WIMBLEDON – Non c’è nulla di sorprendente nel successo di Eugenie Bouchard. Lei lo sa e (quasi) non esulta. I suoi margini di miglioramento sono impressionanti.

Di Cosimo Mongelli – 3 luglio 2014

 
La finale di Wimbledon. Il sogno di chiunque prenda una racchetta in mano. Il sogno, che una volta realizzato, ti fa entrare tra i grandi, tra gli indimenticabili, gli immortali. Sono passati pochi istanti dall'ultimo punto, vinto da Genie Bouchard contro Simona Halep. Punto che, questo sogno, l'ha tramutato in realtà.  Eppure la canadese si avvicina alla rete come nulla fosse, non si lascia andare, sembra abbia passato il primo turno in un qualsiasi torneo ITF. Tra tutte le doti di questa stella che oramai definire nascente suona come un eufemismo, l'autorevolezza è certo la più impressionante.
 
Si atteggia come una veterana qualsiasi, come se avesse già collezionato decine di Slam e questa fosse solo l'ennesima finale.  E' “solo” alla sua prima, invece, dopo le semifinali raggiunte in Australia e a Parigi.  E' “solo” alla sua prima, e soltanto lunedì la vedremo tra le top-10. Eppure tutto questo sembra solo l'inizio. Margini spaventosi di miglioramento, che vanno al di là degli schemi insegnati da Nick Saviano. Schemi che esegue alla perfezione. A volte, anche oltre la perfezione. Poco importa l'esito del suo prossimo incontro con Petra Kvitova. Ma nessuno si stupirebbe se fossero sovvertiti i pronostici. Nessuno né tanto meno lei. La prima che, a fine partita, intervistata, sembra vivere tutto questo quasi come nulla fosse. Come il risultato, quasi scontato, del duro lavoro, del divertimento con il quale affronta le partite e della consapevolezza del suo talento.
 
L'incontro di oggi? E' durato sino al tie break del primo set. Equilibrio sostanziale, poche emozioni. Non fosse per il medical time out chiamato dalla Halep, lieve distorsione alla caviglia e per il malore, proprio durante il tiebreak, di una spettatrice forse poco avvezza alla calura londinese.  Il tiebreak, appunto. Simona Halep ottiene un minibreak ma poi si spegne. Arrivano due set point per Genie che concretizza il secondo con uno smash. La seconda frazione una semplice formalità. Simona crolla, diventa sin troppo fallosa e si ritrova a dover sventare due match point già al settimo game. Ma la sentenza è già scritta.  Genie serve per il match, 40–15.  Qui forse l'unico istante di distrazione o forse di fretta, per poter salutare l'amico Jim Parsons (l'amatissimo Sheldon Cooper delle serie TV) seduto in tribuna. Ma la calma è subito ritrovata. Arriva un altro match point e arriva la meritata finale. E non sarà una sorpresa se non si accontenterà.