Senza l’amato papà al suo angolo, Novak Djokovic ha giocato una partita favolosa e ha zittito la O2 Arena (quasi) tutta per Federer. E’ l’unico davvero convinto di essere più forte di Federer.
Novak Djokovic festeggia con il suo team. Manca papà Srdjan
Di Riccardo Bisti – 13 novembre 2012
Sei anni fa, quando Novak Djokovic chiuse l’anno tra i primi 20 ATP (n. 16), papà Srdjan voleva fargli i complimenti. “Ma lascia perdere, me li farai quando sarò numero 1” rispose Novak, quasi piccato. Tra padri e figli, si sa, c’è un rapporto speciale. Mentre mostrava il trofeo delle ATP World Tour Finals al pubblico che gli aveva tifato contro, Nole ha avuto un attimo di commozione. Ha provato a nasconderla, ma non è stato difficile coglierla. Un attimo importante, perché in contrasto con la sua personalità. Djokovic è un giocherellone, ostenta ogni emozione. Anche a Monte Carlo, quando vinse un match dopo la morte del nonno, scoppiò in un pianto dirotto. Stavolta no, si è trattenuto. Significa che l'emozione era davvero importante. Avrebbe versato lacrime di gioia per il padre. Stavolta non era al suo angolo, magari con una maglietta-trash con l’immagine del figlio. Srdjan Djokovic si trova a Monaco di Baviera, presso la clinica specializzata “Groshadern”, in cui sta lentamente recuperando dopo la grave infezione batterica che, unita a problemi polmonari e alla spina dorsale, aveva aveva causato un enorme spavento a tutta la famiglia Djokovic. Si sentì male, e lo portarono in ospedale. Dopo dieci giorni tra il reparto di neurologia e quello di anestesiologia e rianimazione, papà Nole ha risolto il problema più grave ma ha continuato ad avere forti dolori alla schiena. Per questo l’hanno spedito in Germania, in una clinica super-specializzata, dove è volato con un jet privato insieme alla moglie Diana. Novak lo sente tutti i giorni, e qualche giorno fa ha detto di essere molto più tranquillo. “Ogni giorno arrivano buone notizie” ha detto ai giornalisti. Ma quando ha alzato il trofeo dopo la vittoria-deluxe contro un grande Roger Federer, avrà pensato a quel complimento rifiutato. “Adesso mi puoi dire bravo per due volte, papà”. Ci sono tante persone importanti nella carriera di Djoker: la prima maestra Jelena Gencic (quella che convocò una conferenza stampa per dire che quel bambino sarebbe entrato tra i primi cinque: pessimista), Niki Pilic, coach Marian Vajda, il nutrizionista-mago Igor Cetojevic. La fidanzata Jelena, naturalmente. Ma quando gli unici soldi che giravano a casa Djokovic erano quelli della pizzeria Red Bull, papà Srdjan era il solo ad andare in giro a cercare uno straccio di sponsor. E non tutte le porte si aprivano, tanto che in un paio di occasioni finì col rivolgersi agli strozzini, roba da interessi del 10-15% al mese.
