I montepremi tra uomini e donne sono uguali soltanto negli Slam, mentre negli altri tornei c’è ancora una differenza notevole. Eterna domanda: è giusto che sia così?
Maria Sharapova è l'atleta donna più pagata al mondo
Di Gianluca Roveda – 22 febbraio 2014
Agosto 2013, Cincinnati. A poche ore di distanza l’uno dall’altra, Rafael Nadal e Victoria Azarenka hanno vinto il torneo dell’Ohio. Con una sola differenza: lo spagnolo ha intascato 157.800 dollari in più. Ed ecco che si riaccende il dibattito sulla distribuzione dei montepremi. Dopo anni di battaglie, le donne hanno ottenuto la parità nei tornei del Grande Slam. Un mese fa, i conti correnti di Stanislas Wawrinka e Na Li hanno ricevuto lo stesso bonifico. Ma gli Slam occupano “appena” otto settimane sulle circa 40 di cui è composta la stagione. E in buona parte dei tornei (anche se ci sono alcune eccezioni), gli uomini guadagnano di più. Collin Flake ha scritto un articolo in cui denuncia la disparità del montepremi, e ritiene che sia una questione culturale. “Nel momento in cui la gente legge che a Wimbledon ci sono gli stessi montepremi, pensa che il problema sia risolto. Ma non è affatto così”. Flake ha scritto un lungo intervento insieme a Mikaela Dufur ed Erin Moore, in cui hanno dimostrato come ci sia una grossa differenza nel prize money dei tornei più piccoli. In media, i montepremi WTA sono inferiori del 23,4% rispetto a quelli ATP. Tutti sanno che i giocatori non compresi tra i top-100 fanno fatica a sbarcare il lunario. Ma la vicenda diventa ancora più drammatica per le donne. Sulle ragioni dela disparità sono state date molte possibili spiegazioni. Tanti “maschilisti” pongono l’accento sul fatto che gli uomini giocano al meglio dei cinque set, ma la vicenda perde valore nell'80% della stagione, poiché in quasi tutti i tornei anche gli uomini giocano al meglio dei tre. C'è poi una questione di marketing: l’evento maschile è più pregiato e spesso i biglietti costano di più. L’aumento dei tornei combined, tuttavia, ha appiattito il concetto. Quando uno spettatore acquista un biglietto per Indian Wells, Roma o Pechino, lo fa sapendo di assistere sia a incontri maschili che femminili.
Secondo lo studio di Flake, la ragione della disparità è più profonda. “E’ una questione più ampia, riguarda il valore delle donne nella società. La società è patriarcale e maschilista. Nello sport, la cosa è ancora più accentuata. Lo sport è controllato dagli uomini”. Secondo Karen Farquharson, ricercatrice della Facoltà di Scienze Sociali presso l’Università australiana di Swinburne, questa tesi va tenuta a mente ogni volta che si spiega la disparità con la maggiore forza fisica degli uomini, come se la forza fosse un criterio per avere una maggiore retribuzione. “Le donne non sono forti come gli uomini, ma questo non significa che lo sport femminile sia meno divertente”. Tornando al tennis, il circuito femminile è certamente più imprevedibile. Basti pensare che soltanto sei uomini si sono spartiti gli ultimi 33 Slam, mentre tra le donne ci sono state 14 diverse vincitrici. A parte Serena Williams, vige un grande equilibrio. Questo equilibrio, tuttavia, e considerato sinonimo di debolezza. Spesso si associano le sconfitte premature delle favorite al basso livello del tennis femminile, mentre non si dice lo stesso quando Federer e Nadal perdono ai primi turni. La disparità culturale si traduce anche nello spazio nei media. Basti pensare a una trasmissione cult come SporsCenter di ESPN, che dedica un misero spazio (1,4%) alla copertura del tennis femminile. Tuttavia, il tennis resta uno degli sport in cui le donne guadagnano di più. Il merito è certamente delle battaglie sindacali, inaugurate 40 anni fa da Billie Jean King. Non è un caso che quasi tutte le atlete più pagate al mondo siano tenniste. E negli altri sport si guadagna molto meno. Non c’è dunque da stupirsi del fatto che le giocatrici, a parte le polemiche a distanza con gli uomini, accettino più o meno serenamente la situazione attuale. E il Consiglio Giocatrici della WTA non ha mai brillato per iniziative.
Ma allora cosa si potrbbe fare per ridurre il divario? La Farquharson lancia una curiosa proposta basata sulle “quote rosa”. A suo dire, dovrebbe esserci un tempo prestabilito per le ore di esposizione mediatica tra uomini e donne. “Lo si fa per i candidati politici, perché non farlo anche nello sport?”. L’obiettivo sarebbe quello di cambiare la mentalità sulla vicenda di genere. In altre parole, non sono consigliabili delle modifiche allo sport, ma semplicemente un’uguaglianza espositiva. Le esperienze di questo tipo sono state positive: “I tornei più interessanti sono proprio i combined events – ha detto Bethanie Mattek Sands, membro del Consiglio Giocatrici – è lì che ci sono più biglietti venduti e più spettatori. Se uniamo gli sforzi con gli uomini, possiamo ottenere ottimi risultati da cui possono trarre beneficio entrambi. Se un giovane prende in mano la racchetta da tennis anziché la mazza da baseball, è un beneficio per tutti”. Tuttavia, per riuscire nell’obiettivo, è importante che gli organizzatori dei tornei inizino a pagare meglio le giocatrici di bassa classifica e che i media dia al tennis femminile la stessa dignità del maschile. In caso contrario, qualsiasi speranza di crescita resterà tale.
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