Con Robin Soderling ormai ritirato, la Svezia sogna di tornare ai fasti di un tempo grazie al 18enne Elias Ymer. Il ragazzotto, di origine etiope, ha evitato un’umiliante retrocessione nella Serie C di Coppa Davis.
Di Riccardo Bisti – 30 ottobre 2014
L'ultimo grande del tennis svedese si è ridotto a produrre palline da tennis con il suo nome e dirigere il torneo di Stoccolma. C’è tristezza nel raccontare la parabola di Robin Soderling, che quattro anni fa vinceva il torneo di Parigi Bercy e poi iniziava alla grande il 2011, vincendo tre titoli ATP con Claudio Pistolesi come coach. Poi, durante il torneo di Wimbledon, ha iniziato a sentirsi stanco, debole, incapace di giocare. “Il sangue sembrava diventato melassa” ha raccontato in un’intervista al New York Times, ripresa dai media di tutto il mondo. Robin è fermo da tre anni e mezzo e la tristezza non sta nello stop, bensì nel fatto che non si rassegna. Non vuole pronunciare la parola “ritiro”, vuole tenersi aperto uno spiraglio. 30 anni di età, in fondo, non sono poi così tanti. Il problema è che il fisico non ne vuole sapere. Circa 6 mesi ha riprovato ad allenarsi come ai vecchi tempi, ma il suo corpo lo ha rispedito al mittente. E così la Svezia è rimasta senza giocatori. Per trovare il primo svedese nel ranking ATP bisogna scendere al numero 226, dove c’è Christian Lindell, che ha finalmente scelto la Svezia dopo aver sfogliato a lungo la margherita col Brasile. Sette gradini più giù c’è Elias Ymer, un “colored” che è la più grande speranza per tornare ai fasti di un tempo. In fondo, se il calcio resta a galla grazie a Zlatan Ibrahimovic, di origine balcanica, perchè non scegliere il figlio di un etiope per il tennis? Non va meglio tra le donne, dove Johanna Larrson è l’unica top-100 e ha giocato un discreto Us Open, battendo Sloane Stephens. Sofia Arvidsson è uscita delle top-200, l’unico nome appena futuribile sembra essere Rebecca Peterson.
DA BORG A 110.000 ANONIMI
C’è il rischio di essere noiosi, parlando del declino del tennis svedese. Ma è troppo evidente per non ricordare alcuni dati. Tra il 1974 (anno del primo Slam di Bjorn Borg) e il 1992 (ultimo Major di Stefan Edberg) si sono aggiudicati 24 prove del Grande Slam, una in meno degli Stati Uniti. Più che una potenza, la Svezia era un’isola felice. Con bacino umano così così e un clima non certo adatto al gioco all’aperto, producevano talenti come a Napoli sfornano la pizza. Tra il 1975 e il 1998 si sono aggiudicati sette Coppa Davis. Poi, senza neanche un periodo di transizione, sono crollati. Thomas Johansson ha vinto per caso un Australian Open, ma la Svezia ha smesso di produrre, tenuta a galla da Soderling finchè il suo corpo ha retto. “Non posso credere che ci manca un rappresentante negli Slam – ha detto Magnus Norman, figlio dell’ultima generazione vincente – è un peccato, impensabile soltanto 20 anni fa”. Il miracolo svedese è nato grazie a Bjorn Borg. L’orso di Sodertalje è stato molto più che un tennista. E’ stato un fenomeno di costume che ha fatto proliferare tennis club in tutto il paese. I campioni e gli ottimi giocatori degli anni seguenti, magistralmente raccontati qualche anno fa da Marco Imarisio, erano figli del suo boom. In realtà, l’onda lunga di Borg vive ancora oggi, almeno sul piano numerico. Nel 2014, la federtennis svedese ha 110.000 tesserati su una popolazione di 9,5 milioni di abitanti. Tenendo conto che la FIT ne ha circa 300.000, il dato è impressionante. Gli svedesi sono un popolo di rara civiltà: non si nascondono e fanno autocritica. “Siamo stati un po’ troppo presuntuosi – riconosce Ulf Dahlstrom, segretario generale di Svenska Tennisförbundet – abbiamo avuto anni d’oro ma non siamo stati capaci di tenere il passo con l’evoluzione del tennis e dello sviluppo economico. Abbiamo dati per scontati i nostri successi”.
