di Gabriele Riva – foto Ray GiubiloPare di essere tornati indietro di un anno buono

di Gabriele Riva – foto Ray Giubilo

Pare di essere tornati indietro di un anno buono. Quel diritto così dominante, a uscire dalla Wilson di Roger Federer, non si vedeva da un bel po’. Ieri è tornato a sciorinarlo in faccia ad Andy Murray, nella finale 2008 degli Us Open. I faccia a faccia dicevano che lo scozzesino aveva due vittorie sui tre incontri disputati. Il pronostico non era poi tanto chiuso, perché il favorito, Federer ovviamente, veniva da un anno, per uno come lui, di difficoltà. Mentre l’underdog, lo sfavorito, aveva appena silurato il numero 1 del mondo, il campione di Parigi e Londra, solo 24 ore prima.

E’ stata una bella partita, solo per un set. Il primo. Tutto grazie a Roger. Un tennis fatto di accelerazioni e punti vincenti, spesso anche spettacolari. E’ così che il 27enne svizzero si è aggiudicato il quinto titolo consecutivo a New York (come era riuscito nella storia solo a Bill Tilden), il 13esimo major in carriera. E’ vicino a Pete Sampras ora, ne manca solo uno per eguagliare il record di Pistol Pete. Nel secondo set la partita è calata d’intensità. O meglio, Federer è calato d’intensità; ha cominciato a muovere meno bene i piedi e a perdere efficacia. Non abbastanza da far rientrare nel match Murray, all’esordio in una finale Slam. I primi dieci game del match, come detto, sono stati a senso unico: 6-2 2-0 Federer, poi però il break che ha rimesso in partita Andy. Il break decisivo così, arriva solo sul 6-5 Rogi, quando i punti contano e quando il numero 2 del mondo (fa strano, chiamarlo così, nonostante le tre settimane trascorse dal sorpasso di Nadal) ha mostrato sprazzi di primo set.

Il terzo parziale è servito solo alla statistica, perché Roger non ha fatto sconti e perché Murray non è riuscito a fargli male, mai come a Nadal nel suo match di semifinale per lo meno. 5-1, poi 5-2. Meno di due ore tonde, con un ginocchio . Alla fine del 6-2 7-5 6-2, il Re che fino allo scorso Slam vinto, vale a dire Us Open 2007, esultava con un paio di timide e abituate braccia al cielo, s’è lasciato cadere a terra, lanciando al cielo del Queens un urlaccio liberatorio. Un urlo con molti significati, il primo fra tutti è quello più banale della vittoria, la prima nel 2008. Ma anche il messaggio a Nadal. Anche se Rafa in queste due settimane newyorchesi paradossalmente ha allungato il divario da Roger pur avendo perso in “semi”, lui gli ha fatto capire di essere ancora lì, di essere ancora affamato e di essere ancora alla ricerca del gradino più alto del ranking. Il gruzzolo di soldi e la Lexus che vanno iscritti nel registro di Mirka (la fidanzata-manager), sono solo due righe di penna per uno che mira alla storia. Uno che cerca il record di major vinti e l’immortalità tennistica.