WIMBLEDON – Una splendida Marion Bartoli si aggiudica il torneo dominando le paure della Lisicki. E’ il trionfo di un tennis diverso, forgiato da un padre visionario. 
Dopo il successo, Marion Bartoli è corsa ad abbracciare il suo clan

Di Riccardo Bisti – 6 luglio 2013

 
Marion Bartoli non ha sconfitto una sola top 10 per vincere Wimbledon. Di più: nel suo percorso, non ha battuto neanche una giocatrice meglio piazzata di lei. Ma tra 10, 20, 50 anni…si ricorderanno queste cose? Ovviamente no. E la Bartoli è una degna vincitrice dei Championships. Il suo nome non sfigura accanto a quelli di outsider come Virginia Wade, Conchita Martinez o Jana Novotna. Il 6-1 6-4 con cui ha battuto una tremolante Sabine Lisicki parte da lontano. “Sogno di alzare questo trofeo da quando avevo sei anni” ha detto nell’intervista-show con Sue Barker, mentre stringeva il Rosewater Dish tra le braccia. E’ nato allora, ma si è sviluppato nel fanatismo di papà Walter, un visionario un po’ folle che ha forgiato una giocatrice totalmente diversa dagli standard attuali. La leggenda dice che la faceva allenare su campi privi di “out” per non mettere mai i piedi fuori dal campo e sviluppare il senso dell’anticipo. Youtube testimonia di allenamenti curiosi, con zavorre ai piedi ed elastici attorno alla vita. Roba da chiamare il Telefono Azzurro, non fosse che Marion era già maggiorenne. Un rapporto, quello tra Marion e Walter, quasi morboso. Pur di non separarsi da lui, ha rinunciato per otto anni alla Fed Cup e ha saltato persino due edizioni delle Olimpiadi. E siamo convinti che la silhouette della figlia, non proprio da pin-up, sia stata sempre ben accolta dal padre. Così, i maschietti la lasciavano stare. Ma forse non era quello che Marion desiderava. La separazione, almeno sul piano professionale, è stata lunga e travagliata. Jana Novotna prima e Gerard Bremond poi non sono riusciti a trovare la chiave. E i risultati rispecchiavano le difficoltà: si è presentata a Wimbledon senza aver vinto tre partite di fila in tutto il 2013.
 
Per mettere insieme i pezzi del puzzle c’è voluta Amelie Mauresmo, una che di dilemmi interiori se ne intende, almeno da 14 anni, quando rivelò al mondo la sua omosessualità durante l’Australian Open 1999. Amelie ha combattuto con decine di fantasmi e li ha battuti (quasi) tutti. La sua presenza ha tranquillizzato Marion, l’ha fatta tornare a giocare in Fed Cup e ha mostrato un lato di lei che il rapporto esclusivo con il padre aveva un po’ nascosto: ama scherzare, stare in compagnia, divertirsi. Le scene di giubilo dopo la vittoria contro il Kazakistan lo hanno testimoniato. E la presenza di Kristina Mladenovic nel suo box durante la partita è un altro indizio. “Farò il tifo per te nella finale del doppio misto” le ha detto in mondovisione. Vedendo la Bartoli vincere Wimbledon non abbiamo pensato alla “solita” rivincita delle ragazze in carne sulle pin-up. Semmai, abbiamo pensato che un tennis diverso è ancora possibile. Il “corri e tira” la fa da padrone, ma il senso dell’anticipo, le geometrie ardite e la fantasia possono ancora essere efficaci. Buona parte del merito è di Walter Bartoli, un ex medico che ha mollato tutto per seguire una chimera. Marion, che è ragazza intelligente, lo sapeva e lo ha voluto con sé nel giorno più importante. Lui era quasi impassibile, si è preso l’abbraccio più sentito quando la figlia si è arrampicata (non proprio come una gazzella) nel players box, ma non si è scomposto. A un certo punto parlava al telefono. Avremmo pagato per sapere cosa gli passava per la testa in quegli attimi. Forse l’orgoglio paterno, forse quello narcisistico per aver creato una campionessa, ma magari il rimorso per aver esagerato nel tenerla “segregata” e lontana dal mondo. Chissà, la sinergia con la FFT avrebbe potuto dare prima certi risultati.
 
La finale non c’è stata. A parte un primo game disastroso, in cui ha commesso tre doppi falli e ceduto il servizio, si è avventata a quattro zampe sulle difficoltà della Lisicki. La tedesca ha smesso di sorridere dopo il primo punto ed è piombata in un mare di errori gratuiti che l’hanno fatta scoppiare in lacrime persino durante la partita. Sul 6-1 3-1, le telecamere BBC l’hanno colta in una crisi di pianto che poi è esplosa durante la premiazione, quando ha ringraziato il suo team. “Sono stata travolta dalla situazione, spero di avere un’altra possibilità” ha detto. “Sono sicura che l’avrai” ha risposto la Bartoli, scandendo bene la voce al momento di dire “sicura”. In verità, il secondo set avrebbe potuto andare diversamente se la Lisicki avesse trasformato una delle tre palle break avute sull’1-0. Magari saliva 2-0, chissà…sulla prima ha messo in corridoio un banale rovescio, mentre sulle altre due è stata perfetta la francese. Pochi minuti dopo era già 5-1 e 15-40 sul servizio di Sabine. A quel punto, il braccio e il cuore della Lisicki si sono finalmente sciolti e c’è stato un abbozzo di rimonta. Ma sul 5-4, quando ha servito con palle nuove, la Bartoli ha tenuto a zero l’ultimo turno di battuta e ha chiuso con un ace. “E chi se lo immaginava? Mi sono tenuta l’ace per il momento più importante!”. Probabilmente resterà una “One Slam Winner”, ma oggi non importa. Sei Campionessa di Wimbledon per tutta la vita. E quella corsetta verso il proprio clan, con le difficoltà per arrampicarsi a causa di un fisico non esattamente da Vanity Fair, resterà la fotografia di un successo bello e meritato. E chissà che tra i milioni di spettatori che hanno visto il match in TV, non ci fosse una versione 2.0 di Walter Bartoli, magari senza i suoi eccessi. Il tennis ne sarebbe felice. 

WIMBLEDON 2013 – DONNE
FInale

Marion Bartoli (FRA) b. Sabine Lisicki (GER) 6-1 6-4

La Bartoli sembra dire alla Lisicki "Un giorno toccherà anche a te"