Dopo Melbourne, Naomi Osaka centra il terzo turno anche a Parigi. “Ma mi sentirò una terraiola solo se arrivo alla seconda settimana”. La curiosa vicenda di una giocatrice che potrebbe cambiare gli orizzonti del marketing: è nera come il padre haitiano, ma ha gli occhi a mandorla come la madre giapponese. Gioca per il Sol Levante, anche se non parla la lingua.

C’è un buon numero di visi orientali, al Roland Garros. Anni fa erano i cinesi, incantati dalle imprese di Na Li, oggi ci sono i giapponesi, spinti da una superstar come Kei Nishikori. Giornalisti, fotografi (non potrebbe essere altrimenti, giusto?), semplici appassionati armati di bandierine. Per adesso, Kei ha fatto il suo dovere. Per ora non ha perso un set ed è atteso da Fernando Verdasco. Per un set, li ha fatti sognare Taro Daniel, giapponese di Valencia che ha messo in difficoltà Stan Wawrinka. Il nome nuovo, tuttavia, arriva dal torneo femminile. Senza particolare conoscenza della terra battuta (e nessun risultato di rilievo nelle ultime settimane), Naomi Osaka ha colto un bel terzo turno battendo due avversarie molto diverse tra loro: prima Jelena Ostapenko e poi Mirjana Lucic Baroni, 15 anni di differenza (la prima è del 1997 come la Osaka, la seconda del 1982). Naomi, 19 anni da compiere a ottobre, si confermate un elemento interessante anche se di giapponese ha ben poco. E si terrorizza non appena le chiedono di parlare nella lingua della madre. Naomi è nata a…Osaka, però si è trasferita da piccola negli Stati Uniti ed è molto “americana”, anche tennisticamente. Tuttavia, dopo il padre Jean Francois e l’accademia di Harold Solomon, adesso si fa seguire da i tecnici di Japan Tennis Association. Il padre è haitiano: grazie a lui ha un aspetto particolare, molto particolare. Scura di pelle, ma con gli occhi a mandorla. La scelta di rappresentare il Giappone è stata presa dal padre, che ha valutato la convenienza dell’offerta giapponese rispetto a quella della USTA.

In conferenza stampa, rigorosamente in inglese, non ha espresso concetti particolarmente profondi. Stiamo parlando di una ragazzina che sta vivendo il suo primo anno da professionista, anche se si era fatta notare un paio d’anni fa a Stanford, quando batté Samantha Stosur. “Non avevo mai giocato a Parigi, quindi sono contenta”. Bene, grazie. Ti senti per caso una buona giocatrice da terra battuta? “No, per ora no. Credo che potrei diventare ottimista solo se arrivassi alla seconda settimana”. Non sarà facile: per riuscirci dovrà battere Simona Halep al terzo turno. Oddio, la rumena ha sofferto parecchio nel primo set contro la kazaka Zarina Diyas, ma si è ripresa in tempo. “Sarà divertente, sfiderò una giocatrice che ho visto soltanto in TV. Un po’ come all’Australian Open”. Quando le hanno chiesto se i suoi obiettivi stagionali sono cambiati, è stata chiara: “Prima pensavo a conquistare le top-100, ma visto che ce l’ho già fatta adesso penso alle top-75. Top-50? Vedremo”. Un po’ scivolosa la sua affermazione sulle avversarie: “Imparo qualcosa ogni volta che gioco, ma sono concentrata soprattutto su me stessa”. Ma pensare anche alle avversarie, soprattutto se più esperte, non è mai una cattiva idea.


Non c’è dubbio che Naomi (ha anche una sorella di nome Mari, numero 520 WTA: “Con me perde sempre”) abbia grandi potenzialità sul piano del marketing. I cervelloni del settore lo hanno capito subito: non a caso, è stata messa sotto contratto dal colosso Octagon. Secondo il suo agente Daniel Balog, la Osaka è un caso più unico che raro. “E’ stata influenzata da due culture diverse: questo la rende molto vendibile”: In effetti, il prodotto Osaka può sfruttare l’ondata Nishikori in Giappone e risultare molto intrigante negli Stati Uniti, dove risiede e dove sono molto sensibili agli incroci delle razze, alle storie di frontiera, a vicende un po’ particolari. E cosa c’è di meglio di un’atleta (forte) mezza giapponese e mezza haitiana?