29 missili di dritto mettono in ginocchio Novak Djokovic e restituiscono il paradiso a Juan Martin Del Potro. Il serbo esce dal campo tra le lacrime, disperate. Ma Del Potro si è ripreso a forza quello che il destino gli aveva tolto e che gli ha timidamente restituito sotto forma di nastri vincenti. Ma il suo credito con la sorte è ancora infinito.

Brasil decime que se siente / tener en casa a tu papà

Due anni fa, questo coro era un tormentone su scala mondiale. Lo cantavano i tifosi argentini durante il mondiale di calcio, ingolositi dalla possibilità di alzare la coppa in casa dello storico rivale. Il gol del tedesco Mario Gotze strozzò in gola l’urlo definitivo, ma oggi non ci stupiremmo se qualche argentino dovesse rispolverarlo. Il loro eroe tennistico, senza macchia e senza paura (ma con il polso fragile), ha causato una delle più grandi sorprese dell’anno. Giocando una partita di poetica violenza, Juan Martin Del Potro ha spazzato via dall’Olimpiade Novak Djokovic. Un risultato tecnicamente possibile, visti i precedenti (su tutti la finale per il bronzo di quattro anni fa), ma dalla valenza simbolica impressionante.
Per quello che rappresentano le Olimpiadi per Djokovic.
Per quello che Del Potro ha passato negli ultimi tre anni.
Per quello che è successo durante e dopo la partita.
Non è un caso, non può essere un caso, che l’ultimo punto sia arrivato con un dritto vincente aiutato dal nastro. L’ultimo aiutino della sorte, che in 2 ore e 27 minuti di lotta ha sempre sorriso al sole della bandiera argentina. Tutti (ma proprio tutti!) i nastri hanno favorito Del Potro. Un indennizzo del destino dopo la sfortuna atroce che gli ha fatto perdere mezza carriera, gli ha causato dolori fisici e morali, lacrime intime. Adesso Del Potro è tornato. Lo avevamo pensato quando ha battuto Thiem a Madrid, lo abbiamo sussurrato dopo il successo a Wimbledon su Wawrinka. Adesso lo si può urlare, magari come quei tifosi argentini che indossavano la casacca azul y oro del suo amato Boca Juniors, oppure un tizio vestito da uomo ragno (ma anziché il rosso e il blu, il costume aveva il bianco e il celeste della bandiera argentina). In questa partita c’è stato tutto: tecnica, emozioni, umanità. Tanta umanità.



Quando è uscito dal campo, Novak Djokovic era in lacrime. Copiose e irrefrenabili. Ha accettato la sconfitta con signorilità, tributando a Del Potro un lungo abbraccio e dicendogli qualcosa all’orecchio, poi ha salutato la gente che – argentini a parte – aveva fatto il tifo per lui. Un po’ tifavano per la partita, un po’ non volevano che un argentino vincesse a casa loro, in nome di un sano campanilismo che affonda le radici circa un secolo fa, tra dispetti e violenze. Per informazioni, leggere gli articoli di Darwin Pastorin. Piangeva, Nole, sembrava un bambino a cui avevano rubato il giocattolo più bello. Anche chi non lo ama ha avuto un attimo di commozione. Proprio lui, sempre così controllato, così teatrale nelle vittorie da sembrare costruito, è affogato nella manifestazione più violenta del dolore più intimo. Gli resta il doppio con Nenad Zimonjic (che ha seguito la partita accanto a un attonito Boris Becker), ma non è la stessa cosa. Potrà essere un antidolorifico naturale, specie se dovessero arrivare a medaglia, ma non sarà facile resettare un dolore profondo, quasi incurabile. Quante volte aveva detto che le Olimpiadi erano il suo obiettivo stagionale? Quante volte avrà visualizzato la sua immagine lassù, in cima al podio? Resterà un sogno almeno fino al 2020, quando avrà 33 anni e le Olimpiadi si giocheranno in Giappone, a casa del suo sponsor Uniqlo. Ma stavolta si giocava in Brasile, un paese che ama (al netto di una vecchia esibizione con Kuerten che non gli hanno pagato fino in fondo), omaggiato con i colori delle borse e anche del polsino sinistro. Il destro aveva i colori della Serbia, il sinistro quelli del Brasile. Le ha provate tutte, Nole, ma Del Potro è stato più bravo e più forte di lui. Non è semplice ipotizzare una spiegazione tecnica quando l’onda emotiva ha travolto un po’ tutti, ma la verità è che Delpo ha enormi meriti. In tempi non sospetti, abbiamo scritto che il suo dritto è il più potente di sempre.


Non abbiamo riscontri oggettivi, ma i missili terra-aria che hanno sfondato le difese di Djokovic per 41 volte, di cui 29 col dritto, resteranno nella storia del tennis. Forse anche dello sport, se Palito dovesse arrivare fino in fondo. Un’erezione agonistica clamorosa. Nole ha giocato la sua partita, ma ogni sua velleità è stata strozzata dalle bordate di Del Potro. Una potenza terrificante, difficile da esprimere con le parole. Renderebbe meglio l’idea il suono dell’impatto della pallina sul piatto corde. La buona notizia, per i (tanti) sostenitori di Del Potro, è che non ha quasi mai ceduto campo né ritmo con il rovescio. Ha tenuto bene, togliendo a Djokovic parecchie opzioni in fase offensiva. Lo ha costretto a giocare tanti dritti carichi di spin, poco utili e ancor meno incisivi. E ha giocato anche tanti slice con il rovescio, non certo un colpo che gli viene naturale. Piccoli granelli di un puzzle che si decomponeva, fino a sgretolarsi con le sassate argentine di dritto, alcune addirittura in controbalzo. Il punteggio finale dice 7-6 7-6, ma ai punti il divario sarebbe stato ancora più grande. In tutta la partita, Del Potro non ha concesso neanche una palla break, mentre Nole ne ha dovute cancellare sette. E’ rimasto a galla, ma in entrambi i tie-break è emersa tutta la differenza. Nel primo, l’argentino ha sparato l’allungo decisivo salendo da 2-2 a 5-2, mentre nel secondo è addirittura volato sul 5-0. Sul sesto punto, in presa alla disperazione agonistica, Nole aveva addirittura tentato un serve and volley. Pochi minuti dopo, il nastro ridava a Del Potro il paradiso tennistico e faceva piombare Djokovic in un inferno mai conosciuto prima. Dovrà stare attento a non scottarsi. E pensare che la giornata era iniziata malissimo per l’argentino, che in mattinata era rimasto chiuso per 40 minuti in un ascensore del Villaggio Olimpico. Era andata via la corrente e lui non poteva comunicare con l’esterno. Lo hanno tirato fuori gli atleti della nazionale argentina di pallamano. A quel punto, Signor Destino si è commosso e ha deciso di dargli una mano sotto forma di nastri fortunati. Ma lui si è meritato tutto, senza dimenticare un grave errore di Pascal Maria che sul 4-4 nel secondo ha dato un punto al serbo per un doppio rimbalzo che non c’era. Ma il 7 agosto 2016, nella giornata degli italiani, gli Dei del Tennis erano tutti con Juan Martin Del Potro. E sono consapevoli di essere ancora in debito nei suoi confronti.


Juan Martin Del Potro (ARG) b. Novak Djokovic (SRB) 7-6 7-6