Dieci anni fa, il tennis argentino esultava e soffriva allo stesso tempo. Godeva per il successo di David Nalbandian al Masters, ma soffriva perché Mariano Puerta era finito per la seconda volta nella morsa dell'antidoping. Di certo era la nazione del momento: alla Masters Cup di Shanghai c'erano ben quattro argentini. Oltre ai due citati, anche Guillermo Coria e Gaston Gaudio. Oggi l'Argentina piange e non basta una semifinale di Davis, ottenuta con un pizzico di fortuna, a mascherare le lacune di un movimento che funziona meno. O forse non funziona per niente. Si attaccano a Juan Martin Del Potro, il cui rientro è ancora slittato (dovrebbe saltare anche la trasferta australiana). Però Enric Molina, ex arbitro che oggi si è messo a fare il manager, è convinto. “Fidatevi, questo ragazzo vi darà grandi soddisfazioni”. Il “ragazzo” si chiama Pedro Cachin, viene da Cordoba come Nalbandian e Puerta, ha 20 anni. Un ragazzo che ha rinunciato alla famiglia e agli affetti per coltivare il suo sogno. E' andato in Spagna, a Barcellona, dove è seguito da Alex Corretja. L'ex n.2 ATP ha capito il suo disagio e lo ha spesso ospitato a casa sua. Ma l'avventura non è partita quando si è spostato a Barcellona, nel maggio 2014, ma molti anni prima. Anziché andare a Buenos Aires ha scelto lo Sport Social di Villa Maria, dove è stato seguito da Marcelo Ingaramo e Carlos Ronco. Gli piaceva l'idea di mantenere il suo stile di vita, di avere tutto a portata di cammino. In una metropoli non sarebbe stato possibile. Tutto sarebbe arrivato a suo tempo. Ad esempio, quando ha compiuto i 18 anni. Ma il fatto di essere maggiorenne c'entrava poco. C'entrava il fatto che abbia iniziato a lavorare con un coach, German Gaich, che lo ha spinto a provarci con il professionismo. Grazie alla testardaggine di Gaich, il buon Pedro ha superato abbastanza agevolmente il passaggio dei tornei futures. Lo voleva a tutti i costi, senza mai saltare un allenamento. Anzi, allenandosi anche quando non doveva. Ad esempio, sul finire del 2013 si recò insieme al coach presso il club di Osorno, in Cile, dove si giocava un torneo future. Lo trovarono chiuso perché era giorno di elezioni. Niente paura: si allenarono sull'asfalto, in mezzo alla strada.
SPOSTARSI IN EUROPA? NE VALEVA LA PENA
Pedro ha voglia di sfondare e così ha deciso di andare a Barcellona. E' lo stesso percorso effettuato anni fa da Juan Monaco, uno che a furia di soffrire è entrato addirittura tra i primi 10. “E' stata dura lasciare casa mia – ha raccontato al Clarin, che si è interessato a lui – in Sud America si vivono situazioni che in Europa non vedrò mai. Gli europei sono diversi da noi. Noi prendiamo il mate, mangiamo l'asado, facciamo viaggi infiniti in bus… però ne vale la pena”. Eccome se vale. Il tennis può coprire di gloria e di soldi. Per riuscirci, oltre a Corretja, si è affidato alla società Big Match Player di Enric Molina. Ci hanno creduto talmente tanto da metterlo sotto contratto per primo. Lui e Corretja sono come due fratelli maggiore per un ragazzo “molto educato e con valori importanti, ereditati dai genitori”. In Europa ci sono più comodità che in Sudamerica: la nostalgia di casa si è compensata con trasporti più efficienti e una migliore qualità della vita. L'obiettivo del 2014 non riguardava la classifica, quanto piuttosto vincere il maggior numero possibile di partite. E' andata benissimo, visto che ha raccolto oltre 50 vittorie e intascato i primi due titoli futures. Inoltre ha acciuffato per la prima volta le semifinali in un challenger, a Cordoba e Montevideo. Nel 2015 si è consolidato e ha chiuso l'anno al numero 232 ATP, ancora lontano dal tennis che conta. Ma oggi, forse, col binocolo riesce a intravederlo.
"NEL 2016 CAPIRO' COSA POSSO DIVENTARE"
Tra l'altro lo ha annusato in prima persona a marzo, quando ha fatto da quinto uomo in Coppa Davis, nel duro match contro il Brasile, costellato dall'eterno match tra Leonardo Mayer e Joao Souza. In verità, è dovuto scappare al sabato perché era impegnato in un challenger. Ha giocato le qualificazioni di Wimbledon e – grazie a Corretja – ha condiviso un po' di allenamenti con Albert Ramos e Santiago Giraldo. Infine, ha potuto palleggiare con Nadal durante il torneo di Buenos Aires. Ma ancor più di queste esperienze, per Cachin è stato importante compiere un passaggio fondamentale per la sua carriera: vincere un torneo challenger. Ricorda con precisione quasi ossessiva i dettagli e i passaggi che l'hanno portato a vincere a Siviglia, lontano dai riflettori, mentre tutti erano concentrati sullo Us Open. Era sbarcato in Italia qualche settimana prima. Aveva giocato a Cordenons e poi a Manerbio. Ha chiuso il torneo bresciano con un forte dolore alla schiena, ma si è recato ugualmente a Como. Lì ha scoperto che non avrebbe avuto bisogno di giocare le qualificazioni, così ha avuto qualche giorno in più per riprendersi. Ci ha provato ed è arrivato in semifinale, ma a causa della pioggia i match sono terminati domenica. Ma ormai era in fiducia e si è recato al volo a Siviglia. Campi lentissimi, terra giallastra, condizioni difficili. L'hanno sbattuto in campo quasi senza allenamento ma lui ha battuto Gimeno-Traver. Ed è iniziata una serie di battaglie, da cui usciva sempre vincitore. “E' stata una follia, una fatica tremenda. L'unica partita che ho giocato bene è stara la finale contro Carreno Busta, in cui lui era più nervoso di me”. La sbornia post-successo non lo ha fatto giocare troppo bene nel finale di stagione. Ma in fondo è un ragazzo di 20 anni e ha ancora bisogno di maturare. E poi era stanco, desideroso di tornare a casa. Finalmente ha trascorso qualche giorno nella sua Cordoba, ma adesso è già a Barcellona per preparare l'anno nuovo. Ci sarà la pressione di dover difendere i punti conquistati l'anno prima. “Sarà una stagione importante, per la prima volta capirò se posso diventare davvero forte. Un top-20, ad esempio”. O magari un giocatore di Davis, che oggi vive solo da tifoso e si è preso pure una strigliata da Corretja perché è andato in Belgio a vedersi la semifinale persa all'ultimo respiro. Una motivazione in più per continuare a lavorare. Sempre più duro.