Novak lo sa, e avrebbe voluto piangere per l’orgoglio di aver reso felice il padre. Deve aver provato la stessa gioia di un pilota di un Boeing quando mostra per la prima volta la cabina di pilotaggio alla madre. Non era facile giocare contro Roger Federer con certi pensieri per la testa. Ancora meno facile farlo in un’Arena tutta schierata per lo svizzero. Per il 90% del pubblico, il clichè della serata era l’eroe senza macchia contro il cattivo. Immagine amplificata dal completo all-black di Djokovic, l’uomo nero da abbattere. Ma a differenza di Murray, l’uomo nero ha un serbatoio da cui attingere energia anche dalle situazioni difficili. Gli altri si sgonfiano, lui si carica. Sapevamo che Djokovic non si sarebbe sbriciolato come lo scozzese. Solo il pensiero del padre ricoverato avrebbe potuto distrarlo, irrigidirgli il fisico perfetto. In effetti, all’inizio non era lui. I primi nove punti sono stati nove schiaffi. Schumacher-Federer ha preso il volo ed ha provato ad andare in fuga. Secondo Murray, quando Roger prende il largo gioca sempre meglio e non ce n’è per nessuno. Ma Djokovic ha tirato fuori gli attributi, facendo tesoro della finale di Cincinnati (dove la partenza-shock era durata un set intero) e ha incominciato a fare quel che gli riesce meglio: picchiare con discernimento su ogni palla, cercando di far muovere Federer e costringerlo sulla difensiva. Dall’altra parte c’era uno svizzero super, incapace di arrendersi. Una volta incassato il sorpasso, Federer ha trovato la forza di annullare il primo setpoint e assicurarsi il tie-break. Il modo in cui ha annullato il secondo setpoint (sul 6-5 nel tie-break), con una volèe miracolosa seguita da un dritto spalle alla rete, era la miccia che scatenava la gente. Ma dall’altra parte c’era l’unico giocatore convinto di essere più forte di lui. Questa convinzione-presunzione lo ha aiutato a non crollare e a rispondere a una gran prima di Federer sul 6-6 (Roger sbaglierà un rovescio) e a sparargli in faccia un dritto vincente sul terzo setpoint. Marian Vajda rideva e applaudiva. Sapeva che queste qualità non gliele ha trasmesse lui. Sono doti innate.
Ancora una volta, Nole ha dovuto finire sotto pressione per dare il meglio di sé. La libidine psicologica di aver zittito la O2 Arena lo ha distratto in avvio di secondo set, inaugurato da un doppio fallo. Ha provato a scuotersi gridando un insensato “Come On!” dopo uno scambio lottato, ma non ha evitato il passaggio a vuoto. Federer ne ha approfittato e si è fiondato sul 3-1. Se avesse trasformato la palla che lo avrebbe mandato sul 4-1 e servizio avrebbe allungato la disfida al terzo, e ne avremmo viste delle belle. Ma ha sbagliato tre dritti di fila, tenendo in vita Nole e – ancor più grave – restituendogli fiducia. In verità arrivava fino al 5-4 e 40-15, ma poi perdeva 12 degli ultimi 16 punti. Troppi errori (soprattutto con il dritto), certo, ma contro un altro giocatore non gli sarebbe successo. Nemmeno contro Nadal. E’ paradossale: Federer è indietro negli scontri diretti contro lo spagnolo e contro Murray, ma Rafa ha sempre avuto una certa sudditanza nei suoi confronti, mentre lo scozzese ne soffre il carisma. Non è un caso che i match importanti (finale olimpica a parte) li abbia vinti tutti Federer. Contro Djokovic è ancora avanti 16-13, ma il serbo non nutre alcun complesso di inferiorità. Quando ci ha perso, è stato perché Federer ha giocato meglio di lui (e capita spesso che Federer giochi meglio dell’avversario). Ma non lo soffre, anzi, si esalta. Gode nel dimostrare di non essergli inferiore. Ancora pochi mesi fa si parlava della proprietà anti-transitiva: Federer perde da Nadal, che perde da Djokovic, che perde da Federer. Teoria che sta in piedi per ragioni tecniche. Ma Nole ha saputo andare oltre ed è riuscito in una delle imprese più grandi della storia: scardinare un duopolio. E l’impressionante passing shot con cui ha chiuso la partita è la giusta metafora: si è infilato nei pochi centrimetri di campo disponibili, così come si è insinuato nei pochi spazi lasciati da Federer e Nadal, tramutandoli in un cratere. Novak chiude al numero 1 per il secondo anno consecutivo, portandosi a casa 1.500 punti extra e un gruzzolo di 1.760.000 dollari. C’è da credere che correrà ad abbracciare il padre, ricordando insieme a lui quegli anni in cui, tra una bomba e l’altra, il futuro sembrava così nebuloso. E quando Srdjan tornerà a casa, il sollievo sarà lo stesso provato il 10 giugno 1999, quando la NATO sospese i bombardamenti sulla Serbia. Insieme ai fratelli Marko e Djordje, corse all’impazzata sul terrazzo e gridò: “E’ finita, siamo al sicuro!!!”.
Il saluto tra Roger Federer e Novak Djokovic
The Master
di | 13-Nov-12 | Archivio, Tutti gli articoli