Ripercorriamo il mese appena trascorso con cinque vicende tennistiche “fotografate” da un’angolazione del tutto originale. DI MASSIMO GARLANDO 
Il mese si è aperto con la vittoria di Federico Delbonis a San Paolo

Di Massimo Garlando – 31 marzo 2014

 
Marzo mi piace, perché chiude l'inverno e apre le porte alla primavera. Certo, c'è quel retrogusto noir delle Idi, ma i giardini di marzo che si vestono di nuovi colori mi hanno sempre messo di buonumore (la canzone un po' meno). Proverò a sintetizzare gli aspetti più curiosi ed interessanti del marzo tennistico, con la solita avvertenza che trattasi di raccolto soggettivo, personale ed assolutamente opinabile. Chiedo quindi cortesemente ai vari ultrà di Tizial, Caiovic o Semprerer di non prendersela troppo se non troveranno cantate le gesta dei loro eroi, e di stare sereni. Una doverosa precisazione: gli argomenti sono introdotti da orrendi e a volte cacofonici giochi di parole. Ormai lo fanno tutti, dalla Gazzetta a Radio Sportiva a Marco Travaglio nei suoi editoriali, quindi perché dovrei farmi scrupoli io? Del resto, mi nutro di queste amenità da quando ero accanito lettore del Guerin Sportivo negli anni '80 (il capolavoro: "Sull'erba di Wimbledon è sbocciato un Nargiso", per festeggiare la vittoria di Diego nel torneo junior). Erano avanti di 30 anni e non lo sapevano.

TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO VEDERE NEL TENNIS MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE
Lo so, c'è il rischio dell'effetto Prunella Ballor, quello un po' da parvenu di portarsi i cibi pronti da casa, come Filini e Fantozzi al night club. Ma lo correrò a testa alta e con cuore impavido, conscio del fatto che un'occasione del genere non mi ricapiterà (credo) mai, perché il mese di marzo si è aperto davvero con il botto. Come ogni appassionato confermerà, si segue un tennista per i motivi più disparati, dall'aspetto tecnico alla personalità, dalla simpatia alla capacità di bucare il video, alla nazionalità eccetera. E fin qui niente di strano. Ma poi subentra l'illogico, l'imponderabile, il quid che porta ad appassionarsi alle vicende di un atleta senza un vero perché. Io, di questi beniamini inspiegabili, ne ho due. E se, anche solo un paio di anni fa, avessi ipotizzato una finale del circuito maggiore tra Federico Delbonis e Paolino Lorenzi, sarei stato per lo meno sommerso da risate di scherno. E invece il miracolo si è realizzato a Sao Paolo, dove l’ha spuntata l’argentino. Nel corso degli anni è diventato impresentabile sul cemento, anche per via dell’eccessiva apertura di dritto, ma è in grado di dire a sua sulla terra (chiedere a Federer per informazioni) ed è comunque stato capace di issarsi tra i top-50. Quindi, per sintetizzare, qual è stato il momento più significativo del primo weekend del mese? L'Oscar a La Grande Bellezza, l'incidente di Fiorello? Un rigore a caso negato all'avversaria della Juve? Niente di tutto ciò, il vero evento è stato l'atto conclusivo del torneo di Sao Paolo, in Brasile. E non si è trattato di uno scherzo di Carnevale. 

THE DOCTOR IS IN, UN CHAIR UMPIRE PER AMICO
Ernests Gulbis è un personaggio estremamente singolare. Straricco di famiglia e, per giunta, dotato di un talento cristallino, dà spesso l'impressione di giocare per puro divertimento e di essere un po' refrattario ai canonici comportamenti da atleta. In particolare, l'aspetto mentale non è esattamente il suo forte. Spesso i suoi match si trasformano in psicodrammi, con corollario di sproloqui, racchette distrutte e warning. Lo conosce bene il giudice arbitro Carlos Bernardes – antagonista anche in alcune tra le migliori interpretazioni di Fognini – che, ad Indian Wells, ha improvvisato con il lèttone un divertente siparietto stile lettino dello psicanalista, invitandolo letteralmente ad isolarsi e a restare concentrato soltanto sulla palla. Gulbis ha poi finito per spuntarla al terzo con Bautista Agut, e la cosa ha avuto parecchio risalto sui media. La scenetta, con i medesimi personaggi, si è ripetuta a Miami, con tanto di pugno-contro-pugno d'intesa al cambio campo ma, in quel caso, l'esito non è stato altrettanto positivo, visto che la partita l'ha poi vinta Benneteau.

