LA STORIA – Marcelo Rios non è stato il primo sudamericano al n.1. E Maria Ester Bueno non è stata la prima vincitrice Slam. Prima di loro, negli anni 30, c'era stata Anita Lizana. Vinse a Forest Hills e si prese l'abbraccio di 200.000 cileni al ritorno a casa.   Di Riccardo Bisti 1998. Marcelo Rios domina a Indian Wells e Miami, segnando un passaggio storico nella storia del tennis. Per la prima volta, un tennista sudamericano è diventato numero 1 del mondo, con buona pace di Guillermo Vilas e la sua leadership fantasma del 1977. Rios fu ricevuto dal presidente cileno Eduardo Frei e il saluto dal balcone presidenziale gli regalò gloria eterna. Eppure il “Chino” non è stato il primo cileno numero 1 del mondo, così come Maria Ester Bueno non è stata la prima latinoamericana a vincere uno Slam. Un mix tra pigrizia, ignoranza e memoria selettiva ha cancellato una storia antica e affascinante. Vincendo i Campionati degli Stati Uniti, Anita Lizana è stata la prima a centrare entrambi gli obiettivi. All'epoca non c'era il computer e le classifiche erano stilate dai giornalisti specializzati, ma la storia non si cancella. La dinastia dei Lizana avrebbe potuto dare qualcosa al tennis già nei primi anni del ventesimo secolo, quando zio Aurelio aveva le carte in regola per diventare un campione. Tuttavia il suo status di dilettante gli impedì di andare all'estero. Conseguenza? Tanti rimpianti e zero guadagni. La leggenda, tuttavia, narra che migliori giocatori venivano regolarmente battuti quando sbarcavano a Santiago del Cile. Fu Aurelio Lizana, insieme al fratello Roberto (padre di Anita), ad avvicinarla al tennis. Giocava in un circolo che apparteneva a cittadini tedeschi. L'avevano chiamato "Club Tennis Riege des Deutschen Turvereins”. I tedeschi presero in simpatia la famiglia Lizana e gli misero a disposizione la casa del custode, laddove sono nati sei figli: Clotilde, Loreto, Ricardo, Roberto, Juan e Anita. Presero tutti la racchetta in mano, ma solo Anita si rivelò davvero innamorata del tennis. Non ha mai pensato di fare altro nella vita, nonostante la bassa statura: 159 centimetri che hanno generato il soprannome di “ratita”, topolina. GLORIA PRESIDENZIALE, MATRIMONIO, GUERRASi allenava per tutta la settimana, poi nel weekend restava a bordo campo in attesa che i soci liberassero i campi. Ad appena 15 anni divenne campionessa nazionale e la rimase fino al 1934. In Cile non aveva avversarie, così decise di fare il grande passo: andare all'estero e misurarsi con le più forti. Ma mancavano i soldi. Misero in piedi una colletta tra parenti e amici, raccogliendo 120.000 pesos (una fortuna per l'epoca) che le permisero di viaggiare in Europa e negli Stati Uniti. Un anno di assestamento, poi nel 1936 arrivarono i quarti a Wimbledon e un piazzamento tra le top-10. L'anno dopo, ripetuti i quarti a Londra, il capolavoro. Battendo Jadwiga Jerdzejowska davanti ai 14.000 spettatori di Forest Hills, vinse il suo primo e unico titolo del Grande Slam. Fu considerata numero 1 nelle classifiche stilate da Arthur Wallis Myers, corrispondente del Daily Telegraph e del Daily Mail. Anche grazie a lui, fu accolta trionfalmente al ritorno in Cile. Fu ricevuta dal Presidente della Repubblica Arturo Alessandri Palma e si affacciò, trionfale, da “La Moneda”, palazzo presidenziale di Santiago del Cile. Dicono che ci fossero 200.000 persone ad acclamarla. Anita avrebbe potuto diventare una leggenda, ma l'anno dopo cedette all'amore. Conobbe Ronald Ellis, discreto tennista scozzese e si sposarono nel 1938, due anni dopo essersi conosciuti in un hotel di Peebles, Dundee, Scozia. L'abito nuziale fu disegnato dal mitico Teddy Tinling, lo stesso che avrebbe realizzato i completini indossati da Lea Pericoli. Si stabilirono a Dundee, terza città scozzese, e il loro amore ha fruttato tre figli (Ruth, Carol e Carmen) e diversi nipoti. Nel paese adottivo l'hanno soprannominata “Scottish Senorita”. Non voleva smettere, ma fu costretta a bloccare l'attività l'anno dopo, quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. “Se non ci fosse stata la guerra avrei vinto Wimbledon” ha detto, orgogliosa, in una rarissima intervista concessa nel 1986. Tornò nel 1946, dopo la fine della guerra, e rimase su buoni livelli. Giocò anche qualche doppio misto con il marito. I risultati erano discreti, ma gli anni buoni erano passati tra bombe e cannoni. Ha sempre respinto le sirene del professionismo (pare su pressione del marito), restando con un palmares di 17 titoli in singolare, 2 di doppio e 5 di misto. I cileni, sempre attenti alla propaganda, non l'hanno mai dimenticata: le hanno intitolato una parte del mitico Estadio Nacional, un arena con diversi campi da tennis (16 in cemento e 4 in terra battuta) denominata “Complejo Deportivo Anita Lizana”. Senza dimenticare un paio di vie col suo nome sia a Santiago che a Coquimbo, città a 400 km dalla capitale. AVESSE AVUTO SOLABARRIETA…E' passata alla storia la sua palla corta. Difficile analizzare tecnicamente le giocatrici del passato, ma i racconti orali parlano di una smorzata che sapeva destabilizzare. Inoltre era instancabile, una vera guerriera. Persino gli uomini, in vari allenamenti, si stancavano prima di lei. Rimasta a Dundee fino alla morte, avvenuta il 21 agosto 1994 per un cancro allo stomaco, è tornata più di una volta nel paese d'origine. Eduardo Frei Montalva, presidente nel 1966, la convinse addirittura a giocare il Campionato Sudamericano presso l'Estadio Espanol. A 51 anni, aveva ancora qualcosa da dare. Le chiesero di tornare ancora una volta, nel 1978. Ma era una richiesta diversa: nell'epoca di Pinochet e di una forte propaganda, avere un mito da associare al regime avrebbe fatto comodo. Lei rifiutò dicendo che ormai la sua vita era in Gran Bretagna, così come le sue figlie e i suoi nipoti. Ha fatto in tempo a vedere Gabriela Sabatini, mentre non ha conosciuto Marcelo Rios, le sue follie e il suo talento sconfinato. Non ha mai visto Nicolas Massu, Fernando Gonzalez e le loro medaglie d'oro olimpiche. E' morta tranquilla, serena, senza rimpianti. Solo uno. Nel 1937 non c'era la TV, ma soltanto qualche trasmissione sparsa. Le sarebbe piaciuto avere il commento di Fernando Solabarrieta, telecronista della TV cilena che accolse così l'oro di Massu ad Atene 2004, in uno dei momenti più emozionanti nella storia della TV tennistica. "Es oro para Chile, es oro para Nicolas Massu! No estamos sonando, esto es verdad!!! Porque a esto muchacho, quando crecio, nadie le dijo que existe una palabra que se llama "Imposible"!!! No senor, esta palabra no esta nel vucabolario de Nicolas Massu!!! Corrio como nadie, se lo merece come nadie y si, es certo, estoy llorando en esa tribuna. Estoy llorando por lo que hizo el Nico…" 67 anni prima, Anita la topolina avrebbe meritato altrettanto. 

