L'obiettivo di Davide Sanguinetti è diventare capitano dell'ItalDavis. Per adesso studia da coach allenando il giapponese Go Soeda. DI RICCARDO BISTI
Davide Sanguinetti allena il giapponese Go Soeda
Intervista di Riccardo Bisti – Photo by Marco De Ponti
Tratto dal nostro TENNISBEST Magazine, attualmente in edicola
Davide Sanguinetti è stato uno dei migliori giocatori italiani degli ultimi 20 anni. Ha regalato grandi emozioni raggiungendo i quarti a Wimbledon ma soprattutto battendo Roger Federer in finale nel defunto torneo di Milano nel 2002. Dopo il ritiro e un anno sabbatico, è tornato nel mondo del tennis come coach. Oggi allena il giapponese Go Soeda, ma la sua esperienza potrebbe essere una risorsa importante per il nostro tennis, magari come capitano di Coppa Davis. Un ruolo che non gli dispiacerebbe: “Vorrei avere una chance, ma solo quando Barazzutti non avrà più voglia”.
Com’è la vita da coach vista dall’altra parte della barricata rispetto a quando eri giocatore?
Molto stressante. Cerchi di tenere calmo il tuo giocatore e di portare il famigerato “stress” tutto dalla tua parte. Alla sera ne risenti: hai un po’ di mal di testa, sei stanco, non hai voglia di fare granché. Di certo adesso capisco molte più cose: essendo stato sia giocatore sia coach, vedo entrambe le facce della medaglia. Da giocatore, molte volte si è cocciuti e non si vuole capire quello che l’allenatore ti vuole spiegare. Io ho affrontato anche dei litigi molto duri con Pistolesi, ma sempre costruttivi. E i risultati migliori li abbiamo ottenuti subito dopo, quindi penso che un sano litigio possa essere anche positivo.
Com’è allenare un giocatore giapponese? Più in generale, come vivono il tennis i giapponesi?
I giapponesi ti studiano parecchio, vogliono assimilare tutte le tue esperienze. Non hanno tanta cultura tennistica e ne sono consapevoli, quindi più idee metti sul tavolo e più sono contenti. Con Soeda mi sono trovato subito bene: lui ha un carattere duro. È un ragazzo calmo ma sa quello che vuole. All’inizio non mi seguiva tantissimo, anche perché c'era qualche problema di comunicazione visto che lui non parlava troppo bene l'inglese. Adesso le cose vanno meglio e credo abbia iniziato a capire gli schemi e le tattiche che gli sto insegnando.
Essere stato un giocatore professionista quanto ti aiuta nel tuo lavoro da coach?
Mi aiuta soprattutto sulle sensazioni. Per essere un buon coach non devi per forza essere stato un giocatore importante, però aver giocato mi aiuta nei momenti chiave della partita, e se in quel momento Go è ricettivo, possiamo anche portare a casa un match che magari sarebbe più complicato. Io ho tanta esperienza: credo che 13 anni da professionista siano un buon bagaglio da cui attingere.
Nella tua carriera hai commesso degli errori che oggi consiglieresti di evitare ad un giovane tennista?
Ne ho commessi tanti. Sono convinto che sarei entrato tra i primi 20 se, quando mi allenava, Pistolesi avesse avuto l’esperienza di oggi. Di questo ne sono certo. Purtroppo lui iniziò in quel momento…Però abbiamo imparato tantissimo.
Se allenassi un giovane, quali errori gli faresti evitare?
È fondamentale avere un team unito, e ci sto provando con Soeda. Oltre al sottoscritto, c'è un ottimo manager al quale si è aggiunto un preparatore atletico. Vorrei che questi fattori creassero un’unica entità per il bene del giocatore. Questo è stato il lato negativo della mia carriera: non avevo un manager e nemmeno un preparatore atletico. Questa figura si è aggiunta dopo con Stefano Macioce, e infatti i risultati sono arrivati più tardi. Lo avessi capito prima…
Per diventare coach professionisti, bisogna “studiare” o basta l’esperienza?
Bisogna studiare. Io sono stato fortunato perché ho avuto dei maestri che mi hanno insegnato tanto come Benedetti e Pistolesi, ma studiare da coach è fondamentale. All’inizio bisogna fare gavetta e investire su se stessi. Il coach deve studiare con attenzione il prossimo avversario del suo giocatore, la tecnica da utilizzare, tante piccole cose che alla fine fanno la differenza. La teoria invece, la conosci già dopo tanti anni di professionismo.
Raccontaci il tuo rapporto con Dinara Safina.
È una grandissima giocatrice e con lei ho imparato tante cose. L'ho presa in un momento in cui era sotto terra, reduce da una tremenda batosta all’Australian Open. Voleva ritirarsi, ma le dissi: “Proviamo ancora, dammi un mese della tua vita e poi decidi”. Ci siamo allenati bene insieme, e i risultati sono arrivati. Quarti a Indian Wells, buona partita con la Zvonareva a Miami, poi ha iniziato ad aver male alla schiena e purtroppo il dolore non è ancora sparito. È stata sfortunata, ma ci sentiamo ancora al telefono e su Skype. Adesso sta vivendo una seconda giovinezza al di fuori del tennis.
Quali differenze ci sono tra allenare un junior (tu hai seguito Nastassja Burnett) e un tennista già formato?
A me piacerebbe molto provarci con un giocatore junior, plasmarlo come piace a me. Il problema è che adesso non vedo in giro dei giovani particolarmente interessanti. La Burnett è una grande lavoratrice, ma bisogna riuscire a entrare nella sua testa, manca ancora un piccolo pezzo del puzzle. Tra le donne penso che l’aspetto più importante su cui lavorare sia quello mentale. Tra gli uomini, in questo momento, è fondamentale il fisico. Un 18enne non può essere pronto come un 25enne, anche perché oggi tutti tirano fortissimo.
Doping e scommesse: qual è la piaga più grave e quale la più difficile da eliminare?
Penso che le scommesse siano orribili. Perdere volontariamente una partita è agghiacciante. Se qualcuno venisse scoperto, vorrei che venisse bandito per tanti anni. Nel doping, purtroppo, anche se vieni preso, trovano delle scuse improponibili. Secondo me dovrebbero dare 2 anni secchi. Se poi ti riprendono… squalifica a vita.
Punti a diventare capitano di Coppa Davis?
Barazzutti ha fatto bene, ha vinto tre Fed Cup con le donne, mentre tra gli uomini l’inizio è stato più problematico, ma poi ha trovato alcuni buoni giocatori e finalmente sono tornati nel World Group, dove secondo me l’Italia dovrebbe sempre stare. Per quanto mi riguarda, io ho già dato la mia disponibilità alla Federazione. Attenzione: non voglio prendere il posto di Barazzutti, ma quando lui avrà voglia di smettere mi piacerebbe avere una chance.
Come giudichi la situazione dei nostri davisman?
Io non trovo che il tennis italiano sia in pessime condizioni come dicono in tanti. Seppi è tornato in Davis ed è una buona notizia. Fognini deve ancora esprimere tutto il suo talento e Starace è una roccia: sta nei primi 50-60 da una valanga di anni. Quello che dovremmo cercare di recuperare è Simone Bolelli. Secondo me è il più grosso talento che abbiamo. I giovani non li ho visti giocare tantissimo, tuttavia credo che Giannessi abbia grandi potenzialità, deve migliorare servizio e rovescio ma lo vedo bene, anche se soprattutto sulla terra rossa.
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