WIMBLEDON – La ceca trionfa nel modo più bello, soffocando la Bouchard dalla prima all’ultima palla. Un 6-3 6-0 tanto esaltante per lei, quanto imbarazzante per la canadese.
Di Riccardo Bisti – 5 luglio 2014
Chiunque gioca a tennis avrà vissuto questa situazione almeno una volta. Avversario nettamente più forte, fastidiosa sensazione di inadeguatezza. La frustrazione di non riuscire nemmeno a palleggiare, come se l’avversario giocasse un altro sport. E la lotta disperata contro il cronometro. “Riuscirò ad arrivare all’ora di gioco? O magari a vincere un game?”. Ci sta, fa parte dello sport e anche della vita. Ma una cosa del genere non dovrebbe succedere nella finale di Wimbledon, a una futura numero 1 che si era presentata con ottime credenziali. Eppure Eugenie Bouchard, la piccola grande stella del tennis mondiale, è stata ridotta a comparsa da una strepitosa Petra Kvitova, vincitrice per la seconda volta dopo il successo del 2011. Petra è una ragazza troppo dolce, educata, sensibile. Se avesse un maggiore spirito agonistico, godrebbe a più non posso per aver tenuto in campo la sbruffoncella canadese per appena 55 minuti, seppellendola di colpi vincenti senza darle il tempo di organizzare la benchè minima difesa. Quando si scrive un articolo su una finale Slam si cerca di aggiustare la prosa, ci si impegna a trovare qualcosa di poetico. La Kvitova ce lo ha impedito. Ha tirato 28 colpi vincenti, circa due a game nel terrificante 6-3 6-0 finale. Un successo meritato, i cui semi sono sbocciati durante il terzo turno contro Venus Williams, dove si è trovata a due punti dalla sconfitta. Ma i suoi rituali, così simili a quelli del 2011, hanno pagato fino in fondo. Riso e ananas a cena, l’appartamento nei pressi di Wimbledon, l’aiuto di uno psicologo dello sport, l’hanno resa quasi imbattibile. In fondo, nessuno ha mai avuto dubbi sulle sue qualità. I problemi erano di ordine fisico e mentale: adesso che sembrano risolti, non ci sono ragioni per cui Petra non possa lottare per il vertice. E’ nel circuito da diversi anni, ma ha dalla sua un’età ancora giovane. Un’età in cui tutto è possibile.
FINALE A SENSO UNICO
La finale non c’è stata. Petra ha messo a nudo, sin dal primo punto, i limiti tecnico-tattici della Bouchard. Giocare di controbalzo paga contro buona parte delle avversarie, ma se trovi chi tira al doppio della tua velocità, senza darti il tempo di pensare, i risultati possono essere imbarazzanti. Senza contare l’ottima tenuta fisica della Kvitova, capace di soffocare qualsiasi avanzata del contingente canadese. Quando la Bouchard provava ad allargare il gioco, Petra replicava con bordate ancora più potenti, agli angoli, imprendibili. Quando la partita va così a senso unico non è facile capire dove finiscono i meriti della vincitrice e iniziano i demeriti della perdente. La verità sta nel mezzo: la Kvitova era in forma eccezionale, “on fire” come dicono gli anglofoni, ma la Bouchard non ha trovato alternative, il famoso “piano B”. Era talmente frustrata che a un certo punto ha smesso di cercarlo. Come nel 2011, quando dominò Maria Sharapova, la ceca ha avuto difficoltà nel trovare il modo giusto di festeggiare. La partita era troppo a senso unico. Si è sdraiata per terra, pancia all’aria, ma non c’era spontaneità nel gesto. “Doveva” farlo perché era Wimbledon, ma la gioia – quella vera – l’ha tenuta per sé e per tutti quelli che le sono stati vicino in tre anni difficili. Vincere due volte a Wimbledon è una grande impresa, ma la Kvitova può ottenere molto di più. Se il fisico la lascia in pace e le motivazioni restano tali, può essere competitiva in tutti gli altri Slam, compreso il Roland Garros (in fondo ci ha già giocato una semifinale). Non sarà mai forte come la Navratilova, ma i 4 Slam di Hana Mandlikova non sono un miraggio. E magari, vincendo sempre di più, diventerà più personaggio e non racconterà le solite banalità durante le interviste.
BOUCHARD, E ADESSO?
Questa finale, tuttavia, rischia di essere ricordata come il fallimento della Bouchard. Nel suo sguardo c’era profonda delusione, ai limiti della commozione, ma lei ha tenuto duro. Le lacrime non potevano “sporcare” l’immagine che si è creata nel tempo. “Per me è stata dura, ma credo sia un altro passo nella giusta direzione – ha detto – non credo di meritare tutto il vostro affetto, ma lo apprezzo molto”. Questa partita, potenzialmente, potrebbe avere effetti devastanti. La Bouchard si è creata un mondo perfetto, in cui non c’era spazio per i fallimenti. Un percorso dove non sono contemplati i traumi. Di certo non pensava di giocare la sua prima finale Slam ed uscirne in brandelli. Per la prima volta, Eugenie dovrà affrontare un ostacolo. C’è gente che non si è mai ripresa dopo una sconfitta del genere. Non crediamo sia il caso della Bouchard, ma non c’è dubbio che sarà un bel test per i suoi anticorpi. Dovrà scatenare l’orgoglio per lavare via una finale che ha evocato le sfide più imbarazzanti dell’Era Open. Era da 22 anni che a Wimbledon non si vedeva qualcosa del genere, quando Steffi Graf lasciò tre game a Monica Seles, costretta a non fare versi al momento di colpire la palla. “Genie” non aveva limitazioni di questo tipo, ma ne è uscita ugualmente con le ossa rotte.
WIMBLEDON 2014 – DONNE
Finale
Petra Kvitova (CZE) b. Eugenie Bouchard (CAN) 6-3 6-0
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