LA STORIA – Marcelo Rios non è stato il primo sudamericano al n.1. E Maria Ester Bueno non è stata la prima vincitrice Slam. Prima di loro, negli anni 30, c'era stata Anita Lizana. Vinse a Forest Hills e si prese l'abbraccio di 200.000 cileni al ritorno a casa.

 

 

Di Riccardo Bisti

1998. Marcelo Rios domina a Indian Wells e Miami, segnando un passaggio storico nella storia del tennis. Per la prima volta, un tennista sudamericano è diventato numero 1 del mondo, con buona pace di Guillermo Vilas e la sua leadership fantasma del 1977. Rios fu ricevuto dal presidente cileno Eduardo Frei e il saluto dal balcone presidenziale gli regalò gloria eterna. Eppure il “Chino” non è stato il primo cileno numero 1 del mondo, così come Maria Ester Bueno non è stata la prima latinoamericana a vincere uno Slam. Un mix tra pigrizia, ignoranza e memoria selettiva ha cancellato una storia antica e affascinante. Vincendo i Campionati degli Stati Uniti, Anita Lizana è stata la prima a centrare entrambi gli obiettivi. All'epoca non c'era il computer e le classifiche erano stilate dai giornalisti specializzati, ma la storia non si cancella. La dinastia dei Lizana avrebbe potuto dare qualcosa al tennis già nei primi anni del ventesimo secolo, quando zio Aurelio aveva le carte in regola per diventare un campione. Tuttavia il suo status di dilettante gli impedì di andare all'estero. Conseguenza? Tanti rimpianti e zero guadagni. La leggenda, tuttavia, narra che migliori giocatori venivano regolarmente battuti quando sbarcavano a Santiago del Cile. Fu Aurelio Lizana, insieme al fratello Roberto (padre di Anita), ad avvicinarla al tennis. Giocava in un circolo che apparteneva a cittadini tedeschi. L'avevano chiamato "Club Tennis Riege des Deutschen Turvereins”. I tedeschi presero in simpatia la famiglia Lizana e gli misero a disposizione la casa del custode, laddove sono nati sei figli: Clotilde, Loreto, Ricardo, Roberto, Juan e Anita. Presero tutti la racchetta in mano, ma solo Anita si rivelò davvero innamorata del tennis. Non ha mai pensato di fare altro nella vita, nonostante la bassa statura: 159 centimetri che hanno generato il soprannome di “ratita”, topolina.


