Vincendo Wimbledon e le ATP World Tour Finals, Jean-Julien Rojer ha chiuso l’anno in vetta al ranking mondiale di coppia, insieme al compagno Horia Tecau. Il suo passaporto dice Olanda, ma cela una provenienza molto più affascinante e una storia da raccontare…Un tennista di Curaçao fa notizia già di per sé, se poi ci aggiungi che ha vinto Wimbledon, le ATP World Tour Finals e chiuso l’anno al numero uno del ranking di coppia, la storia non può passare inosservata. Lui è Jean-Julien Rojer, doppista nato una ventina di giorni dopo Roger Federer, in quel paradiso terreste che risponde al nome di Antille Olandesi. O meglio, rispondeva prima dell’ottobre 2010, quando l’ex dipendenza del Regno dei Paesi Bassi, situata nel mare dei Caraibi, ha cessato di esistere come entità unitaria, e le cinque isole che la componevano sono state divise fra il Regno stesso e i Paesi Bassi veri e propri. Lo stesso percorso compiuto da Rojer, passato dal 2012 sotto la bandiera olandese, che ne cela una storia affascinante. È venuta a galla nella stagione in cui i gemelli Bryan hanno abdicato dopo dieci anni di dittatura in doppio: Marcelo Melo ne ha approfittato diventando numero uno del ranking individuale, Rojer prendendosi insieme a Horia Tecau la vetta di quello di coppia, suggellata con la vittoria di domenica alle ATP World Tour Finals. Il 34enne caraibico le aveva giocate già tre volte, perdendo tutti i nove match del round robin, ma stavolta la magia si è posata proprio nella sua metà campo, chiudendo un cerchio aperto una trentina d’anni fa su un vecchio campetto in cemento con le erbacce che spuntavano in ogni dove. Rojer ci ha mosso i primi passi spinto dal fratello maggiore Jean-Jamil, che poi la racchetta l’ha abbandonata a favore del bisturi da chirurgo. “Quello era uno dei pochissimi campi dell’isola – ricorda Rojer – e soprattutto ci potevamo giocare anche tutto il giorno, perché era di nostra proprietà”. Già, perché grazie all’attività di dentista del padre Randall, la sua famiglia era benestante, tanto che sin da ragazzino Jean-Julien si spostava spesso a giocare tornei nella vicina Miami, dove grazie a un coach lungimirante è partito il suo percorso vero e proprio.
 
IL DOPPIO PER UN FUTURO MIGLIORE
Lo notò nel 1994 e lo invitò a trasferirsi da lui, ospitandolo a casa sua per aiutarlo a diventare un giocatore. Mamma Nazira, insegnante alle scuole elementari, storse il naso ma lo appoggiò, a patto che continuasse la scuola. L’ha fatto solo fino a 21 anni, abbandonando il prestigioso college UCLA di Los Angeles un anno prima della laurea in sociologia, scelta per capire il mondo e il comportamento delle persone, ma anche (o soprattutto) perché “era piuttosto facile, e mi permetteva di studiare anche se la mia testa era interamente incentrata sul tennis”. Col passare dei mesi il richiamo della racchetta è diventato sempre più forte, ‘Juls’ voleva diventare professionista a tempo pieno per imitare il suo modello Jonas Bjorkman, e ha ceduto. Ma solo da qualche tempo può dire di aver avuto ragione, dopo una lunga trafila nei tornei minori, che fino al 2006 l’avevano reso uno qualsiasi. Ha vinto 14 titoli Futures, ma non è mai entrato fra i Top-200. “Da junior ho giocato contro gente come Federer, Roddick, Gonzlaez, Coria, posso dire di essere uno di quelli che non ce l’hanno fatta”. Fino a quell’anno, per lui fare il tennista equivaleva a rimetterci dei soldi. “Ero 218 in singolareha raccontato al nostro Federico Ferrero nella sua inchiesta Vita da doppista –, davo tutto me stesso ma non ero esattamente nella posizione che aveva in mente uno che sognava le auto della transportation, gli hotel di lusso, le visite alle più belle città del mondo. Peccato che il mio livello di tennis non potesse offrirmi niente di tutto questo”. Ma a differenza di tanti altri, lui una soluzione l’ha trovata e a 26 anni si è riciclato come doppista, iniziando una scalata culminata nei giorni scorsi. Prima qualche titolo Challenger e l’ingresso fra i top 100, poi i primi titoli ATP, il primo Masters 1000 nella sua Miami (dove risiede) e la convocazione nel team olandese di Coppa Davis. In otto apparizioni ha vinto sei incontri, compreso uno contro Federer/Wawrinka nel 2012. “Spero che Roger non giochi, perché mi piacerebbe vincere”, raccontava alla vigilia del match. Invece il campione di Basilea è sceso in campo, ma lui ha vinto lo stesso. Un sogno a occhi aperti chi della Davis conosceva solamente i Gruppi 3 e 4, ed era abituato a trovarsi di fronte degli amatori, in dei piccoli circoli nei posti più disparati dell’America.
 
MATRIMONIO VINCENTE CON TECAU
La vera consacrazione, tuttavia, è arrivata nel 2014: se chi trova un amico trova un tesoro, il suo forziere di diamanti si chiama Horia Tecau, rumeno classe 1985, dal percorso nel circuito simile al suo ma con già tre finali Slam alle spalle, tutte nel Tempio di Wimbledon. I due hanno iniziato a far coppia all’inizio dello scorso anno, vincendo solamente un incontro nei primi tre tornei. Ma da Zagabria è cambiato tutto: è arrivato il primo titolo e poi altri sette uno via l’altro: terra, erba, cemento, indoor, non fa alcuna differenza. Segno che il livello raggiunto era quello ideale per fare la voce grossa in mezzo ai migliori, come avvenuto quest’anno. Il loro bilancio parla di soli tre titoli, ma nei tornei che contano sono sempre stati fra i migliori, e a Wimbledon è giunto il loro grande momento, con due maratone a renderlo ancora più gustoso. 15-13 al quinto contro Begemann/Knowle al secondo turno, 13-11 al quinto contro Bopanna/Mergea in semifinale, prima del 7-6 6-4 6-4 a Jamie Murray e John Peers che gli ha aperto le porte del paradiso. È vero che uno Slam in doppio non vale quanto uno in singolare, ma per chi del doppio ha fatto la sua professione, la soddisfazione non cambia di una virgola. “Abbiamo lavorato duramente per un anno e mezzo per vivere momenti come questo – raccontò a luglio – e ora non ci resta che sperare che ne arrivino degli altri”. Hanno dovuto attendere soltanto qualche mese, prima di dominare il torneo di fine anno. Nel round robin hanno dato due set a zero a tutti, in semifinale hanno sconfitto i gemelli Bryan e alzato al cielo il trofeo come miglior coppia dell’anno, il giorno dopo hanno regolato Bopanna/Mergea e impugnato pure quello dei Maestri. Oggi sono a pari punti al secondo posto del ranking individuale, dietro a Marcelo Melo, ma la coppia dell'anno sono loro due: un introverso rumeno e un simpatico olandese, con la sua racchetta Volkl rosso fuoco e le t-shirt griffate Gunn. Un brand fino a ieri sconosciuto nel mondo del tennis, proprio come una volèe vincente partita dai Caraibi.