Bissando il titolo a Quito, Victor Estrella-Burgos è entrato nel ristretto club dei vincitori ATP over 35, insieme a soli 4 giocatori. Proprio lui che a 33 anni meditava di smettere, fuori dai top 200. Ora invece vede sempre più vicino il sogno di comprarsi una ‘rossa’.Si dice spesso che raggiungere certi risultati sia difficile, confermarli ancora di più. Eppure, l’ultima settimana del circuito ATP ha detto l’opposto: Richard Gasquet ha vinto di nuovo a Montpellier, Victor Estrella-Burgos ha fatto lo stesso a Quito. E nel suo caso la doppietta pesa tantissimo: in carriera ha vinto due tornei del Tour, entrambi ai quasi 3.000 metri d’altitudine del Club Jacaranda. E soprattutto, il primo a 34 anni, il secondo a 35. La sua storia è di quelle da non credere. Chi lo conosce bene ricorda che è cresciuto un gradino sotto alla povertà, in una Repubblica Dominicana che al tempo aveva ben poco da offrire. Si lasciò affascinare dal tennis facendo il raccattapalle ai ricchi in un resort di lusso, per portare a casa qualche spicciolo e contribuire alle scarsissime casse della famiglia. A Santiago de los Caballeros si faticava a vivere in generale, figurarsi con uno sport che non fosse atletica o baseball. Ma al giovane Victor di giocare i tornei con le scarpe rotte gliene importava ben poco, contava solo rincorrere un sogno, un treno che poteva non passare mai. Invece è passato, nel 2013, quando forse nemmeno lui lo aspettava più, e dopo una vita fra Futures (tanti) e Challenger (pochi) l’ha portato su fino a renderlo “importante come il Presidente della Repubblica”, come ha scherzato Fognini senior qualche tempo fa. Papà Fulvio ha esagerato, eppure la vittoria di ‘Viti’ in un piccolo ATP come quello ecuadoriano (con appena quattro top 50 al via) è stata accolta, di nuovo, come un titolo Slam. Il suo volto sorridente, sciarpa dell’Ecuador al collo e trofeo totem in mano, è finito su tutti i quotidiani, contribuendo alla popolarità del classico ragazzo comune, diventato eroe nazionale da un giorno all’altro.
QUITO, LA CITTÀ DEL SUO DESTINO
Piace pensare che non sia un caso che i due migliori momenti in carriera li abbia vissuti a Quito, dove nel 2012 – nel corso del Challenger poi promosso nel Tour maggiore – si infortunò seriamente al gomito destro, arrivando a meditare il ritiro. Ha tenuto duro, l’anno dopo quel Challenger l’ha vinto, e poi ha scritto altre due splendide pagine della sua storia d’amore con la Capitale ecuadoriana. Entrambi i titoli sono arrivati a modo suo, di tigna, nella lotta feroce. Nel 2015 contro Feliciano Lopez, 6-2 6-7 7-6, stavolta contro Thomaz Bellucci, 4-6 7-6 6-2. “Non posso descrivere la sensazione che ho provato quando l’ultima palla è terminata fuori, una gioia incredibile”, ha detto ai giornalisti, prima di festeggiare il titolo con un bel tuffo in piscina, seguito dai ball-boys del torneo. “Lo scorso anno sul match-point non riuscivo letteralmente a respirare, stavolta sono rimasto più tranquillo”. Eppure, conquistare un nuovo titolo era fondamentale: non avesse difeso i 250 punti del 2015, avrebbe perso una cinquantina di posizioni in classifica, finendo fuori dai primi 100, nell’anno dei 36. Invece ha fatto il miracolo, diventando uno degli appena cinque over 35 a segno nella storia nel circuito ATP (come lui solo Agassi, Santoro, Haas e Karlovic) e si è regalato almeno altri 12 mesi ad alti livelli. Manna dal cielo per chi prima del 2014 aveva raccolto poco più di 200mila euro in oltre dieci anni di carriera, la gran parte (se non di più) spesi per finanziarsi l’attività. Dal 2014 in avanti, invece, ha messo insieme quasi un milione, tanto da arrivare a cullare un sogno di lusso. “Non voglio morire senza essermi comprato una Ferrari, se vado avanti così l’anno prossimo ci rivediamo e ti porto a fare un giro sulla rossa”, ha raccontato al nostro direttore Lorenzo Cazzaniga nell’intervista dello scorso giugno. Di questo passo la (meritata) Ferrari arriverà presto, in tempo per mantenere la promessa.
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