terzo turno di qualificazioni degli Us Open. E invece… Prima il colpo di fortuna di essere sorteggiato, sui 16 papabili, come terzo lucky loser, il terzo da tenere lì caldo caldo pronto per entrare in campo in caso di defezioni nel tabellone principale. Prima Koubek, poi Ferrero e infine Mikahil Youzhny, russo testa di serie numero 21 del draw principale. “Non ho saputo con certezza di giocare fino a qualche ora prima del match, anche se in verità mi avevano avvisato che Youzhny non stava bene, è stato chiuso in camera per tre giorni!”. Comunque sia il nostro è rientrato in gara contro il ceco Jan Hernych, uno spilungone dal tennis piuttosto aggressivo, dalla buona mano e senza paura della rete. Uno che non ha paura di presentarsi anche a rete quando gli va. Ma Flavio lo ha fatto impazzire, lo ha irretito nella sua fitta trama di tagli, equilibrando alla grande la scelta dei top e dei back. Il campo non-suo, ma originariamente di Youzhny, era il Court 10. Un catino situato nella zona sud del Billie Jean King International Tennis Center, con una tribuna di mattoni rossi su uno dei due lati lunghi e un altro paio appena accennate, in lamierona, sull’altro lato lungo e su uno dei due corti. Uno “stadium” (a New York si chiamano tutti così se sono all’aperto, a prescindere dalle dimensioni) che è diventato suo per davvero. Un match lungo cinque set, durato quattro ore e 45 minuti, vinto al tie-break del parziale decisivo, più di così ci si può aspettare solo la carrozza coi cavalli e la scarpetta di cristallo.

E sempre più di fiabesco si tinge la vicenda ascoltando quello che ha da dire in conferenza stampa, il buon Flavio. “La prima cosa che devo confessare – ha attaccato Cipolla – è che non mi sono preparato bene per questo torneo. Quasi per nulla. Ho fatto una settimana di vacanza a Palma di Maiorca, sono tornato e mi sono allenato una settimana sul veloce a Roma”. E poi quel problema al ginocchio, un infiammazione al tendine rotuleo, che non prometteva nulla di buono per i terreni duri. “Non pensavo di poter giocare tanto a lungo e non sentire quasi nulla. Anche perché non avevo mai giocato prima un quinto set, per la verità nemmeno un quarto set, se non in doppio. Figuriamoci pensare di poterlo anche vincere”. Altro dettaglio da fiaba: Hernych, in due precedenti con Cipolla, aveva lasciato al Nostro solo cinque game, cinque game in due partite! “Certo, perché è un giocatore che mi dà fastidio molto: è aggressivo, viene a rete sulla seconda e non ti dà ritmo”.

Flavio, di verde acceso vestito, si è conquistato l’amore e il tifo degli americani che lo hanno incitato per tutto il match, e in particolar modo nel parziale decisivo. Certo, le grida di approvazione e di incoraggiamento lasciavano allargare le labbra in un sorriso spesso e volentieri. Non solo i fan statunitensi infatti ne mispronunciavano il cognome, con qualcosa che dovrebbe assomigliare, in trascrizione, a un “Go Sipòla”, ma anche cambiandone il nome: in più d’un occasione qualche sbadato appassionato ha urlato verso il campo “Go Fabio”… Questioni onomastiche a parte, la grinta del figlio di Quirino ha trascinato tutti. Senza cadere nella banalità di un Davide che batte Golia, la differenza fisica tra i due giocatori si è vista tutta nel momento della stretta di mano. Hernych sembrava un gigante al fianco del nostro piccolo talento, quello che in molti, e a ragione, hanno chiamato il “Santoro Italiano”. Uno capace di magie, trucchi e colpi di genio. Che sarà, speriamo tutti, chiamato a ritirare in ballo contro Lu (Taipei) che ha superato Nicolas Lapentti qui a New York (Murray e Calleri a Pechino). “Di lui so solo che sa giocare bene sul veloce, ma non l’ho mai visto – ha confessato Cipolla – proverò a informarmi”.  


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dal nostro inviato a New York Gabriele Riva – foto Ray Giubilo

Una partita, una storia. Una storia lunga, quindi mettetevi comodi. Intanto perché quando un match supera abbondantemente le quattro ore di gioco, di cose da dire e da raccontare ce ne sono a bizzeffe. Ma soprattutto perché sono i protagonisti a rendere una storia speciale. Il primo, il protagonista per noi principe, si chiama Flavio Cipolla. La sua storia, i cui primi capitoli abbiamo gi à raccontato, è quella di uno che viene in America perché ha i punti per entrare nel tabellone di qualificazione degli Us Open. Ci viene senza crederci troppo, perché il cemento non è la terra rossa e perché non si è allenato a dovere. In più ha un infiammazione al tendine rotuleo che lo perseguita. Puntualmente in “quali” arriva la sconfitta, ma al terzo turno. La sorte lo rimette in corsa come Lucky Looser. Quando la fortuna tende la mano bisogna far di tutto per stringerla al volo. Flavio la afferra, e non la molla più. Batte in cinque set Hernych, poi al secondo turno, che già avrebbe avuto del sorprendente alla vigilia, supera Lu e va avanti. A questo punto entra in scena l’altro personaggio, l’antagonista, per certi versi; il “cattivo”, e poi vedremo perché. E’ l’avversario del terzo turno, Stanislas Wawrinka. Uno che fino a qualche tempo fa poteva essere considerato il Cipolla svizzero, una vita all’ombra di Federer, come al di qua delle Alpi Flavio è stato all’ombra dei vari Starace e Volandri prima, Seppi e Bolelli poi. Stan però ce l’ha fatta a farsi spazio e a brillare di luce propria, non certo splendida come quella del Sommo Roger, ma un posto nei Top 10 e la medaglia d’oro in doppio (proprio in coppia con Federer) non sono certo cose da poco.

