dal nostro inviato a New York Gabriele Riva – foto Ray Giubilo C’era un solo italiano, maschio, impegnato oggi nel tabellone di Flushing Meadows. Era Potito Starace ed era opposto a Radek Stepanek, testa di serie ceca numero 28 del tabellone. La resistenza del campano a un giocatore molto più adatto a queste superfici è durata un set o poco più. Ha fatto quello che poteva Poto, non è il caso di imputargli nulla. La predilezione del ceco verso questi terreni è nota, come è altrettanto nota la l’indisposizione del Nostro. Per un parziale comunque, il primo, Starace ha fatto valere la legge del servizio&diritto che anche sul veloce funziona più che bene. Sanguinoso il break subito sul cinque pari, ma merito dell’avversario che poi avrebbe anche concesso la possibilità di rientrare nel set e nel match. Sul 5-6 vantaggio Starace però ha tirato fuori dal cilindro uno dei molti serve&volley vincenti e si è incamerato la prima partita. In avvio dei restanti parziali i break che hanno chiuso i conti. E se proprio si vuole fare un appunto a Poto è proprio quello di non essere rimasto attaccato al match mentalmente all’inizio di secondo e terzo set. Tecnicamente non c’è nulla che gli si possa obiettare. Dopo che nella sessione serale di martedì Roger Federer aveva regolato con un secco 6-3 6-0 6-3 Maximo Gonzalez, esordio agli Us Open anche per l’ultimo dei Magnifici 3 (con Nadal, ovviamente). Restava Novak Djokovic e il serbo è sceso in campo sull’Arthur Ashe Stadium contro il francese Arnaud Clement come terzo match di giornata. Tre set andati via lisci gli sono bastati per avere la meglio sul transalpino: 6-3 6-3 6-4. | ||
Sul numero correntemente in edicola de Il Tennis Italiano trovate le storie americane di 40 di Us Open a firma del grande Rino Tommasi. Qui, giorno dopo giorno, in questa prima settimana newyorchese… altri racconti, altri aneddoti e altre curiosità dalla Grande Mela | ||
dal nostro inviato a New York Gabriele Riva – foto Ray Giubilo La città è caotica, stracolma di gente a ogni ora del giorno e della notte. Le mattinate di Manhattan, con il sole comunque nascosto dai grattacieli, sono fresche e dense di sapori. I pomeriggi a Flushing Meadows caldi, umidi e soleggiati. Le notti sulle vie cruciali, Broadway o la Fifth Avenue per citare solo le due più celebri, illuminate, frizzanti e trafficatissime. Di autovetture e di pedoni. Ma c’è qualcosa che tutta la città ha in comune in questa fine di agosto. Per prima cosa tutti aspettano con ansia il Labour Day, quella che da noi sarebbe la festa dei lavoratori. E’ lunedì prossimo, il primo di settembre, e tutti sembrano già preparasi per un ponte di relax. L’altro minimo comune denominatore è la febbre da tennis. O meglio, da Us Open. Capita di rado di poter fare più di 50 metri a piedi, su qualsiasi "avenue" o strada, senza imbattersi in coppie o gruppi di persone che pronuncino le parole magiche. Ce ne sono tante di parole magiche. Us Open, certo. Flushing Meadows, The Tennis Center, ma anche Nadal, Federer. Quella che si sente maggiormente comunque è “The Open”, è così che li chiamano qui. Senza bisogno di aggiungerci altro. Né Tennis, né “Us”, nulla. Gli Open e basta. Nella bocca e nella testa dei newyorchesi c’è il torneo del Grande Slam cittadino. Certo, direte voi, non c’è il football americano, che ricomincia a settembre. Non c’è il basket Nba, che ricomincia a novembre. Ma c’è il baseball, e sta pure entrando nelle fasi calde che valgono playoff e World-Series. Eppure i pullman che solitamente conducono allo Yankee Stadium, e che ne riportano l’immagine serigrafata su lamiera e finestrini, sono adibiti al trasporto di chi, da Manhattan, vuole superare il Midtown Tunnel e finire nel Queens per gustarsi un po’ di tennis. | ||
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dal nostro inviato a New York Gabriele Riva – foto Ray Giubilo E così, tra i vari “oggetti volanti identificati” che si libravano nell’aria, è volata via la prima giornata del tabellone principale degli Us Open 2008. Una giornata con un sole pallido e timido, accerchiato dalle nuvole. Un po’ come Simone Bolelli, circondato in conferenza stampa e incalzato sull’argomento Davis. “Ci penserò dopo il doppio (che qui gioca sempre con Andreas Seppi, n.d.r.) quando valuterò il programma con il mio coach Claudio Pistolesi”. Di sicuro quindi c’è una cosa sola in vista di Montecatini e dello spareggio di metà settembre (contro la Lettonia di Gulbis, per non finire in Serie C), sarebbe a dire che non c’è niente di sicuro. “Io sono sicuro – dice di contro Fabio Fognini a caldo dopo la sconfitta-maratona contro Odesnik – che mi farebbe piacere esserci perché mi piace giocare per l’Italia, però nulla ancora è stato deciso”. Per entrambi i nostri il programma individuale è… duro. Nel senso di superficie: Bolelli giocherà Bangkok e Tokyo e auspica di non giocare più challenger (“nemmeno per difendere i punti di Bratislava, voglio conquistarne altri e farlo vincendo partite nel Tour”, ha detto). E Fognini, con l’atteggiamento propositivo e umile di uno che ha tutta l’intenzione di compiere un investimento a lungo, e non a breve, termine: “voglio imparare a giocare bene sul veloce, per questo farò anche tutta la stagione indoor, perché voglio migliorare. Non mi interessa se a fine anno sarò 70, 80 o novanta del mondo. Cambia poco, però potrebbe fare una grande differenza in futuro”. Ben detto… oltre che in aria, bisogna sempre guardare avanti. | ||
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