da New York, Federico Ferrero
Foto Ray GiubiloLa
tremarella di Rafa contro l’attore Jones – Non era una
bufala la
bua al ginocchio di Rafael Nadal, a mal partito contro il
signor
nessuno Alun Jones, wild card australiana di cortesia Usta (il favore viene
restituito a Melbourne agli statunitensi)
da New York, Federico Ferrero
Foto Ray Giubilo
La
tremarella di Rafa contro l’attore Jones – Non era una
bufala la
bua al ginocchio di Rafael Nadal, a mal partito contro il
signor
nessuno Alun Jones, wild card australiana di cortesia Usta (il favore viene
restituito a Melbourne agli statunitensi). Rafa parte e va sotto uno a
quattro prima di rimettere in piedi il set; avanti di un break anche nel
secondo, l’aussie tiene il servizio – tremando – sul 5-3 e
riapre
la partita. Se Jones non si fosse ricordato di essere Jones contro Nadal
sulll’Arthur Ashe avrebbe, forse, portato a casa il terzo set e magari
iniziato a sognare il successo più importante della vita dopo i quarti
di finale ai… Championships! Eh sì: Alun interpretò difatti
Mark Cavendish
nel film Wimbledon, nel quale veniva battuto da Peter Colt (l’attore Paul
Bettany). Per il tricampeon di Parigi segnali di allarme: con questo tennis
non si va lontano.
Ce l’ha scritto in fronte! – La
fascinosa Ana Ivanovic deve far fronte a richieste sfrontate.
Dopo
aver disposto facilmente – appena qualche impaccio in avvio di partita,
poi tutto liscio – di Aravane Rezai ha raccontato che un tifoso le aveva
chiesto ieri, dopo l’allenamento, di farsi autografare la fronte.
“Non
mi piaceva l’idea che camminasse con la fronte firmata. Gli ho detto che
gli avrei firmato una palla da tennis, una maglietta, ma la fronte…
Scherziamo?”
Niente in confronto al ragazzo che, qualche mese fa, le chiese di mettergli
le iniziali sulle mutande.
Odio chi vive nel passato – Il
maestro di vita Osho Rajneesh applaudirebbe un paladino del carpe diem
come Marat Safin, divertitosi a liquidare così le domande sul suo
bilancio nell’ultimo Slam dell’anno (il debutto nel 1997, la
clamorosa
vittoria nel 2000): “Se la finale del Duemila è stata la mia
miglior partita?
Sì, ma chissenefrega? È così lontana nel tempo, è
storia, è acqua passata,
è ora di guardare avanti. Odio la gente che vive ancora nel passato e
racconta
di come era grande, che so, nel secolo scorso. Ma a chi interessa? Io non
sono così, io guardo avanti, cerco di migliorare e dimenticare. Qualunque
cosa sia successa è passata. Ho ottimi ricordi, certo, ma non bisogna
concentrarsi
su quelli perché ci sono tante cose che ci aspettano, che stanno per
arrivare”.
Ma se qualcuno – domanda un giornalista maligno – dicesse fra
trent’anni
che non gliene può importare di meno di quel Safin che vinse nel 200 il
torneo? “E chi se ne importa? Io no di certo. Avrò fatto qualcosa
d’altro
nella vita e, spero, sarò felice”. La palla di Saggio Safin
viaggia meno
rispetto all’odiato passato, in copertina non ci capita più manco
per
le Safinette che fecero, appunto, storia. Per restare, in ossequio al suo
pensiero, al ‘qui e ora’ Marat ha giocato un buon match contro Frank
Dancevic, ragazzo in ottima forma sul cemento estivo. Ha salvato due set
point consecutivi nel tie-break nel terzo set e si è guadagnato la
giornata.
E domani? Domani è un altro giorno.
N
on
riesco a scivolare – Ma a cadere sì. Potito Starace ha
accettato
con fatalismo la disfatta contro la stella nascente Ernests Gulbis. E ha
difeso le sue scelte di programmazione: “Ho giocato e vinto tanto sulla
terra, la schiena mi dava problemi e ho deciso di fermarmi per una settimana,
poco prima di venire negli Stati Uniti. Non cambierei, tornassi indietro,
perché si può anche migliorare sulle altre superfici ma per me la
terra
resta la superficie migliore: se il prezzo da pagare è perdere qui al
primo
turno allora va bene”. Concetto chiaro ma opinabile, giacché
sembra che
gli italiani puntino esclusivamente sul… rosso. Un azzardo, anche
perché
non è difendibile la tesi dell’incompatibilità genetica del
tennis tricolore
per tutte le superfici che non siano il battuto di terra. Mentre il ragazzino
di Riga cannoneggiava col servizio (a proposito: nel Duemilasette il pupillo
di Niki Pilic ha vinto, Us Open escluso, una sola partita nel Tour maggiore,
quella contro Disarmo Henman a Parigi) Potito si lamentava, in campo e
anche fuori, di non riuscire a scivolare: “In recupero sulla terra riesco
a farlo bene, qui no. Si può scivolare anche sul cemento ma io proprio
non ci riesco”. Rivedremo Starace sulla terra di Bucarest, poi in versione
indoor (con quali aspettative, però?) a Mosca, Madrid e Parigi Bercy. In
bocca al lupo.