GLORIA PRESIDENZIALE, MATRIMONIO, GUERRA

Si allenava per tutta la settimana, poi nel weekend restava a bordo campo in attesa che i soci liberassero i campi. Ad appena 15 anni divenne campionessa nazionale e la rimase fino al 1934. In Cile non aveva avversarie, così decise di fare il grande passo: andare all'estero e misurarsi con le più forti. Ma mancavano i soldi. Misero in piedi una colletta tra parenti e amici, raccogliendo 120.000 pesos (una fortuna per l'epoca) che le permisero di viaggiare in Europa e negli Stati Uniti. Un anno di assestamento, poi nel 1936 arrivarono i quarti a Wimbledon e un piazzamento tra le top-10. L'anno dopo, ripetuti i quarti a Londra, il capolavoro. Battendo Jadwiga Jerdzejowska davanti ai 14.000 spettatori di Forest Hills, vinse il suo primo e unico titolo del Grande Slam. Fu considerata numero 1 nelle classifiche stilate da Arthur Wallis Myers, corrispondente del Daily Telegraph e del Daily Mail. Anche grazie a lui, fu accolta trionfalmente al ritorno in Cile. Fu ricevuta dal Presidente della Repubblica Arturo Alessandri Palma e si affacciò, trionfale, da “La Moneda”, palazzo presidenziale di Santiago del Cile. Dicono che ci fossero 200.000 persone ad acclamarla. Anita avrebbe potuto diventare una leggenda, ma l'anno dopo cedette all'amore. Conobbe Ronald Ellis, discreto tennista scozzese e si sposarono nel 1938, due anni dopo essersi conosciuti in un hotel di Peebles, Dundee, Scozia. L'abito nuziale fu disegnato dal mitico Teddy Tinling, lo stesso che avrebbe realizzato i completini indossati da Lea Pericoli. Si stabilirono a Dundee, terza città scozzese, e il loro amore ha fruttato tre figli (Ruth, Carol e Carmen) e diversi nipoti. Nel paese adottivo l'hanno soprannominata “Scottish Senorita”. Non voleva smettere, ma fu costretta a bloccare l'attività l'anno dopo, quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. “Se non ci fosse stata la guerra avrei vinto Wimbledon” ha detto, orgogliosa, in una rarissima intervista concessa nel 1986. Tornò nel 1946, dopo la fine della guerra, e rimase su buoni livelli. Giocò anche qualche doppio misto con il marito. I risultati erano discreti, ma gli anni buoni erano passati tra bombe e cannoni. Ha sempre respinto le sirene del professionismo (pare su pressione del marito), restando con un palmares di 17 titoli in singolare, 2 di doppio e 5 di misto. I cileni, sempre attenti alla propaganda, non l'hanno mai dimenticata: le hanno intitolato una parte del mitico Estadio Nacional, un arena con diversi campi da tennis (16 in cemento e 4 in terra battuta) denominata “Complejo Deportivo Anita Lizana”. Senza dimenticare un paio di vie col suo nome sia a Santiago che a Coquimbo, città a 400 km dalla capitale.


AVESSE AVUTO SOLABARRIETA…

E' passata alla storia la sua palla corta. Difficile analizzare tecnicamente le giocatrici del passato, ma i racconti orali parlano di una smorzata che sapeva destabilizzare. Inoltre era instancabile, una vera guerriera. Persino gli uomini, in vari allenamenti, si stancavano prima di lei. Rimasta a Dundee fino alla morte, avvenuta il 21 agosto 1994 per un cancro allo stomaco, è tornata più di una volta nel paese d'origine. Eduardo Frei Montalva, presidente nel 1966, la convinse addirittura a giocare il Campionato Sudamericano presso l'Estadio Espanol. A 51 anni, aveva ancora qualcosa da dare. Le chiesero di tornare ancora una volta, nel 1978. Ma era una richiesta diversa: nell'epoca di Pinochet e di una forte propaganda, avere un mito da associare al regime avrebbe fatto comodo. Lei rifiutò dicendo che ormai la sua vita era in Gran Bretagna, così come le sue figlie e i suoi nipoti. Ha fatto in tempo a vedere Gabriela Sabatini, mentre non ha conosciuto Marcelo Rios, le sue follie e il suo talento sconfinato. Non ha mai visto Nicolas Massu, Fernando Gonzalez e le loro medaglie d'oro olimpiche. E' morta tranquilla, serena, senza rimpianti. Solo uno. Nel 1937 non c'era la TV, ma soltanto qualche trasmissione sparsa. Le sarebbe piaciuto avere il commento di Fernando Solabarrieta, telecronista della TV cilena che accolse così l'oro di Massu ad Atene 2004, in uno dei momenti più emozionanti nella storia della TV tennistica.

 

"Es oro para Chile, es oro para Nicolas Massu! No estamos sonando, esto es verdad!!! Porque a esto muchacho, quando crecio, nadie le dijo que existe una palabra que se llama "Imposible"!!! No senor, esta palabra no esta nel vucabolario de Nicolas Massu!!! Corrio como nadie, se lo merece come nadie y si, es certo, estoy llorando en esa tribuna. Estoy llorando por lo que hizo el Nico…"

 

67 anni prima, Anita la topolina avrebbe meritato altrettanto.