Secondo Sports Business Journal, la USTA sta cercando in tutti i modi un progetto fattibile per coprire l’Arthur Ashe entro il 2016. Ma ci sono due incognite: i costi e il peso dell’impianto.
Il progetto di ampliamento dello Us Open. L'Arthur Ashe Stadium risulta ancora senza copertura, ma qualcosa potrebbe cambiare
Di Riccardo Bisti – 16 luglio 2013
Gli americani non mollano. Anche se circa un anno fa hanno presentato un maxi-progetto per l’ampliamento di Flushing Meadows, si sentono in difficoltà rispetto alle altre tre prove del Grande Slam, almeno sul discorso-tetto. La storia è nota: in Australia ne hanno già due (e a breve faranno il tris dopo il restyling della Margaret Court Arena) e a Wimbledon hanno mandato all’aria una tradizione secolare per chiudere il Centre Court (ed entro qualche anno faranno altrettanto per il Court 1). Al Roland Garros hanno i loro problemi, ma tra le polemiche interne non è certo in discussione la creazione di un tetto. Al contrario, allo US Open non sanno come fare. Il problema riguarda l’eccessiva grandezza dell’Arthur Ashe Stadium, pensato come impianto scoperto e troppo pesante per sostenere la costruzione di un tetto posticcio. Ma le ultime edizioni del torneo, in cui la pioggia ha obbligato a giocare la finale di lunedì (e sarà così anche negli ultimi due anni), ha convinto la USTA a non demordere. Secondo Sports Business Journal, la federtennis americana è alla ricerca di proposte progettuali per costruire un tetto entro il 2016. Si tratta di una notizia in controtendenza rispetto al progetto dello scorso anno, anche se lo scorso marzo era già trapelata la notizia sulla costruzione di un possibile tetto, emersa dall’ultima assemblea USTA, in cui il direttore esecutivo Gordon Smith aveva presentato un nuovo progetto. In due parole, la parte superiore dello stadio (attualmente in cemento) sarebbe sostituita da un materiale più leggero, denominato Sandwich Plate System, che dovrebbe essere sufficiente per sostenere il peso di un tetto. Il problema è che si tratterebbe di una soluzione piuttosto costosa, che andrebbe ad aggiungersi ai 500 milioni di dollari già varati lo scorso anno.
“Il tetto è importante, ma ci sono altre tematiche che devono essere affrontate – disse lo scorso anno Gordon Smith, quando fu presentato il progetto di ammodernamento – non possiamo aspettare la creazione di un tetto per iniziare i miglioramenti che abiamo in mente”. Insomma, il progetto-tetto è indipendente da tutto il resto. Interpellato da Sports Business Journal, il portavoce USTA Chris Widmaier ha detto: “Non abbiamo ancora un design definitivo, ma stiamo lavorando duramente in questo senso. Vogliamo un tetto sull’Arthur Ashe Stadium”. Al momento, secondo quanto emerso, ci sono due sistemi in esame. L’altro materiale in ballo si chiama PTFE, abbreviazione di polytetraflouroethylene. Dovrebbe uscire un lavoro simile a quello previsto nel nuovo stadio dei Minnesota Vikings’ a Minneapolis. Tuttavia, a differenza di quanto previsto in Minnesota, il tetto pensato dalla USTA sarebbe una struttura mobile che copre l’area di gioco con una parte fissa su alcuni posti a sedere. Non ci sono ancora stime sui costi, e nemmeno su come la USTA coprirebbe le spese. Senza dimenticare che prima di iniziare i lavori dovrebbe arrivare l’approvazione dello Stato e della Città di New York. In due paole, i problemi vertono tutti sul peso dell’impianto. L’Arthur Ashe Stadium, inaugurato nel 1997, è il più grande stadio tennistico al mondo con oltre 20.000 posti a sedere. Ma è stato costruito sopra una discarica: secondo gli esperti, il terreno non sarebbe in grado di sopportare un qualsiasi peso supplementare. Per coprire l’impianto, dunque, bisogna inserire il tetto senza aumentare il peso: una vera e propria sfida ingegneristica. Per rendere l’idea della grandezza dell’impianto, basti pensare che un eventuale tetto a New York occuperebbe uno spazio cinque volte superiore rispetto a quello del Centre Court di Wimbledon. Negli ultimi 10 anni, la USTA ha già commissionato quattro studi per trovare la soluzione. Ad oggi, non è ancora emerso un progetto fattibile. Ma la tecnologia avanza. E la voglia di non restare indietro è sempre più forte.
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