A 21 anni, Grigor Dimitrov non è ancora entrato tra i top 50. Ma sia lui che coach Mouratoglu sono ottimisti. In campo è un istintivo, fa quel che gli pare. "Sennò mi annoio…".
Spesso Grigor Dimitrov si “annoia” sul campo da tennis
 
Di Riccardo Bisti – 25 settembre 2012

 
Grigor Dimitrov si porta una croce addosso. La più pesante di tutte. Da quando è apparso nel circuito, ancora cucciolo, lo hanno subito paragonato a Roger Federer. Un paragone devastante e impietoso, basato su una somiglianza gestuale (più che tecnica) impressionante. Dimitrov è anche la grande speranza dei puristi, quelli che amano il rovescio a una mano. Il colpo più elegante del tennis è in via d’estinzione, tenuto in vita da “artisti” come Federer e Gasquet. Tra i giovani, il bulgaro è l’unico a utilizzarlo. Ma non è questo il problema. Il problema è quel maledetto accostamento che non gli ha ancora permesso di entrare tra i primi 50, vittima di incostanza e bizze comportamentali. Eppure avrebbe dovuto sapere, fin da piccolo, che la sua città (Haskovo, nella Bulgaria meridionale) produce personaggi di spicco nonostante i 75.000 abitanti (scarsi). Prima di lui sono arrivati Tane Nikolov, rivoluzionario del 19esimo secolo, poi l’allenatore della nazionale di calcio Stanimir Stoilov Kolev. Il destino si è materializzato all’età di 5 anni. Mamma Maria gli ha messo in mano la prima racchetta, ed è stato amore a prima vista. Papà Dimitar è stato il suo primo allenatore e ricorda ancora oggi il suo entusiasmo: “Grigor era ansioso di imparare. Qualsiasi cosa gli insegnassi, la eseguiva con la facilità di un pittore. Era ossessionato dal tennis, voleva giocare dalla mattina alla sera. Per noi non è stato difficile tenere viva la sua passione”. Niente casi Agassi, tra “dragoni” e scappatelle dalla furia di papà Mike. A casa Dimitrov, il tennis era una vera passione.
 
Il cucciolo si è fatto conoscere nel 2008, quando ha vinto Wimbledon e Us Open junior con un anno d’anticipo. Aveva già lasciato la Bulgaria per trasferirsi a Parigi, presso l’Accademia di Patrick Mouratoglu. Gli hanno messo accanto Peter Lundgren, lo stesso che aveva seguito Roger Federer fino ai primi successi: altro (scomodo) elemento di paragone. All’improvviso, il mondo si è accorto di Dimitrov. “Le aspettative erano enormi, e questo non ha aiutato – racconta Patrick Mouratoglu, che lo segue in prima persona da inizio 2012 – avevano messo una grande pressione addosso a un 18enne che non aveva dimostrato nulla. Lui è intelligente, sensibile, capisce la situazione ed è pronto ad affrontarla”. E il diretto interessato che dice? “Non posso negare la pressione, ma credo che sia stata positivo. Era bello sentirsi dire certe cose. Ma non è questo il punto. Ciò che conta è la pressione che metti addosso a te stesso”. Di certo non è uno che cerca scuse. Il suo agente, Nina Wennerstrom, lo definisce come un ragazzo felice, divertente e spontaneo. “Doti che lo fanno apprezzare sia dai media che dal pubblico”. E poi c’è quel tennis vellutato, da orgasmo mentale, che stimolerebbe le fantasie più ardite di Gianni Clerici. E ha prodotto fiumi d’inchiostro sulla somiglianza con Federer. “Ma io sono io! – ruggisce il bulgaro – penso che ognuno debba presentarsi per quello che è. Io gioco come mi sento, voglio esprimere me stesso sul campo da tennis. La cosa più importante è giocare come mi sento, nel modo più adatto a me”. Libertà di espressione è spesso sinonimo di anarchia. E nel tennis non va bene. Per questo il lavoro di Mouratoglu è stato fondamentale. Sarà questa la chiave della sua crescita. Quella che il coach definisce “impazienza”, per lui è “noia”. Quando troveranno unità di vedute, il ciclone Dimitrov potrebbe fare grossi danni nel circuito.
 
“Quando ero giovane mi annoiavo spesso, allora tiravo colpi del tutto sbagliati – racconta – era più divertente”. Puoi dirgli tutto, ma la sua filosofia sta nella libertà. “Io ascolto la mia voce interiore. Se mi va di fare quello che mi dicono lo faccio, sennò…improvviso. A volte anche le cose più strane possono generare colpi vincenti”. Parole che farebbero impazzire qualsiasi coach. Chissà se le sottoscriverà anche tra cinque anni, quando (si spera) sarà uno stabile top 10. Moutatoglu ha capito la sua indole e non gli sta troppo appresso. “Deve liberare la sua creatività, ma in questo periodo sta imparando a conoscere se stesso. Deve essere se stesso anche se commette degli errori: alla lunga sarà questa la sua forza”. Classe 1991, era rimasto un po’ indietro rispetto agli altri giovani. La crescita aveva subito un brusco rallentamento, tanto che nel 2011 ha guadagnato “appena” 30 posizioni, salendo al numero 76. Quest’anno, piano piano, ha iniziato a vincere partite importanti. Al Queen’s ha battuto Kevin Anderson e ha raggiunto la prima semifinale in carriera. Mentre il suo clan piangeva di gioia, lui spiegava: “Quando sali di livello tutti giocano bene. Nessuno ti regala le partite. Lo sapevo già, ma provarlo in prima persona è un’altra cosa". L’onda positiva è proseguita sulla terra battuta, dove ha raggiunto le semifinali a Gstaad e Bastad, avvicinandosi ai top 50. Adesso la crescita si è nuovamente fermata, con la campagna americana foriera di tre sconfitte su altrettante partite. Cercherà di sfondare il muro dei top 50 nella trasferta asiatica, a partire dal torneo di Bangkok, dove l’anno scorso perse nei quarti contro Andy Murray. Dovesse battere il taiwanese Tsung Hua Yang (classe 1990, proveniente dalle qualificazioni), negli ottavi ci sarebbe una super-sfida con Richard Gasquet, uno spettacolo di rovesci a una mano. “Le difficoltà? A me è successo lo stesso – ha detto Roger Federer parlando dei giovani – la cosa importante è continuare a lavorare duro e non demoralizzarsi per le sconfitte. Sono certo che impareranno a essere i campioni del futuro”. “Speriamo di poter competere per il top – dice Dimitrov, alludendo a se stesso ma anche a Raonic, Harrison, Tomic – di certo c’è chi cresce più rapidamente e chi ha bisogno di più tempo”. Mouratoglu è d’accordo, pensa che ognuno abbia i suoi tempi. “Se non è ancora entrato nei top 50 significa che non è pronto. E’ cresciuto in fretta, ma mancano alcuni pezzi. Di certo si sta sviluppando come giocatore completo. Ha un potenziale illimitato: il suo successo dipenderà tutto dai prossimi tre anni. Se manterrà motivazione e volontà, sono sicuro che otterrà grandi successi”. Dimitrov “deve” farcela. Ne va del futuro del tennis, della sua gestualità più bella e romantica. Grigor lo sa. Deve fare di questa consapevolezza uno stimolo e non una pressione. Hai detto niente.