L'UNIVERSITA' DEL TENNIS
La chiave del fallimento? Pare che la Svezia non abbia investito abbastanza sullo sviluppo di giocatori e allenatori, bruciando la possibilità di coinvolgere gli sponsor. E così le risorse per i giovani sono improvvisamente calate. Ormai un coach non basta più: ogni giocatore ha con sè uno staff di parecchie persone. Tutto questo costa, e senza soldi diventa tutto più difficile. Per carità, in Svezia c’è un’alta qualità della vita, ma anche il costo della stessa è molto alto. Così la federazione è rimasta a gambe all’aria, anche se sul piano organizzativo tengono duro: i tornei ATP di Stoccolma e Bastad resistono e hanno un buon successo. A Bastad c’è anche il torneo femminile. Ma la nuova Svezia sta ritrovando fiducia. La fiammella della speranza è stata accesa da Magnus Norman, che insieme agli ex colleghi Kulti e Tillstrom ha creato l’accademia “Good to Great” che si è costruita un nome a livello internazionale. Hanno ottenuto buoni risultati con Grigor Dimitrov, ancora migliori con Stan Wawrinka. Per adesso ne traggono beneficio gli stranieri, ma c’è il progetto di coinvolgere sempre più svedesi. Proprio in questi mesi è stata inaugurata l’Università del Tennis, un progetto condiviso in cui gli allenamenti saranno impostati dall’Accademia “ReadyPlay” di Stefan Edberg, tornato alla grande nel circuito come coach di Roger Federer. La nuova università si propone di offrire ai giovani la possibilità di continuare a giocare senza perdere di vista l’istruzione. L’obiettivo è imitare il sistema americano, dove esistono tante possibilità del genere. Anche tanti svedesi hanno abbandonato il paese per cercare fortuna negli States, ma la concorrenza è micidiale e non è uscito nessuno. Nel frattempo, il livello dei tornei interni si è abbassato drasticamente. Il nuovo progetto prevede una riqualificazione degli stessi. Secondo Norman si tratta di un passaggio fondamentale: “La competizione interna ci eviterà di presentarci all’estero e rimediare brutte figure. Abbiamo toccato il fondo, adesso siamo di nuovo sulla strada giusta”.
DALL'ETIOPIA CON AMORE
La strada potrebbe essere segnata dal giovane Elias Ymer, fiore all’occhiello della “Good to Great”. Papà Wondwosen è nato in Etiopia ed era un ottimo corridore, in particolare sui 10.000 metri. Nel 1987, tuttavia, sfibrato dalla guerra con l'Eritrea, è scappato via. E ha scelto la Svezia, dove è stato accolto come un figlio. Fa l'ingegnere in un caseifico, mentre mamma Kelemework è un medico. Brava gente, onesta, che ha trovato rifugio a Skara, paesone di 20.000 abitanti a 150 chilometri da Goteborg. Ymer senior pensava che i suoi figli (promette bene anche Mikael, fratello minore di Elias) potessero diventare mezzofondisti come lui. Ma la folgorazione è arrivata al Tennis Club di Skara, dove li hanno fatti giocare gratis per anni. A un certo punto sono stati notati proprio da Magnus Norman. "Si è presentato con una racchetta dentro una borsa di plastica e le scarpe vecchie – ricorda Norman – per me è stato normale volerlo aiutare. Anch'io non avevo grandi risorse quando ero piccolo". Quest’anno ha già scalato 500 posizioni nel ranking, vincendo cinque futures e cogliendo i primi successi a livello challenger, oltre al primo match nel circuito ATP (naturalmente a Bastad). Lo scorso weekend ha guidato il team di Coppa Davis, che a Jonkoping ha battuto la Lettonia in un delicato spareggio per restare nel Gruppo I. Dopo aver perso 9-7 al quinto nella prima giornata, si è rifatto nel match decisivo, vincendo il singolare sul 2-2 contro Janis Podzus. Anche l'anno scorso aveva centrato un'impresa del genere contro la Danimarca. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”. E la Svezia, pochi giorni fa, ha davvero rischiato finire nella melma peggiore. L’hanno evitata, e da qui possono ripartire. Con un nuovo eroe dalla pelle nera.
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