LA STORIA – Un virus ha costretto la canadese Denise Fitzgerald su una sedia a rotelle. Disperata per la perdita di indipendenza, ha ritrovato la voglia di vivere grazial al wheelchair tennis.

Di Riccardo Bisti – 5 gennaio 2015

 

Denise Fitzgerald è una donna di 42 anni. Una come noi, senza alcun legame con il grande tennis e nessun grado di parentela con l'ex giocatore australiano. Lei è canadese. Circa un anno e mezzo fa, insieme alla sorella, si è concessa una breve vacanza a St. Lucia. L'ultima della sua vita. O meglio, l'ultima da persona comune. Quando è tornata a casa, a Nova Scotia, ha scoperto di aver contratto un virus mentre era via. Un virus che l'ha fatta dormire per 3 settimane di fila e le ha mostrato cosa significa stare all'inferno. Quando si è risvegliata non ricordava il suo nome, non riconosceva le persone e non ricordava la storia della sua vita. E, soprattutto, non era più in grado di camminare. Ma il cuore batteva ancora. Così ha trovato un nuovo modo di vivere, anche se adesso vede il mondo da una sedia a rotelle. Donna fiera e indipendente, adesso dipende dagli altri. Ed è stata costretta a traslocare per stare più vicino all'equipe medica e a chi le vuole bene. “Il supporto di amici e famiglia è stata l'unica cosa che mi ha permesso di andare avanti. Per me l'indipendenza era molto importante, mi piaceva fare tutto da sola. E poi sono un po' particolare su alcune cose. Odio chiedere aiuto alla gente”. Prima di ammalarsi, la Fitzgerald lavorava con i bambini delle scuole elementari. Bambini con forti disagi psicologici. Non ha ancora ripreso, perchè le sue funzioni cognitive sono seriamente compromesse e ha problemi soprattutto nella memoria a breve termine. Insomma, non sa se sarà in grado di tornare al lavoro. Tuttavia, sono riusciti a restituirle l'uso della gamba sinistra. In questo modo, sia pure con qualche accorgimento, può guidare la macchina. Insomma, ha recuperato un briciolo della sua amata indipendenza.


UNA NUOVA CARROZZINA

Quella che all'inizio sembrava un'encefalite, o un gonfiore del cervello, è probabilmente un 'semplice' problema neurologico causato dal virus contratto in quella maledetta vacanza. Per capirlo, ha trascorso sette mesi in giro tra vari ospedali. Quando l'hanno dimessa, sua sorella le ha dato un'idea per ritrovare salute ed entusiasmo: giocare a tennis. Era l'ultima cosa che avrebbe immaginato. Pensava di tornare a camminare, non certo di praticare uno sport. Ma lo scorso giugno, dopo l'ennesima richiesta, ha provato con il wheelchair tennis, e ha scoperto di essere brava. Molto brava. Probabilmente è stata aiutata dal suo passato di buona giocatrice di fastball. Ne è convinta la sua allenatrice Marijke Nel, che la segue con attenzione e le dà un mucchio di lezioni private in un club intitolato a Daniel Nestor. Le cose vanno talmente bene che Denise pensa di poter intraprendere una carriera agonistica. In fondo, il wheelchair tennis ha bisogno di un nuovo personaggio dopo il ritiro di Esther Vergeer. Per carità, non vedremo la Fitzgerald in uno Slam e nemmeno in un torneo internazionale. Però, nel frattempo, il prossimo marzo inizierà a giocare su un campo intero e ha già pianificato il suo primo torneo, in Quebec o in Ontario, dove tra l'altro c'è la più importante comunità canadese di wheelchair tennis. “In Nova Scotia il wheelchair tennis non si è mai sviluppato perchè non ci sono ancora eventi in programma” dice la Nel, convinta che il livello della sua allieva sia il più alto mai fatto registrare in un raggio di centinaia di chilometri. Inizialmente, la Fitzgerald giocava a tennis con la sua carrozzina di sempre. Poi, quando ha capito di essere brava, ha dovuto cercarne una tecnica, pensata appositamente. Ma non naviga nell'oro. Così, grazie a una raccolta fondi e l'aiuto di alcune istituzioni, tra cui Tennis Canada, ha potuto acquistare una sedia a rotelle 'da gara', al costo di 4.800 dollari. “Non avete idea di come il tennis abbia fatto la differenza nella mia vita – dice Denise – potermi concentrare sul tennis, evitando di pensare a quello che non ho, mi ha salvata. Ma io voglio tornare a lavorare. Non lavorare mi uccide”. Con la sua determinazione, siamo certi che ce la farà. E non appenderà certo la racchetta al chiodo, nemmeno quando tornerà tra i suoi amati bambini.