In inglese viene definito ‘tanking’: perdere volontariamente un match, o un game, o un punto, per mancanza d’impegno. Può avvenire per vari motivi, dagli impegni di Marcelo Arevalo alla scarsa voglia di Benoit Paire a San Benedetto. Ma va punito ugualmente.A Wimbledon ha fatto scalpore il caso di Nick Kyrgios, che nel bel mezzo del match con Richard Gasquet si è completamente disinteressato di un game, indispettito da una chiamata del giudice di sedia. Il suo caso è finito su tutti i giornali, perché è avvenuto nel Tempio della racchetta e perché il giovane aussie sarà una delle future stelle del circuito, ma purtroppo il suo comportamentonon è affatto nuovo nel mondo del tennis. In inglese il fenomeno viene definito ‘tanking’, in gergo italiano diventa ‘sciogliere’: perdere volontariamente un punto, o un game, o addirittura un match per mancanza d’impegno. Sembra un qualcosa di contro natura, eppure nel tennis capita, specialmente nei tornei di doppio. A inizio stagione hanno fatto il giro del mondo le immagini degli statunitense Wayne Odesnik e Michael Shabaz fare di tutto per perdere il super tie-break del loro primo turno di doppio al Challenger di Maui, rimasto l’ultimo torneo dell’ex top 100 di origini sudafricane, radiato – per la gioia dei colleghi – dopo la seconda violazione delle leggi anti-doping. Più recenti, invece, le immagini del doppio Arevalo-De Paula, che hanno completamente ‘sciolto’ la semifinale del Challenger dell’Harbour Club di Milano, fra servizi dal basso, volée mancate volontariamente ed errori grossolani. Molti hanno pensato alla piaga delle scommesse, ma il motivo è diverso: il salvadoregno doveva lasciare la Lombardia al più presto, perché il giorno successivo avrebbe dovuto giocare le qualificazioni al Challenger di Padova. Una scelta che, coi tornei back-to-back ogni settimana, diventa spesso obbligatoria per i singolaristi che giocano il doppio solo per guadagnare qualche soldo in più, ma una volta eliminati dal singolare se ne disinteressano.
IL TANKING È NELLA CULTURA DEI GIOCATORI
“E allora perché non ritirarsi?”, chiede qualcuno. Semplice: il ritiro prima del match è permesso solo previo certificato medico, e in doppio obbliga i giocatori a rinunciare a una fetta di punti e soldi (vengono assegnati quelli del round precedente), mentre quello a partita in corso necessita di una motivazione reale, con visita dal medico del torneo e rischio che il certificato non permetta di giocare nei giorni successivi. Di conseguenza, è più facile perdere volontariamente, come nei match di coppia capita spesso, anche se in maniera molto meno plateale rispetto alle due citate in precedenza. Da una breve ricerca in rete, si risale a un articolo sul ‘tanking’ del Daily Mail Online, datato addirittura giugno 2001. Segno che la pratica non è affatto nuova, ma è anzi ormai radicata nella cultura tennistica dei giocatori. E allora perché in tutto questo tempo non è ancora stata trovata una soluzione? Nell’articolo si raccontano alcune storie vecchie, come quella che i match fra Serena e Venus Williams fossero ‘apparecchiati’ a tavolino da papà Richard, e altre ancora attuali, come quella legata ai contratti che alcuni giocatori hanno con i tornei. Dei gettoni di presenza, assolutamente alla luce del sole (nei tornei maggiori ATP è permesso dal regolamento, mentre nei Challenger no), che i tennisti ricevono per partecipare a determinati eventi, a prescindere dal risultato. Al tempo, l’autore Michael Mewshaw fece l’esempio di Yevgeny Kafelnikov al German Open, o “di un ex numero uno del mondo che perse al primo turno per sette tornei consecutivi, dopo aver ricevuto il gettone di presenza”. Eppure, siccome allo stesso tempo fa l’interesse di tornei e giocatori, è tutto regolarizzato.
MULTA IN ARRIVO PER BENOIT PAIRE?
Tutte forme di una pratica che non dovrebbe esistere, e purtroppo accade quasi solo nel mondo del tennis. È successo anche ieri al Challenger di San Benedetto del Tronto. Protagonista Benoit Paire, che nel secondo set del suo match di primo turno contro Filippo Volandri ha completamente mollato un game di risposta, e poi pure il set-point, finendo per ritirarsi sullo 0-2 del terzo, dopo aver perso otto giochi consecutivi. La motivazione ufficiale è “sickness”, che in italiano traduce un insieme di sintomi come vertigini, nausea e vomito. In pratica, tutto e niente. “Quando posso gioco in Italia molto volentieri”, ci aveva raccontato il cavallo pazzo francese un paio di settimane or sono, in una lunga intervista. Evidentemente, si è stancato di come stava andando l’incontro e ha preferito farla finita nel più breve tempo possibile. Il giudice di sedia l’ha punito con un warning per scarso impegno, ma non ha potuto evitare un comportamento da punire. Se per Nick Kyrgios si è parlato di multa esemplare, anche se a quanto pare è tutto caduto in un nulla di fatto, Paire ha fatto pure peggio. E anche se il Challenger di San Benedetto non è Wimbledon, il comportamento andrebbe punito con la massima severità, per evitare che si ripeta di nuovo. La prima soluzione potrebbe essere una salata multa, oppure la confisca del prize-money, per fare in modo che, vittoria o sconfitta, i giocatori si impegnino sempre fino alla fine, per rispetto degli avversari, del pubblico e degli organizzatori. Ne va della dignità dello sport classico per eccellenza, che negli anni si sta sporcando sempre più.
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