IL CASO – L’esibizione Federer-Hewitt del prossimo 12 gennaio potrebbe essere il crocevia per un nuovo format che vuole accorciare il tennis, rendendolo più appetibile per le TV. La tradizione sta per crollare?
Di Riccardo Bisti – 29 novembre 2014
C’è da augurarsi che SuperTennis si aggiudichi i diritti, perchè potrebbe essere un evento storico, ancor più dell’International Premier Tennis League scattata in queste ore. Il prossimo 12 gennaio, Roger Federer e Lleyton Hewitt giocheranno un’esibizione a Sydney. Preparazione per l’Australian Open? Certo, ma non solo. Si giocherà con un format rivoluzionario, una specie di Twenty20 applicato al tennis. Per chi non lo sapesse, il “Twenty20” è una norma introdotta una decina d’anni fa nel cricket, il cui obiettivo era ridurre la durata degli incontri, che a volte duravano giorni interi. E’ stato un successo clamoroso. Federer e Hewitt giocheranno una partita al meglio dei cinque set, ma con il seguente regolamento.
– Ogni set arriverà a quattro game. In caso di 3-3, si giocherà un tie-break.
– Abolizione del let sul servizio.
– Punto secco sul 40-40.
Il tennis è consapevole della sua storia e del suo patrimonio. E’ uno sport molto tradizionalista, eppure potrebbe abdicare. La presenza di Roger Federer, in qualche modo, ‘avalla” questo nuovo sistema di punteggio. In verità, non è la prima volta che lo svizzero "apre" alla sperimentazione. Nel 2007 giocò la “Battaglia delle Superfici” contro Rafael Nadal, a Palma de Maiorca, su un campo metà in erba e metà in terra battuta. Ma stavolta la vicenda è più seria. Il format è stato creato da Tennis Australia, e il suo presidente Craig Tiley non sta nella pelle. “Questo nuovo format rivoluzionerà il tennis, soprattutto nei club. Il tempo è un bene prezioso, e così facendo ogni giocatore potrà inserire il tennis in un’agenda di impegni sempre più fitta”. Il format è utilizzato in Australia, ma anche in una realtà vicina alla nostra come quella francese, nelle competizioni giovanili (i bambini di 8, 9 e 10 anni) e nei tornei per non classificati e di quarta categoria. La necessità di ridurre la lunghezza delle partite è diventata una priorità almeno da quando John Isner e Nicolas Mahut hanno battagliato per 11 ore e tre giorni sull’erba di Wimbledon. E si è amplificata dopo la finale dell’Australian Open 2012, quando Rafael Nadal e Novak Djokovic sono rimasti in campo per 5 ore e 53 minuti tra inenarrabili perdite di tempo tra un punto e l’altro, che hanno allungato la partita di almeno un’ora.
DIFFICOLTA' A CAMBIARE
Nel 2013, il circuito challenger ha lanciato in via sperimentale la norma del “no-let”. Oggi, quando la palla tocca il nastro sul servizio ma resta in campo, il punto va rigiocato. Con la nuova regola, la palla resta sempre in gioco. Detto che non si tratta di situazioni troppo frequenti (e quindi il risparmio di tempo sarebbe stato irrisorio), l’iniziativa è stata bocciata. I risultati dei questionari preparati dall’ATP sono stati talmente negativi da abolire in fretta e furia (e in silenzio) la sperimentazione. Sempre nel 2013, sono state inasprite le sanzioni per i giocatori che non rispettano il limite di tempo tra un punto e l’altro (20 secondi nelle competizioni ITF, 25 in quelle ATP). Anche questa novità è stata mal digerita dai giocatori, tanto che la stessa Maria Sharapova ha avuto più di un problema nella prima giornata dell’IPTL, dove viene utilizzato uno “shot-clock” in stile basket. Insomma, l’impressione è che i giocatori non siano troppo contenti. Ma il tennis, appesantito da una storia ultrasecolare, sente il forte bisogno di innovarsi. Persino l’ITF, ente conservatore per definizione, ha ventilato alcune proposte per migliorare (e velocizzare) il tennis.
I TEMPI NON SONO MATURI
Dopo la finale dello Us Open, Francesco Ricci Bitti ha parlato di una possibile abolizione della seconda palla di servizio. Se questa sembra fantascienza, vale la pena riflettere sulle affermazioni del numero 1 ITF a margine della finale di Coppa Davis. “Pensando al business, penso che il momento più coinvolgente sia la fine di ogni set. Quindi, se ci sono più finali di set, è meglio. Il tennis dovrebbe sperimentare nuovi formati. La lunghezza delle partite è un problema. Nel 2002 avevamo già effettuato un esperimento con l’ATP con i set a quattro game”. Eppure, i giocatori sono riluttanti. “Sono molto conservatori, più prudenti di noi. Vogliamo difendere la tradizione, ma se un cambiamento è positivo, perchè non farlo? Credo che la lunghezza sia un problema, la durata andrebbe controllata. Il nostro sport è problematico per la TV, e la TV è molto importante per il tennis”. Nella sua storia, il tennis si è sottoposto a qualche restyling. Il più importante riguarda certamente il tie-break. Ideato e voluto da Jimmy Van Alen, è diventato parte integrante del gioco. Soltanto tre Slam su quattro (ad eccezione dello Us Open) e la Coppa Davis continuano a non utilizzarlo nel set decisivo. Con il tie-break, il famoso Isner-Mahut non si sarebbe mai giocato. Con le nuove tecnologie e la banda larga, il tennis ha trovato un grande spazio nei media tematici, mentre continua a latitare sulle reti generaliste. Secondo i “teorici della rivoluzione”, un intervento strutturale potrebbe migliorare le cose. In realtà, nè la pallavolo (abolizione del cambio palla) nè il tennis tavolo (set ridotti da 21 a 11 punti) hanno ottenuto chissà quale visibilità dopo aver cambiato format. L’impressione è che i tempi non siano ancora maturi. A meno che l’International Premier Tennis League sia un successo clamoroso e rivoluzionario. In quel caso, il processo potrebbe accelerare. E Federer-Hewitt del 12 gennaio 2015 entrerebbe nella storia, molto più di qualsiasi esibizione.
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