Wawrinka è alto e grosso, un treno fisicamente. Cipolla no, e ha pure un guaio muscolare al gluteo sinistro. Il Nostro è 142 Atp, l’altro 10. Ma in campo tutto questo non si vede, anzi si ribalta. Flavio, che alla vigilia aveva detto che si sarebbe “inventato qualcosa”, mostra di averlo fatto per davvero. E di averlo fatto bene. Di rovescio solo back. Di diritto solo candelotti o quasi. Ritmi che lo svizzerotto non conosce e non è abituato a vedere. Lui di solito fa a mazzate da fondo, una specie di “chi tira più forte”, e fa male con il suo bel rovescio che colpisce e può colpire, solitamente, all’altezza del bacino. Ma oggi è diverso. Oggi al di là della rete c’è Flavietto Cipolla. E quando Flavietto colpisce col rovescio “Stan” deve raschiare la palla da terra. Quando Flavietto colpisce col diritto “Stan” deve salire sopra la spalla a cercare la boccia gialla. Tutto diverso. E non ci capisce niente. Sbaglia tanto, sbaglia spesso, sbaglia troppo. Cipolla invece fa una magia dietro l’altra con la sua “bacchetta” Wilson, compreso un passante di rovescio (o qualcosa che gli assomigliava molto) recuperando in corsa un pallonetto avversario. Ci mette la “bacchetta” e, abra cadabra, palla sulla riga e Wawrinka a rodersi il cervello. Il primo parziale è da non crederci. 5-2 per il nostro, come nelle favole. Poi il braccio non è più sicuro, la prima di servizio latita, il diritto scappa. D’un botto si torna cinque a cinque. Poi ancora un break, questa volta confermato e primo set in tasca azzurra. Il secondo parte male, tre a zero Wawrinka. Flavio non molla, sta lì, recupera il break, ne guadagna un altro e va a servire per il parziale numero 2. Ancora problemi con il servizio, ancora cinque pari. Questa volta è tie-break. Che Flavio domina e si porta a un set soltanto dagli ottavi di finale degli Us Open, un biglietto per la seconda settimana newyorchese.

E’ in questi momenti che l’antagonista comincia a diventare il “cattivo”. In tribuna non se ne accorgono in molti ma qualcosa sta accadendo. Intanto Flavio sente dolore a quel gluteo sinistro, soffre per una vescica al piede destro (infatti chiede un medical time out all’inizio del terzo parziale) e comincia a sentire i crampi che salgono nelle gambe. Specialmente nella sinistra. Normale: uno che non ha mai giocato un match al meglio delle cinque partite ne ha giocate due nell’arco di 48 ore, in totale otto set. Più i due in corso, fanno dieci. Wawrinka non crede al dolore del Nostro e gli fa il verso, finge di zoppicare. Non solo: su uno dei nove doppi falli azzurri spara al cielo newyorchese un “come on” che nemmeno il peggior Hewitt. Tennisticamente parlando il break decisivo per lo svizzero arriva al settimo gioco. Vince il set, accorcia le distanze e torna a crederci. Il quarto è un parziale di transizione. Seizero, ma solo perché “non ero in condizione, ho preso due break in avvio e ho preferito lasciar perdere”, ha confessato Flavio ai giornalisti. “Meglio tenere energie e risorse per il quinto set”. Infatti il quinto è un bel parziale. Si torna a seguire il canovaccio dei primi due. Ma ora “Cipo” è stanco. Capirai, quattro ore a giocare solo back di rovescio (colpo che ti costringe a star più basso con le gambe) spezzerebbero le ginocchia anche a un toro. Serve bene lo svizzero, sono tre set che va avanti così e non accenna a smettere. Il break subito sul 4-4 è fatale. Finisce Seiquattro per il Top Ten, come le belle favole tratte da una storia vera.

Sembra finita la nostra storia, con la stretta di mano. E invece ricomincia, si ravviva e continua. Intanto perché la stretta di mano non c’è. Flavio rifiuta. “Non mi è andato giù il suo comportamento”, si sarebbe giustificato poi. “Io stavo male per davvero, e lui non solo non mi credeva ma mi faceva il verso. Poi quei come on sui miei errori e sui doppi falli… Non si fa così tra giocatori. Non me la sentivo di stringergli la mano e non l’ho fatto. Non sono pentito”.
Nulla di grave, in campo certe cose possono accadere. Anche perché nel circuito Wawrinka non è fra i più amati. “Non sta simpatico quasi a nessuno nel circuito”, conferma Claudio Pistolesi, anche lui in tribuna a seguire Flavio (c’erano anche Corrado Barazzutti, Sergio Palmieri e Max Sartori).

Storia finita. Manca una specie di morale, chiamiamola così. Ed è questa: Wawrinka ha vinto, perché nei momenti importanti ha fatto bene. Ma Cipolla ha giocato alla grande, con grande intelligenza. Il suo obiettivo sono i Top 100. Con questa attitudine l’obiettivo può tranquillamente essere centrato. Un successo che significherebbe anche mettersi in luce, uscire dall’ombra degli altri. D’altronde se ce l’ha fatta Wawrinka… perché no?