Agosto ci ha regalato la resurrezione di Federer, il ditino alzato della Errani, il ritiro di Alessio Di Mauro…e le bizzarre traduzioni di Google Translate.

Di Massimo Garlando – 7 settembre 2014



Il mese di agosto del tennis maschile si apre, come da tradizione, con i 1000 americani, che fanno da ricco prologo all'ultimo Slam dell'anno. Il primo appuntamento è in Canada e, per la consueta alternanza con Montréal, quest'anno è toccato all'anglofona e molto italiana Toronto. Curiosamente, ad ennesima riprova del fatto che il tennis è sport refrattario a basse questioni linguistiche, il vincitore è stato un francofono, Jo-Wil Tsonga. Che ha trovato, come a volte (ma non troppo) gli capita, la settimana perfetta e ha fatto fuori, in serie, Djokovic, Murray, Dimitrov e Federer, rilanciandosi alla grande nella corsa ad un posto tra gli otto Maestri di fine anno. La settimana successiva il circuito ha poi fatto tappa a Cincinnati e ha visto il successo di Federer che, confermata l'iscrizione al torneo non senza qualche dubbio (non è che avesse tutti i torti, visto che gli altri tre semifinalisti di Toronto non hanno poi superato nemmeno il primo incontro), ha finito per trionfare, mettendo a segno l'ennesimo record (trecentesima vittoria in un Masters 1000, già Masters Series, già Super 9) e – forse ancora più importante – convincendosi che la rincorsa alla posizione numero 2 di fine anno non è, come invece pareva ovvio soltanto qualche mese fa, pura utopia. 


LO SGUARDO DI ALESSIO DI MAURO
E mentre, al di là dell'Oceano, i top player se le davano di santa ragione sul cemento americano, dalle nostre parti è arrivato (ed è passato quasi sotto silenzio) l'annuncio del ritiro di Alessio Di Mauro, che ha chiuso la carriera dopo il torneo di San Marino. Parafrasando il Sassaroli di Amici Miei, si può dire che Alessio, nato da umili origini, ha impiegato una vita di sacrifici per farsi una posizione nel campo del tennis. La posizione è la numero 68, raggiunta all'apice della carriera dopo la finale di Buenos Aires, uno dei tornei nei quali venne sperimentata l'agghiacciante formula del round robin prima dei quarti di finale. Di lui resteranno indelebili l'abnegazione e l'intelligenza tattica, che lo hanno portato probabilmente ben al di là dei propri limiti, ma anche le buffe espressioni facciali e gli occhi pallati, una frazione di secondo prima di colpire la palla. Se c'è un giocatore paragonabile ad Alessio Di Mauro per le doti di cui sopra (beh sì, anche per le facce buffe), è certamente Paolino Lorenzi, che a New York ha finalmente sfatato la maledizione dei primi turni nei tornei dello Slam. Ci ha messo di più rispetto all'amico Marinko Matosevic (che gli ha, come da scommessa, pagato una cena a Parigi, dopo la vittoria con Rastamanno Brown, al tredicesimo tentativo) ma, dopo anni di sorteggi infami (Djokovic – due volte, Almagro, Berdych, Federer, per dirne alcuni), ha ricevuto in dono dalla sorte un avversario abbordabile, l'acerbo e semi-infortunato Nishioka, e ne ha meritatamente approfittato. L'impresa di Lorenzi si colloca nel contesto di un tabellone maschile che ha sì confermato il buon momento generale del tennis azzurro, con quattro ragazzi su quattro promossi al secondo turno, ma anche i limiti (quattro su quattro fuori al secondo, con i match di Bolelli e Fognini – per motivi del tutto differenti – a lasciare rimpianti) e la scarsa propensione al ricambio generazionale, visto che nessun italiano iscritto alle qualificazioni sì è minimamente avvicinato al tabellone principale. 

L'ADRENALINA DELLA ERRANI
Nel tabellone femminile di NY, oltre alla certezza (a Flushing Meadows e, in generale, sul cemento americano) Pennetta, anche Sara Errani ha raggiunto i quarti di finale. Visto che stiamo parlando del mese di agosto, mi soffermo un attimo sulla partita con Venus Williams (6-0 0-6 7-6, punteggio paradigma di quanto deliziosamente insensato riesce ad essere, a volte, il tennis delle ragazze), che ha visto la romagnola disputare un terzo set eccellente e un tie-break strepitoso. Purtroppo, come spesso capita da noi, l'impresa è passata in secondo piano, lasciando spazio ad una polemica sul gesto di Sara che, a fine partita, ha platealmente zittito il pubblico americano, reo di aver sostenuto un po' troppo calorosamente la propria beniamina. Ora, detto che una reazione del genere non è il massimo del fair play (sto cercando di far capire a mio figlio – ha nove anni e alcune attenuanti in più – che, quando gioca a calcio e segna, non deve passare sotto le tribune con il ditino sul naso, scimmiottando i suoi tamarrissimi beniamini. Primo perché non è elegante e secondo perché, di norma, zittisce il giardiniere-factotum della società ospite e un gruppo di padri e madri che, in quel momento, preferirebbero essere in spiaggia o in un centro benessere. Ecco, Sarita non mi ha aiutato nel progetto), non mi è sembrato niente di più che uno sfogo dovuto all'adrenalina, come dovrebbe essere comprensibile per chi abbia almeno disputato una partita di calcio sul campo del paese confinante. Senza contare il fatto che, quando se ne esce in questa maniera, il più delle volte danneggia se stessa e i risultati dei turni successivi diventano impietosi. Era successo a Parigi con la Petkovic, dopo la polemica in sala stampa, è successo a New York con la Wozniacki, due partite dopo il fattaccio. 

ARRIVA JACK CALZINO
A volte le esperienze più sconvolgenti possono accadere per puro caso. A me è capitato un episodio ai limiti del lisergico, semplicemente consultando una pagina in inglese dedicata allo US Open in un sito specialistico e cliccando, inavvertitamente, il tasto della traduzione automatica. Ho così potuto verificare che il torneo si disputa sulla superficie "difficile", ho aperto l'utilissimo "pdf pareggio", ho seguito con interesse l'andamento della stagione dei giocatori Donald Giovane e Jack Calzino. Ma, soprattutto, mi sono trovato di fronte tale Rajeev RAM (Random Access Memory) (sic), talmente figo da non essere nemmeno tradotto. Non oso addentrarmi nelle pagine riservate ai challenger, per non cadere in forme di dipendenza irreversibili.