PENNETTA, COME TE (QUASI) NESSUNO MAI
Flavia merita tantissimi complimenti, per essere stata capace di risalire ai massimi livelli, dopo che la doppia mazzata Kerber + infortunio l'aveva fatta precipitare in classifica. La straordinaria vittoria ad Indian Wells (dove ha fatto fuori la numero 2 e la 3 del mondo) mi ha ricordato il trionfo di Ivan Ljubicic nel 2010, sempre nel deserto californiano: due atleti oltre la trentina, dati frettolosamente per finiti, che riscattano anni di sacrifici con la vittoria che vale una carriera (nel caso di Flavia si tratta della seconda vittoria più importante dell'italtennis femminile, dopo il Roland Garros di Francesca Schiavone). Ma non è solo di questo che voglio parlare. Il successo della brindisina ha avuto una discreta eco nel settore, ma Flavia ha vissuto di improvvisa popolarità anche sui media generalisti per la sua amicizia con Fabio Fognini. In particolare è stato riportato ovunque l'autoscatto (sì, l'AUTOSCATTO. Anzi, approfitto per invocare un disegno di legge costituzionale che imponga sanzioni pecuniarie in caso di utilizzo dei termine SELFIE) che li ritraeva, con duck face d'ordinanza, poche ore dopo la finale. Del resto la nostra cultura sportiva è questa, in Italia la popolarità (calcio escluso) si misura con le copertine di Chi? o con la partecipazione a Ballando con le Stelle. Facciamocene una ragione.  

COME PUO' UNO SCOGLIO ARGINARE IL MURRAY?
Andy Murray non mi è mai stato particolarmente simpatico. Troppo vivo il ricordo di quel bicipite pallido, sfoggiato con rabbia dopo la vittoriosa rimonta contro Gasquet a Wimbledon, sotto gli occhi adoranti di mamma Judy. Il punto zero di consenso l'ha raggiunto quando ha ingaggiato Ivan Lendl: non il massimo per chi, da bambino, stravedeva per Superbrat McEnroe. Negli ultimi mesi, forse come pegno da pagare per le vittorie Slam e Olimpica, ha dovuto fare i conti con la doppia grana dell'operazione alla schiena (e ci sta, fa parte del rischio d'impresa) e, notizia fresca fresca, con l'abbandono da parte del coach, intenzionato a seguire nuovi progetti (e ci sta un po' meno, e deve fare parecchio male, perché l'allenatore che lascia un top player per l'impellente necessità – chessò – di giocare nel Senior Tour è più o meno come la ragazza che ti molla per farsi suora). Quindi, detto – parafrasando il Maestro – che nel loro caso è stato certamente meglio lasciarsi che non essersi mai incontrati, confesso che un pizzico di pietas per il povero Andy ultimamente l'ho provata. Il peggio sembra comunque passato e a Miami nel match si sono visti timidi segnali di ripresa. Il weekend di Davis sarà un altro banco di prova interessante.

PESSIME NUOVE SUL FRONTE DELPO(LSO)
Chiudo con gli auguri di pronta guarigione a Juan Martin Del Potro, un altro personaggio cui la sorte sta chiedendo indietro con gli interessi i fasti del glorioso US Open 2009. Di nuovo il polso (stavolta quell'altro) e, d'istinto, vien da chiedersi se una certa responsabilità non sia da ricercarsi nel tipo di gioco di Palito (se uno ha continuamente la macchina dal meccanico, è sicuramente sfortunato, ma probabilmente non è un drago nella manutenzione del mezzo). In ogni caso per lui la stagione è finita, lo aspettiamo nel 2015, per gustarci nuovamente il suo delizioso serve&voll… ah, no. Vabbè.