LA STORIA – Patrick Olobo era il n. 1 d’Uganda e giocava uno scalcinato match di Coppa Davis. Ma un fotoreporter americano era in tribuna al Lugogo Tennis Club di Kampala….
Il trailer di "Somay Ku: a Uganda Tennis Story"

Di Riccardo Bisti – 20 febbraio 2014

 
L’Uganda sta vivendo una guerra civile che va avanti da quasi 30 anni. Una guerra dimenticata, di cui non parla nessuno, che però ha costretto 2 milioni di persone ad abbandonare la propria casa e ha visto il rapimento di 30.000 bambini. Ancora oggi, migliaia di persone muoiono di stenti negli squallidi campi per sfollati nel nord del paese. Tanti anni fa, l’Esercito di Resistenza del Signore si è infilato nella casa di Patrick Olobo e ne ha sterminato la famiglia. Hanno ucciso il fratello e altri quattro membri della famiglia, costringendoli a fuggire. Patrick ha vissuto una straziante infanzia, lavorando in un campo per sfollati nella speranza di aiutare la famiglia a ritrovare la sua terra. Ma nel frattempo giocava a tennis. Buon fisico, discreto talento, ha trovato la possibilità di allenarsi e diventare il miglior tennista del suo paese. E così è arrivata la Coppa Davis. E poco importa se si trattava del “Gruppo IV – Zona Euro Africa”, l’equivalente della Serie E. Ha giocato 29 partite e ne ha perse 24, compresa quella contro il sammarinese Domenico Vicini. Ma nel 2005 il suo paese organizzò un girone. Giocando in casa, vinse un paio di partite. La più bella fu un teso 7-6 7-5 contro l’azero Fakhraddin Shirinov. Quella insignificante partita ha segnato il suo destino. In tribuna, a seguirlo, c’era il fotoreporter americano Rex Miller. Era volato in Uganda per documentare le azioni di alcune organizzazioni non governative. Ma il tennis, per lui, è più di una passione. Si porta dietro la racchetta ovunque, e quando scoprì che c’era un raduno di Coppa Davis, si fiondò presso il Lugogo Tennis Club di Kampala. E anche la sua vita cambiò.
 
L’amicizia con Patrick è stata spontanea e sincera, sin da subito. Olobo gli ha raccontato la sua storia. Gli omicidi, l’esilio forzato, la passione per il tennis nata grazie a un sacerdote. Rex è rimasto colpito e decise di dargli una mano. E’ tornato negli Stati Uniti, ma sei mesi dopo si è ripresentato in Uganda armato di videocamera. Ha filmato la sua storia e ha raccolto diverso materiale sull’atroce guerra civile. Ma voleva fare di più: aiutarlo a lasciare il paese natale, portarlo negli Stati Uniti e dargli la chance di diventare un giocatore, magari studiando al college. Ma c'era la necessità di ottenere di un visto. Una mattina si sono recati presso l’ambasciata americana a Kampala. Trovarono 300 persone in attesa. “Si dice che i tennisti abbiano pressione – racconta Miller – ma che pressione puoi avere in una situazione del genere? Se ti negano il visto, devono trascorrere cinque anni prima di fare un’altra richiesta”. Quel giorno, furono concessi pochissimi visti. Ma Olobo fu tra i fortunati. E’ nata così un’amicizia poi raccontata in un docu-film trasmesso per la prima volta da Tennis Channel sul finire del 2008. Si intitola “Somay Ku: a Uganda Tennis Story” e racconta quel periodo, ma anche (e soprattutto) i primi due anni di Olobo negli Stati Uniti. Due anni difficili. Magari non c’era la paura che gli entrassero uomini armati in casa, ma c’erano altri problemi, a partire da quelli culturali. Miller si è trovato in più ruoli contemporaneamente. Era il regista del documentario, ma era anche un amico, a volte persino un allenatore (spesso Patrick gli chiedeva consigli tecnici).
 
L’integrazione di Olobo è stata molto complicata. Ha trovato posto al college: lo hanno accolto preso la Calfiornia Baptist University, ma era lì soltanto fisicamente. Trascorreva ore e ore al telefono con la fidanzata, Sarah Nantege. Nel documentario c’è una scena toccante, in cui Patrick dice addio alla ragazza in lacrime. Negli Stati Uniti non faceva che pensare a lei, le scriveva in continuazione. Fino a quando non è arrivata una bolletta milionaria che ha fatto arrabbiare Chad e Susan Morse, i benefattori che avevano deciso di aiutarlo economicamente su richiesta di Miller. Nel 2007, per sbarcare il lunario, Olobo accettò di dare qualche lezione di tennis ai figli di un ricco signore californiano. Ma arrivava sempre in ritardo, così il padrone di casa gli mise a disposizione un automobile. Quando lo hanno appreso, i suoi benefattori si sono imbufaliti e hanno smesso di aiutarlo. L’episodio lo ha reso ancora più riservato e chiuso in se stesso. E così i problemi si sono moltiplicati. L’anno dopo fu arrestato per taccheggio. Poichè il valore della merce rubata superava i 400 dollari, il fatto costituiva reato. Miller, con una bontà d’animo ai limiti dell'ingenuità, ha detto: “Patrick ha ammesso di aver sbagliato. Ha messo la merce in una borsa e si è dimenticato di pagare”. Per sua fortuna, la vicenda giudiziaria si è risolta bene e gli hanno anche dato un certificato di buona salute. Così si è inserito nell’Università, dove ha giocato qualche partita a livello college. Avrebbe dovuto restarci, ma è durato poco. Per sua fortuna, ha messo la testa a posto presso l’Università del North Carolina. Ha rappresentato per un paio d’anni gli NCCU Eagles, peraltro ottenendo discreti risultati. E lì è arrivata la laurea in sociologia. Da allora, gioca a tennis solo per diletto. In fondo, ha lasciato tracce timide e poco importanti. Nel 2007 e nel 2008 gli hanno dato una wild card per le qualificazioni del challenger di Yuba City, in California. Due misere sconfitte gli hanno fatto capire che non c’era trippa per gatti. Forse anche per questo ha vissuto male il primo periodo negli Stati Uniti. Ma il lieto fine è arrivato fuori dal campo. Grazie alla bontà d’animo di Miller (non crediamo che sia diventato ricco grazie al documentario…) si è tirato fuori dalle sabbie mobili dell’Uganda ed ha avuto una possibilità negata a molti. Le difficoltà ci sono state, ma alla fine l’ha saputa sfruttare. E per questo deve ringraziare il tennis e le organizzazioni non governative che gli hanno fatto arrivare Miller in Uganda. Sembrava un angelo caduto dal cielo. Avesse conosciuto la musica italiana, sarebbe diventato un fan di Nada e del suo “Amore Disperato”. 

Le prime scene del docu-film con protagonista Patrick Olobo